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Gran Premio Nuvolari 2020, pronti per la 30ᵃ edizione

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Avete tempo solo fino al 31 luglio per iscrivervi alla XXX° edizione del Gran Premio Nuvolari, gara internazionale di regolarità per auto storiche fabbricate dalle origini fino al 1976. Il fine settimana da evidenziare in calendario è quello dal 17 al 20 settembre 2020.

Sarà un’edizione davvero speciale quella del Gran Premio Nuvolari 2020, che si svolgerà dal 17 al 20 settembre. La trentesima per l’esattezza da quando Claudio Rossi, Luca Bergamaschi e Marco Marani, soci fondatori della Scuderia Mantova Corse, decisero di rievocare la corsa che celebra il più grande pilota di tutti i tempi. A festeggiare insieme a loro questo importante traguardo, si unisce quest’anno un Official Timekeeper Partner d’eccezione: la casa orologiera svizzera TAG Heuer, da sempre a fianco di importanti eventi legati all’automobilismo sportivo. Confermati anche gli altri consolidati sponsor del Gran Premio Nuvolari, Red Bull e Gruppo Finservice.Mantova-Rimini-Siena-Rimini-Mantova. Il percorso di questa XXX° edizione ricalcherà le consuete tappe degli ultimi anni, molto apprezzate dai partecipanti e dai tantissimi stranieri che non resistono al fascino del nostro Bel Paese. Venerdì 18 settembre si partirà da Piazza Sordello a Mantova, che nelle ore precedenti la partenza si trasforma in un incredibile museo all’aperto con centinaia di auto storiche in sosta e alla portata di appassionati e curiosi. La prima tappa attraverserà poi le strade dell’Emilia, con sosta pranzo all’Autodromo di Modena, dove si svolgeranno anche alcune prove cronometrate, e proseguirà sulle colline romagnole fino a Cesenatico, per la cena al Grand Hotel Leonardo da Vinci. Il pernottamento invece sarà a Rimini.  

Solo per pochi. Quella del sabato è certamente la tappa più impegnativa, che solitamente si aggira intorno alle 12 ore di guida. Una tappa che mette a dura prova sia gli equipaggi sia le storiche signore, ma che regala emozioni e scorci da togliere il fiato, come la partenza dal Parco Fellini di Rimini all’alba, sul mare, o le sfilate per i caratteristici controlli a timbro nelle piazze delle città d’arte della Toscana tra le più belle al mondo: a cominciare da Piazza del Campo a Siena e proseguire con Piazza Grande ad Arezzo. Il percorso condurrà gli equipaggi nelle campagne fiorentine e tra le colline del Chianti, lungo le sinuose strade marchigiane e sulla Strada Statale Adriatica. Fino al rientro a Rimini per sera, con il tradizionale galà in onore di Tazio Nuvolari all’interno del Grand Hotel.

La gara è ancora aperta. L’ultima tappa di domenica vedrà gli equipaggi ripartire da Rimini in direnzione Mantova. Non prima però di aver affrontato le temutissime prove cronometrate di Meldola, di essere passati da Faenza, ospiti della Scuderia di Formula 1 Alpha Tauri, dall’arena di piazza Ariostea a Ferrara, che accoglierà i concorrenti con il consueto entusiasmo, da Borgofranco e Ostiglia. Solo con la sfilata finale in una Piazza Sordello gremita di gente, solo allora piloti e navigatori potranno dire di aver percorso 1.093 km e di aver concluso la XXX° edizione del Gran Premio Nuvolari.

Premure anti Covid-19. Anche al Gran Premio Nuvolari l’organizzazione adotterà protocolli specifici per garantire la sicurezza di tutti i partecipanti e un lineare svolgimento della manifestazione. Potete trovare il dettaglio delle iniziative logistiche anti Covid-19 nella sezione News del sito www.gpnuvolari.it. La Scuderia Mantova Corse ci tiene anche a precisare che se per causa di forza maggiore venisse annullato l’evento, provvederà al rimborso della tassa d’iscrizione.

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BMW e la letterina M(agica)

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Ormai da decenni la divisione BMW Motorsport GmbH è sinonimo di auto sportive e di carattere. Le varie proposte alternatesi nel corso degli anni hanno rappresentato, praticamente sempre, dei modelli capaci d’intrigare molteplici petrolhead

La genesi della storia d’amore tra la BMW e la letterina M(agica) risale a quasi cinquant’anni fa. Nei primi anni Settanta, infatti, un giovane consiglio d’amministrazione, condotto da Eberhard von Kuenheim, mette in atto una serie di progetti per rafforzare l’identità del marchio. Dopo aver realizzato un nuovo e imponente Headquarter, conosciuto anche come “Torre Bmw”, l’attenzione si focalizza sulla costituzione di una propria divisione sportiva. Così, il primo maggio del 1972 viene fondata la BMW Motorsport GmbH. Una realtà dinamica, diretta da Jochen Neerpasch, ex pilota ufficiale Porsche dalla notevole esperienza nel settore Motorsport.Alle origini della sportività. La divisione M ha ben presto uno spazio tutto suo, nelle immediate vicinanze dello stabilimento BMW di Monaco. In tale struttura vengono realizzate le auto sportive per il 1973. I progetti degni di nota sono una 2002 da 950 chili e 240 cv, pensata per i rally, e la mitica 3.0 CLS preparata per competere nel Campionato Europeo Turismo. Una manifestazione dominata per diverse annate, fino alla soglia degli anni Ottanta.Progetti sportivi. Il progetto successivo mira alla produzione della prima auto da competizione costruita da Motorsport GmbH e non derivata da un modello di serie. La BMW M1. Mentre il marchio costruisce le componenti tecniche, la Lamborghini viene inizialmente incaricata di fornire la carrozzeria e il telaio. Tuttavia, i problemi finanziari della casa italiana portano a ritardi notevoli. Pertanto, si pensa a una nuova filiera produttiva e la costruzione della BMW M1 diventa qualcosa di simile a un puzzle. Il telaio viene realizzato da Marchesi, la scocca in plastica rinforzata con fibra di vetro dalla Tir. Entrambe aziende con sede a Modena. La Italdesign, di Giugiaro, le assembla e provvede alla loro finitura interna. Le vetture vengono quindi trasportate in Germania, dove la Baur installa le componenti meccaniche.Dalla pista alla strada, il passo è breve. In contemporanea, Neerpasch instaura una partnership con Bernie Ecclestone e Max Mosley, per creare la Serie ProCar come gara d’apertura nella maggior parte dei Gran Premi europei di Formula 1 durante la stagione 1979/80. Poiché il requisito minimo di produzione per l’omologazione nel Gruppo 4 della FIA è di 400 unità, la M1 diventerà anche un modello stradale. Motivata dal notevole consenso riscosso dall’M1, la divisione M decide di costruire un altro modello. Partendo dalla Serie 5 convenzionale, i tecnici realizzano l’M535i, mutuando il sei cilindri due valvole dalla 635CSi. Con la potenza di 218 cv, questa Serie 5 diviene subito un oggetto del desiderio per molti.1986: riflettori puntati sulla M3. Il 1986 rappresenta, indubbiamente, un anno molto importante nella cronistoria della divisione M, in quanto nasce un modello destinato a diventare una vera e propria icona dell’automobilismo sportivo. Stiamo parlando della BMW M3, una berlina compatta di grande carattere. La versione stradale, che richiede una produzione di almeno 5 mila unità nel giro di un anno per l’omologazione come auto turismo per gareggiare, fin dall’inizio è concepita per risultare altamente dinamica. Sviluppando una potenza massima di 195 cv con il suo motore quattro cilindri e 16 valvole, la berlina ad alte prestazioni diveta ben presto un punto di riferimento nella categoria.

Numeri di successo. In parallelo, il successo agonistico non tarda ad arrivare: nel 1987, Roberto Ravaglia vince il Campionato Mondiale Touring Car al volante di una BMW M3. Nei successivi cinque anni l’M3 si afferma come leader incontrastata sulla scena internazionale delle auto touring, portando a casa due Campionati Europei Touring Car, la vittoria nel Campionato Tedesco Touring Car (DTM) per due volte, nonché molti altri successi in svariati eventi sportivi.Novità per M3 ed M5. Nel 1988 fa il suo debutto in società la seconda generazione della M5, con un motore sei cilindri originariamente da 3,6 litri e successivamente da 3,8 litri, con potenza aumentata a 315 e poi a 340 cv. La M5 viene introdotta come berlina e successivamente, all’inizio del 1992, come touring. Nello stesso anno viene presentata la rinnovata M3. Distinguibile dalle versioni tradizionali grazie a dettagli specifici, oltre che dall’inconfondibile sound del motore sei cilindri quattro valvole da tre litri. Con una potenza massima di 295 cv, la M3 GT, prodotta in una piccola serie speciale, farà schizzare in alto il benchmark del modello: tra il 1992 e il 1996, la Motorsport GmbH costruì più di 85 Serie 3 quattro porte da corsa basate su questa M3, che, con Johnny Cecotto al volante, vincerà il Campionato ADAC GT nel 1993. Due anni più tardi, nel 1995, la più venduta BMW M3 sarà potenziata ulteriormente, grazie a un processo di evoluzione ad ampio raggio. Questa potenza extra – 321 cv con motore 3,2 litri, più di 100 CV per litro – regalerà all’auto un ulteriore tocco di carattere.

1997/98: novità di spessore. La successiva auto sportiva a sfoggiare la “M” sul cofano posteriore entrerà poco dopo sul mercato, nel 1997. La M roadster, una conturbante combinazione fra la Z3 roadster e un motore particolarmente performante. Nel 1998, gli ingegneri della BMW M GmbH introdurranno la terza generazione della BMW M5, aprendo una dimensione nuova in termini di dinamiche di guida in questo settore del mercato. Il cuore dell’M5 è un 8 cilindri totalmente nuovo, che offre il massimo in termini di potenza e di coppia: la potenza è di 400 cv, la coppia massima è di circa 500 Nm.M3: evoluzione costante. Nel corso degli anni, gli ingegneri della BMW M hanno innalzato progressivamente gli standard non solo nella tecnologia dei motori, ma anche dei telai e delle sospensioni. Come sulla terza generazione dell’M3. Questa nuova sportiva offre qualcosa di più sotto ogni punto di vista: più potenza, più prestazioni e uno stile esclusivo. Parlando semplicemente di fatti e di cifre, ciò significa 343 cv, 365 Nm e un’accelerazione da 0 a 100 km/h archiviata in 5,2 secondi. Nel 2003 la BMW sorprende il settore, con lo sviluppo di un’auto molto speciale, l’M3 CSL. Il tetto, la console centrale e i pannelli delle portiere sono realizzati in plastica rinforzata con fibra di carbonio; il lunotto posteriore è più leggero e numerosi elementi nati per fornire maggior comfort vengono semplicemente eliminati. Mossa dal noto motore portato a 360 cv, la CSL è un’auto estremamente performante. Nei giri di prova, la vettura percorreva il North Loop del Nürburgring in 7 minuti e 50 secondi, tempo (all’epoca) eccezionale per la sua classe di appartenenza.Interessanti novità d’inizio secolo. Nell’autunno del 2004, la nuova M5 si fa sentire dopo che il modello precedente aveva superato la barriera delle 20 mila unità costruite. Quest’automobile, la più aristocratica fra le vetture della Serie 5, è la più potente mai realizzata: cinque litri di cilindrata, dieci cilindri, 507 cv di potenza e 520 Nm. La potenza è aumentata di oltre il 25 per cento, rispetto a quella precedente, ad otto cilindri. L’M5 supera così la soglia magica dei 100 cv/litro. Dopo pochi mesi seguirà, con lo stesso motore, l’M6. Nel 2006, la M GmbH allargherà poi il suo portafoglio di prodotti, realizzando una nuova generazione di auto sportive con la nascita della BMW Z4. La Z4 M Roadster e la Z4 M Coupé saranno dotate del collaudato sei cilindri, da 343 cv.2007: cambio di motore per la M3. Per la prima volta, viene realizzato un motore otto cilindri per la coupé e per la berlina lanciata poco dopo. Il nuovo motore V8 genera una potenza di 420 cv, con una cilindrata di 3.999 cc. Circa l’85 per cento della coppia massima di 400 Nm è disponibile a un regime di 6.500 giri/min. La potenza è trasferita alle ruote posteriori mediante la trasmissione e un differenziale completamente nuovo sull’assale posteriore.

M3 GTS: un gran ferro.     Nel 2009     viene costruita la BMW M3 GTS. I principi di design e i dettagli tecnici derivati direttamente dallo sport motoristico definiscono il motore otto cilindri, con una cilindrata portata a 4,4 litri e una potenza aumentata a 450 cv. Alla fine del 2010, la M GmbH amplia nuovamente la gamma prodotti, presentando la Serie 1 Coupé. Un’auto compatta e affilata da 340 cv, diventata ormai un pregiato e prezioso pezzo da collezione. Nei restanti dieci anni, fino ai giorni nostri, si susseguiranno tante altre novità firmate dalla divisione sportiva. Modelli destinati ad entrare, anch’essi, nella storia dell’automobilismo che conta.

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Ferrari Drogo, il meeting a Torino

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Lo scorso 8 luglio Torino ha ospitato una giornata dedicata alle Ferrari della Scuderia Sport Car di Pietro Drogo: una trentina di specialissime Ferrari tra cui la mitica 250 GT SWB "Breadvan".

L’immobiliarista Dario Savarino (presidente di Assocastelli Torino), Cesare Mosso e Riccardo Rossi sono gli organizzatori dell’incontro che ha riunito alcuni esponenti di spicco del collezionismo storico, possessori di una trentina di modelli Ferrari realizzati dalla scuderia Sport Cars di Pietro Drogo. Un evento per pochi intimi che hanno ricevuto un’attestazione di interesse da Ivan Drogo Inglese, presidente di Assocastelli e nipote di Pietro Drogo fondatore della scuderia, impegnato nel recupero della documentazione storica e cimeli relativi all’attività di suo zio Pietro. Tra gli ospiti anche l’importante collezionista Luciano Bertolero e il “maestro” Sergio Rossi, considerato tra i maggiori conoscitori di motori Ferrari d’epoca.Un nome che desta interesse. Il meeting è stato l’occasione per poter attestare l’autenticità delle Ferrari storiche realizzate da Drogo: vetture rare e preziose che stanno riscuotendo un crescente interesse internazionale, come documentato nel libro di Jack Koobs de Hartog e Marc de Rijck dedicato all’attività di Pietro Drogo e nelle proposte di stile del designer Niels Van Roji, ispirate dalla leggendaria Ferrari 250 GT SWB Drogo “Breadvan”. Durante l’evento alcuni facoltosi collezionisti internazionali si sono fatti avanti per valutare la realizzazione di una reinterpretazione in chiave moderna dello stile Drogo su meccanica Ferrari al fine di poter dare vita ad un modello “one-off”.

La leggenda. Ivan Drogo Inglese, indicato dal magazine Forbes tra i massimi esperti del patrimonio italiano, dal 2013 è anche erede del marchio Drogo che negli anni ’60 firmò alcune delle più belle fuoriserie Ferrari. Tutto ebbe inizio con l’alleanza imprenditoriale tra Pietro Drogo (nipote di Eraldo Monzeglio, celebre allenatore della Juventus e del Napoli) e il conte Giovanni Volpi di Misurata: proprietario della Scuderia Serenissima e figlio del fondatore della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Drogo, fondatore della Sports Cars di Modena, morì tragicamente agli inizi degli anni '70 nei pressi di Bologna alla guida della sua Ferrari California. Una fatalità che ha consacrato alla leggenda le sue straordinarie creazioni.

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Opel Ascona 1.8i: la prima con catalizzatore progettato per l’Europa

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Esattamente trentacinque anni fa veniva presentata un’inedita variante della celebre vettura tedesca, dotata per la prima volta di un catalizzatore sviluppato appositamente per il mercato europeo

Nel 1985 la Opel Ascona 1.8i fu la pioniera della moderna soluzione tecnica, adotta poi su tutti i principali modelli del marchio.  Tant’è che nel giro di breve tempo vennero montati catalizzatori specifici sulle Corsa, Kadett, Rekord, Monza e Senator. Adottando tale soluzione, Opel divenne uno dei primi marchi automobilistici del Vecchio Continente ad offrire catalizzatori standard a tre vie.Modifiche ad hoc. Non si trattava di una semplice lavoro d’installazione di una componente differente, bensì di una vera e propria evoluzione di quanto fatto fino a quel momento. Rispetto a un’auto convenzionale, infatti, la progettazione di una vettura con catalizzatore richiedeva la realizzazione di una serie di modifiche specifiche. Questo, in primis, perché il catalizzatore nella sua temperatura di esercizio emetteva temperature elevate (600 gradi centigradi). Pertanto le componenti sensibili al calore e l’abitacolo necessitavano di protezioni adeguate. Non solo: il catalizzatore per il funzionamento ottimale del catalizzatore serviva, tra l’altro, un sistema elettronico di preparazione della miscela. Oltre a offrire automobili con un catalizzatore a tre vie installato in fabbrica, Opel offriva ai clienti anche un kit per il retrofit. E chiunque avesse avuto dubbi poteva contattare un numero verde dedicato, pensato per fornire con la maggior chiarezza possibile tutte le informazioni del caso.

Investimenti evolutivi. L’utilizzo di questo nuovo componente rientrava in un progetto di ammodernamento tecnico ad ampio respiro, nel quale Opel credeva fermamente. Vi basti sapere che ha investito oltre un miliardo di Marchi tedeschi (DM) impegnando centinaia di ingegneri per lo sviluppo di catalizzatori e automobili maggiormente ecocompatibili. La società ha investito 100 milioni di DM solo per sviluppare nuovi banchi e apparecchiature di prova per la durata e i test ad alta velocità.

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Mercedes-Benz Classe G, in missione per il Papa

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Che Papa Wojtyla fosse un personaggio che avrebbe cambiato la storia è stato chiaro sin dalla sua elezione, ma senza addentrarci in questioni politiche e religiose, possiamo dire che il pontificato di Giovanni Paolo II ha visto anche importanti cambiamenti nei garage vaticani.

Fino al 1980 il Pontefice viaggiava su ammiraglie di rappresentanza (prevalentemente Mercedes-Benz) di colore scuro, ma la svolta arrivò con la visita pastorale in Germania tra il 15 e il 19 novembre di quell’anno: un’altra Mercedes, non la solita berlina nera, ma un inedito fuoristrada bianco con particolari color oro realizzato sulla base della 230 G. Un modello presentato nel 1979 e che muoveva i primi passi verso una gloriosa carriera durata 40 anni. Ma torniamo al 230 G “Papamobile”, Mercedes-Benz sviluppò questa fuoriserie pontificia partendo dal modello passo lungo della Classe G alimentato in questo caso da un tranquillo motore a benzina, quattro cilindri a carburatore da 102 CV. Le prestazioni non erano minimamente contemplate in questo progetto, essendo la Papamobile un veicolo da parata: troviamo quindi un cambio automatico e un telaio rivisto per essere particolarmente confortevole e che offrisse la massima fluidità di guida anche su terreni impegnativi.Cupola semovente. La vettura venne fornita al Vaticano in comodato gratuito: la sezione anteriore del mezzo rimase inalterata, mentre la parte posteriore vedeva l’installazione di una cellula in plexiglass trasparente dedicata al Pontefice che poteva salutare i fedeli anche in caso di maltempo e portava l’altezza complessiva del veicolo a 2,80 m.  Per scongiurare l’effetto forno a microonde, tra gli equipaggiamenti dedicati c’era un potente impianto di condizionamento automatico che garantiva temperature piacevoli all'interno della cupola trasparente anche in estate. La climatizzazione impediva alle superfici di appannarsi sotto la pioggia e in condizioni di elevata umidità. La struttura trasparente ospitava la seduta per il Santo Padre, installata su un pavimento sollevato di 40 centimetri che consentiva al Papa di rimanere visibile sia da seduto che in piedi. La cellula ospitava diverse luci integrate nel pavimento, nel soffitto e nei montanti per garantire un’illuminazione diretta e indiretta che permetteva al Pontefice di rimanere visibile anche di sera.

Massima sicurezza. La sovrastruttura in plexiglass aveva lo scopo di proteggere il Papa senza ostacolare la visione da parte dei fedeli ed è stata progettata inizialmente come unità rimovibile. Dopo l'attentato del 1981 in Piazza San Pietro in cui rimase ferito Papa Wojtyla, la Mercedes-Benz 230 G venne dotata di una nuova cellula con vetri antiproiettile. La struttura posteriore allestita dalla carrozzeria Introzzi di Lipomo (Co) era dotata di una blindatura trasparente in policarbonato Lexgard da 33 mm con le parti strutturali realizzate in acciaio legato misto a kevlar a strati. Mercedes-Benz ha adattato gli equipaggiamenti di questa speciale Classe G con le specifiche di sicurezza aggiornate indicate dal Vaticano nel 1983 e successivamente nel 1985. Nello stesso anno la Casa di Stoccarda consegnò una speciale Mercedes-Benz 500 SEL Guard (serie W126) dotata anche questa di blindatura e di uno speciale vano posteriore con poltrona singola e tetto apribile.

Quasi gemelle. La 230 G Papamobile del 1980 in realtà non è l'unica vettura vaticana basata sulla Mercedes-Benz Classe G. Un secondo veicolo con caratteristiche quasi identiche venne realizzato nel 1982 partendo dalla 230 GE, la variante con motore a iniezione da 125 CV. Entrambe le fuoristrada appartengono alla serie W460 e possono essere distinte essenzialmente dai numeri di targa: la G 230 aveva la sigla SCV 7, mentre la 230 GE era targata SCV 6. Nel 1982, Mercedes-Benz consegnò ufficialmente i veicoli allo Stato Vaticano. La prima delle due “Papamobile” venne riconsegnata al Museo Mercedes-Benz di Stoccarda nel 2004 e da allora fa parte della collezione Mercedes-Benz Classic, mentre l’altra è esposta nei garage vaticani.

In missione per il Papa. Dopo la visita pastorale di Papa Wojtyla in Germania (tra Monaco di Baviera, Magonza e Colonia), data la grande attenzione mediatica, la Classe G è diventata una vera e propria star. A partire da questa vettura venne coniato il termine Papamobile: la 230 G è diventata la vettura simbolo degli innumerevoli spostamenti di Giovanni Paolo II in giro per il mondo. Curiosamente durante la visita del Papa in Austria nel 1983 venne rimossa la Stella Mercedes, in luogo del badge con lo scudetto “Puch”. All'epoca la Classe G era sviluppata e prodotta a Graz come progetto congiunto di Mercedes-Benz e Steyr-Daimler-Puch e con una buona dose di campanilismo qualcuno nei garage vaticani suggerì di installare il logo della Steyr-Puch come omaggio al territorio austriaco.

Un’amicizia di lunga data. La Mercedes-Benz 230 G “Papamobile” del 1980 fa parte di una lunga lista di vetture Mercedes-Benz in uso presso il Vaticano. L'inizio di questo sodalizio risale a 90 anni fa, nel 1930, con la Mercedes-Benz Typ 460 Nürburg (W08), realizzata dal reparto “Sonderkarrosserie” (Carrozzerie Speciali), di Sindelfingen. Nel 1960 fu la volta della Mercedes-Benz 300 Landaulet (W 189) e nel 1965 venne donata l’imponente Mercedes-Benz 600 Pullman Landaulet (W 100). A queste vetture sono seguiti altri modelli, da versioni a tetto apribile delle varie Classe S alla Classe M. Tuttavia nessun’altra vettura quanto le 230 G e GE incarna l’immagine della Papamobile nell’ immaginario collettivo: tanto che nel 2007 durante il pontificato di Papa Benedetto XVI una nuova Classe G entra nei garage vaticani; si tratta di una speciale G500 Guard della serie W463 utilizzabile con o senza copertura trasparente.

Classe G in mostra. La Mercedes-Benz 230 G Papamobile è tra le vetture della mostra “G-Schichten” dedicata ai 40 anni dell’inossidabile Classe G e visitabile al Mercedes-Benz Museum di Stoccarda fino a settembre 2020. Attualmente il museo è aperto nel weekend, dal venerdì alla domenica negli orari dalle 9:00 - 18:00, mentre la biglietteria chiude  alle 17:00. La mostra sulla Classe G è ospitata nella Sala 5 e comprende undici veicoli oltre ovviamente alla vasta collezione permanente.

 

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Ferrari 308: da Maranello a Hollywood

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La Ferrari 308 e le sue derivate sono tra i modelli più famosi e apprezzati del Cavallino. Lanciata nel 1975 e prodotta per 10 anni, la “piccola” di casa Ferrari è divenuta particolarmente nota grazie al telefilm “Magnum P.I.”

La Ferrari 308 GTB berlinetta GTB e la variante “Targa” 308 GTS (presentata nel 1977) sostituivano la Dino 246 configurandosi come il modello d’accesso all’esclusivo mondo Ferrari. La Ferrari 308 GTB venne presentata al Salone dell'Automobile di Parigi nel 1975 e rappresentava una proposta più sportiva rispetto alla granturismo Dino 308 GT4 2+2 disegnata Bertone. Lo stile della 308 GTB è opera di Leonardo Fioravanti in forza al Centro Stile Pininfarina, la stessa mano che aveva curato alcune delle Ferrari più celebri prodotte fino ad allora: la 365 Daytona, la Dino e la Berlinetta Boxer. La 308 si riallacciava a questi modelli in contrapposizione alla GT4 sviluppata da Bertone. I modelli GTS erano caratterizzati dal tetto rimovibile con finitura nera satinata, che poteva essere riposto in un rivestimento in vinile dietro i sedili quando non era in uso. Fino al giugno del 1977, la Ferrari 308 sebbene costruita dalla Carrozzeria Scaglietti, aveva la carrozzeria interamente realizzata in plastica rinforzata con vetroresina (o PRFV). Ciò garantiva un peso molto contenuto, 1.050 kg. Successivamente venne adottata una più tradizionale scocca in acciaio che si tradusse in un inevitabile aumento di peso complessivo (circa 150 kg).La tecnica. Le nuove 308 riprendevano 246 l’impostazione 2 posti a motore centrale della Dino 246, ma erano spinte in questo caso da un motore V8 in luogo del 6 cilindri a V. Il motore indicato come “F106 AB V8” era equipaggiato con quattro carburatori Weber 40DCNF che nei modelli europei sviluppavano 252 CV a 6600 giri (limite a 7700 giri), mentre per le versioni americane la potenza scendeva a 237 CV a causa dei dispositivi per il controllo delle emissioni. Questo V8 prevedeva un angolo di 90 gradi tra le bancate, con due alberi a camme in testa azionati da una cinghia per ogni bancata. L’unità era montata trasversalmente in abbinamento ad un gruppo trasmissione di tipo transaxle, montato dietro al carter del motore. Tutti i modelli erano equipaggiati con un cambio manuale sportivo "dog leg" a 5 marce con prima in basso a sinistra e differenziale autobloccante. Le vetture europee utilizzavano poi la lubrificazione a carter secco, mentre quelle destinate al mercato americano, australiano e giapponese erano dotate di una più convenzionale a carter umido ripreso dalla GT4. Come ci si aspetta da una Ferrari, la 308 era capace di prestazioni molto elevate per l'epoca: raggiungeva una velocità di punta pari a 252 km/h e copriva lo 0-100 in 6,5”.

Niente servosterzo. I modelli 308 GTB/GTS e GT4 erano meccanicamente simili e condividevano con la Dino originale. Tuttavia la GT4 - essendo una 2+2 aveva un passo più lungo: dal punto di vista telaistico la Ferrari 308 riprendeva la stessa piattaforma con telaio tubolare della Dino 308 GT4, accorciata per l’assenza dei sedili posteriori. Le sospensioni della Ferrari 308 erano a ruote indipendenti, costituite da doppie forcelle, molle elicoidali coassiali e ammortizzatori idraulici, dotate di barre antirollio su entrambi gli assi. Di serie a i freni a disco ventilati sulle quattro ruote. Lo sterzo era di tipo a cremagliera senza servoassistenza: a quei tempi il servosterzo era appannaggio delle auto di lusso, in quanto i dispositivi idraulici dell’epoca spesso compromettevano la precisione del comando. Sulle vetture di prestigio era una sbavatura accettabile visto che il comfort aveva la priorità, mentre su una sportiva veniva posto l’accento sulla miglior precisione di guida possibile.

Le novità. Nel 1980 Ferrari propose anche l'iniezione meccanica Bosch K-Jetronic, nascono così le 308 GTBi e GTSi. Pensate espressamente per la riduzione delle emissioni inquinanti, queste versioni videro un sostanziale calo di potenza: 211 CV per i modelli europei e 202 per i modelli “federelizzati” (Usa, Australia e Giappone). Sui modelli a iniezione era prevista anche l'accensione elettronica Digiplex sviluppata dalla Magneti Marelli. Le uniche differenze estetiche rispetto alle 308 a carburatore riguardava la diversa disposizione di alcuni indicatori interni.  Al Salone dell'Automobile di Parigi del 1982, Ferrari svelò la 308 “quattrovalvole”, partendo dalla GTB e GTSi la principale novità riguardava l’introduzione delle quattro valvole per cilindro che spinsero la potenza fino a 240 CV: un valore più vicino a quelle delle prime 308 a carburatore e che ripristinò in massima parte le prestazioni sacrificate dall'apparecchiatura di controllo delle emissioni dei precedenti modelli a iniezione. I nuovi modelli si riconoscevano per lievi aggiornamenti estetici. A richiesta, come per le versioni precedenti erano disponibili i cerchi in lega da 16” Speedline con pneumatici Pirelli P7.

Iva pesante. Nel 1980 al Salone dell’automobile di Torino venne presentata anche la versione da due litri della 308, la 208: disponibile come sempre nelle varianti GTB e GTS. Questi modelli erano destinati principalmente al mercato italiano, dove le auto con motori superiori ai 2 litri erano soggette all’IVA “pesante”, il 38% invece del 18%. La 208 GTB/GTS sostituì le omologhe 208 GT4 2+2 della gamma Dino. Con un alesaggio a 68,8 mm e una cilindrata totale di 1.991 cc quello della Ferrari 208 è uno motori V8 più piccoli mai prodotti. Alimentata da quattro carburatori Weber 34 DCNF, raggiungeva una potenza di soli 153 CV. Alla luce delle prestazioni inferiori rispetto a quelle degli altri modelli, tra il 1980 e l’81 ne sono state prodotte soltanto 300 (160 GTS e 140 GTB). Nel 1982 la Ferrari 208 venne quindi sostituita da una nuova versione con motore turbo e iniezione: la 208 GTB Turbo, presentata come di consueto al Salone dell'Automobile di Torino. Si trattava di una primizia assoluta in quanto era la prima Ferrari stradale turbocompressa. La versione 208 GTS Turbo venne introdotta un anno dopo, nel 1983.

Arriva il turbo. Come la 208 originale, questo modello era pensato per il mercato interno. La Ferrari 208 Turbo riprendeva l’unità di base della 208 abbinata in questo caso ad un turbocompressore KKK K26 con valvola wastegate, iniezione Bosch K-Jetronic e accensione elettronica Magneti Marelli. Lo sviluppo del sistema turbo venne fortemente influenzato dalla contemporanea Ferrari 126 C2 impegnata nel Campionato di Formula Uno. L'induzione forzata consentì di guadagnare oltre 60 CV, portando la potenza complessiva della 208 Turbo a 217 CV, erogati a 7000 giri/min. La 208 Turbo raggiungeva così i 240 km/h e accelerava da 0 a 100 km/h in meno di 7”, avvicinandosi alle prestazioni della 308 Quattrovalvole. Esteticamente era riconoscibile per le prese d’aria NACA davanti alle aperture del passaruota posteriore, fessure per il raffreddamento supplementari e per la targhetta "turbo" sul retro. Nel 1986 le 208 Turbo furono sostituite dalle 328 GTB/GTS Turbo basate sulla 328, evoluzione della 308.

Le competizioni. La Ferrari 308 venne impiegata anche nelle competizioni: a partire dal 1978 la Michelotto Automobili realizzò diversi esemplari della 308 GTB per gareggiare nelle competizioni rallistiche. La Michelotto realizzò anche una versione per le gare del campionato IMSA, denominata 308 GT/M, dotata di 370 CV e con particolari derivati dalla Formula 1. Nel biennio 1980-81 Carlo Facetti e Martino Finotto, consorziati nella "Carma" realizzarono una vettura "Gruppo 5" con motore biturbo. La vettura partecipò a varie gare di durata nel 1981, ottenendo il record sul giro in gara alla 24 Ore di Daytona. La vittoria più importante della 308 fu quella al Tour de France Auto del 1982, conquistata dalla vettura del team Pozzi,  del famoso importatore francese di Ferrari Charles Pozzi. Lo stesso anno Tonino Tognana vinse il Campionato Italiano Rally alternandosi alla guida di una 308 e di una Lancia 037.

La chiamavano supercar. A partire dalla Ferrari 308 venne sviluppata anche la spettacolare 288 GTO. Introdotta nel 1984 è considerata la prima vera supercar Ferrari. La 288 riprendeva lo stile generale dalla 308 GTB quattrovalvole alimentata da un simile V8 da 2,8 litri, ottenuto con un alesaggio più piccolo e dotato di doppio turbocompressore IHI e doppio intercooler. La Ferrari 288 GTO superava la soglia dei 400 CV e a metà anni 80 era tra le poche vetture di serie capace di abbattere il muro dei 300 km/h.

Una vera star. La Ferrari 308 è stata resa famosa dal telefilm Magnum, P.I. con Tom Selleck. Nelle otto stagioni (1980-88) sono state utilizzate diverse Ferrari 308 GTS, una nuova per ogni stagione (rispettivamente 308GTS, GTSi e quattrovalvole). Tutte caratterizzate dalla targa “Robin 1”, gran parte di queste sono state vendute all'asta dopo le riprese. Ma la Ferrari 308 ha fatto bella mostra di sé in molti altri film, come in “Cannonball Run” del 1981, dove viene guidata da due star del calibro di Dean Martin e Sammy Davis Jr. Con oltre 10 mila esemplari realizzati, la Ferrari 308 e le sue evoluzioni sono considerate tra i modelli di maggior successo di Casa Ferrari. Fino a pochi anni fa era possibile entrare in possesso di una 308  a cifre ragionevoli, ma se il budget lo consente, oggi l’acquisto di una Ferrari 308 rappresenta non solo un buon investimento, ma anche un buon debutto nel mondo esclusivo delle Ferrari “classiche”.

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Aste: Pandolfini debutta nell’online

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Ancora un weekend per scegliere, valutare, confrontare e controllare; quindi un paio di giorni per ponderare la scelta e fare la propria offerta. Sono i tempi dettati dalla vendita online che segna il debutto della Casa d’aste Pandolfini di Firenze nel digitale.

Un debutto in punta di piedi, con solo dieci lotti in vendita, utili però per sondare il terreno e le potenzialità di un mezzo che sta raccogliendo molti consensi in campo internazionale. Dieci vetture costruite tra gli anni ’60 e ’90 con un ventaglio di prezzi molto abbordabili tranne il lotto di una Jaguar E Type II Serie OTS del 1969 stimata 70-80.000 euro.  L’asta termina mercoledì 22 luglio alle 18.00 e per chi fosse interessato a vedere le vetture dal vero può sempre recarsi a Prato (in via Fratelli Giachetti 35) dove le auto sono in esposizione fino a martedì 21 luglio.Il giaguaro diabolico. Tra le vetture più interessanti, oltre alla citata Jaguar E Type, che è di colore nero ed è stata utilizzata per le riprese di un nuovo film su Diabolik che sarà presentato a fine anno, da segnalare c’è anche una Lancia Fulvia Coupé 1.3S II Serie del 1972 giudicata come “praticamente nuova” a seguito di un restauro approfondito e stimata 12.000-16.000 euro (in linea con il valore A+ di Ruoteclassiche).

Utilitaria fuoriserie. Interessante anche il lotto n° 9: una rarissima Fiat 600D Zagato Elaborazione, immatricolata nel 1965 e considerata alla stregua di un pezzo unico in quanto non risultano sopravvissute altre vetture di questa serie limitatissima elaborata e venduta da Zagato. La Carrozzeria milanese infatti non è intervenuta solo sulla parte estetica (verniciatura bicolore, accessori, strumentazione, volante Nardi, tappezzeria speciale, cerchi in lega Borrani con coppe speciali) ma anche sulla parte meccanica, affidando alla Stanguellini di Modena il compito di elaborare il motore e l’impianto di scarico. Sul libretto è riportata la dicitura “Derivata Zagato Elaborazione Milano. Sicuramente una delle più rare Fiat 600 esistenti per la quale sono richiesti dai 18.000 ai 20.000 euro.

Le youngtimer. Dai 15.000 ai 18.000 euro è valutata invece una Jaguar XJS del 1992 anche lei giudicata “pari al nuovo” nonostante una percorrenza di 131.000 km. Una GT con motore a 12 cilindri che può essere acquistata a partire da 15.000 euro. Da segnalare anche una Fiat panda 4x4 seconda serie del 1986, utilizzata fino a oggi da un unico proprietario che se ne è servito solo negli inverni più freddi per trasferirsi dalla sua casa in collina fino al centro di Bologna. In 34 anni la vettura ha percorso solo 35.000 chilometri e questo ne fa una delle Fiat Panda 4x4 più desiderabili in circolazione. È valutata tra i 7.000 e i 9.000 euro.

Ci sono anche loro. Chiudono il catalogo di Pandolfini una MG B Roadster I Serie del 1964 in “condizioni eccellenti” (18.000-20.000 euro);  una Jaguar JX6 Sovereign 4.2 del 1983 (5.000-8.000 euro); una Mercedes-Benz 230 CLK Kompressor del 2000 (6.000-8.000 euro); una Jaguar XJC del 1976 (12.000-14.000 euro); e una Alfa Romeo Spider 1300 Junior del 1974 stimata tra 15.000 e 18.000 euro): Per tutte le informazioni pote consultare il sito Internet.

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Villa d’Este: salta l’edizione 2020 del Concorso d’Eleganza

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Gli organizzatori del Concorso d'Eleganza Villa d'Este,  Grand Hotel Villa d'Este e BMW Group Classic  annunciano la  difficile decisione di rimandare l'evento previsto per ottobre 2020 al 28-30 maggio 2021.

Il Concorso d'Eleganza Villa d'Este è uno degli eventi automobilistici più importanti ed esclusivi al mondo. Oltre alle straordinarie vetture esposte, sono gli ospiti stessi i protagonisti della manifestazione che vede riuniti il gotha del collezionismo e tanti appassionati che giungono a Villa d’Este da tutto il mondo per poter godere della bellezza dei capolavori dell’automobilismo. Dopo un'attenta analisi e alla luce delle restrizioni per gli spostamenti internazionali ancora in vigore in tutto il mondo, dopo un’iniziale posticipazione dell’evento in autunno, gli organizzatori hanno ritenuto di cancellare l’edizione 2020 del più antico Concorso d'Eleganza del mondo.In anticipo. Tuttavia non tutti i mali vengono per nuocere e l’edizione 2021 prevista a fine maggio del prossimo anno è in uno stadio di pianificazione avanzata con un livello di anticipazione senza pari: le automobili e le motociclette sono già state confermate nelle rispettive classi. Tutti i momenti salienti del fine settimana previsti per il 2020 saranno riportati al 2021. Anche le conferme per l'iscrizione al Concorso d'Eleganza Villa d'Este 2021 verranno comunicate con largo anticipo.

Appuntamento a maggio. L’organizzazione desidera esprimere anche un sentito ringraziamento per i partecipanti e gli ospiti che avrebbero preso parte all’edizione autunnale, posticipata ad ottobre e poi definitivamente annullata. La promessa è quella di accogliere i partecipanti e gli ospiti dell’edizione 2020 il prossimo maggio a condizioni più favorevoli. Augurando il meglio a tutti i partecipanti, visitatori e collaboratori, l’appuntamento rimane fissato a maggio, come di consueto per l’edizione 2021 del Concorso d’Eleganza Villa d’Este.

Villa d'Este 2020, evento annullato - 1Ruoteclassiche

Fiat Regata, il fascino discreto del pragmatismo

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La Fiat Regata è stata un’apprezzatissima berlina media prodotta tra il 1983 e il 1990. Inizialmente si pensava di chiamarla Fiat Azzurra in onore dell'omonima barca a vela che si affermò all'America's Cup del 1983 e che aveva tra i finanziatori Gianni Agnelli, ma poi venne scelto il nome Regata, sempre legato al mondo nautico.

La Fiat Regata venne presentata al Salone di Francoforte del 1983 e commercializzata come erede della Fiat 131. La nuova berlina media proponeva una linea molto convenzionale: classica berlina tre volumi e quattro porte basata sul pianale della Ritmo, ristilizzata nel 1982. La nuova Fiat Regata oltre al pianale (rivisto) riprendeva anche buona parte della meccanica della Ritmo, pertanto il motore era montato in posizione anteriore trasversale con trazione anteriore. La Regata abbandonava il tradizionale schema meccanico della 131: motore anteriore longitudinale e trazione posteriore, che rimane tutt'oggi prerogativa esclusiva delle vetture di fascia alta. Nel 1984 la gamma Regata venne completata con la versione Weekend, che sostituiva la Fiat 131 Panorama. La “cugina” Lancia Prisma condivideva motori e cambi con la Regata, sebbene le motorizzazioni a benzina di quest’ultima fossero generalmente più potenti degli omologhi Fiat, mentre telaio e sospensioni invece erano diversi, in comune con Lancia Delta. Sul mercato svedese, l'auto era chiamata Regatta, con due “t” in quanto Regata era troppo simile a un termine dispregiativo…Ricercata. Con una linea moderna e un abitacolo spazioso, la Fiat Regata venne apprezzata sin dagli esordi per l’ottimo rapporto qualità-prezzo. La gamma dei motori a benzina prevedeva i modelli 70, 85 e 100. Il cambio era manuale a 5 marce per tutte (tranne la 1,3 litri, che in alcuni mercati era proposta con cambio a 4 rapporti). La motorizzazione 85 a richiesta era disponibile anche con cambio automatico, successivamente anche sulla 70. La Fiat Regata 100 oltre a una potenza superiore offriva dotazioni e allestimenti e dotazioni più ricchi: nelle vesti di modello di punta, integrava il "Control Panel", un computer di bordo che forniva informazioni sul consumo di carburante, velocità media, autonomia, selezione ottimale delle marce. La Regata 100 si configurava così come un’ottima compagna di viaggio durante le lunghe trasferte autostradali.

Andava lontano! La Regata Diesel venne pensata espressamente per chi percorreva molta strada ed era disponibile in due motorizzazioni: la prima da 1714 cm³ capace di 58 CV e un 1929 cm³ da 65 CV (dal 1984). Due gli allestimenti, normale e "S" (Super), con alzacristalli elettrici e chiusura centralizzata, oltre a una strumentazione più completa. La Regata DS era inoltre l’unica dotata di serie del servosterzo, a richiesta sull’omologa versione a benzina, la 100S. Sempre a richiesta il condizionatore d’aria che poteva equipaggiare le 85, 100 e Diesel in allestimento “S”. Il climatizzatore della Regata S si caratterizzava per il controllo elettronico e prevedeva pulsanti basculanti in luogo dei tradizionali cursori a leva della normale ventilazione, mentre alcune file di LED indicavano la portata e la temperatura dell'aria. A quattordici mesi dalla commercializzazione, i modelli diesel rappresentavano circa il trenta per cento delle Regata prodotte.

Semplice ma avanzata. A partire dalla Regata 70  venne sviluppata anche la Regata ES (Energy Saving), una versione che presentava alcuni miglioramenti aerodinamici e accorgimenti tecnici per ottimizzare i consumi: rapporto di compressione più alto, fasatura della distribuzione diverso, carburatore con cut-off elettronico. Il motore da 1301 cm³ erogava 65 CV (3 CV in meno della 70, che arrivava a 68 CV) e soprattutto era dotato di un sistema di spegnimento (con vettura ferma, cambio in folle e pedale della frizione sollevato) denominato Citymatic, antesignano del sistema start&stop. L’accensione era di tipo elettronico digitale: l’avanzato impianto Digiplex sviluppato dalla Magneti Marelli. Il cambio era il manuale a cinque velocità montato anche sugli altri modelli.

Secondo tempo. Nel 1986 la Regata venne sottoposta ad un importante aggiornamento che vide interventi sui particolari estetici (nuove maniglie, paraurti e finiture interne), ma anche importanti novità sul comparto meccanico. La versione 100S i.e. equipaggiata con l'inedito motore 1600 bialbero ed iniezione elettronica Single Point prese il posto della 100S. Per i mercati esteri le versioni 75 i.e. con motore 1.500, e la 90 i.e., in pratica una 100S i.e. depotenziata per contenere le emissioni e permettere l'uso del catalizzatore già obbligatorio in alcuni europei. Dal listino italiano venne eliminate le versioni 1,5 litri 85 e 85S, perciò l’unica variante a poter montare il cambio automatico fu la Regata 70 Automatica spinta da un motore da 1,3 litri da 65 CV. Sul fronte diesel venne introdotto un nuovo motore turbodiesel da 80 CV con cilindrata di 1.929 cc (Regata Turbo DS), mentre l'unità da 1.714 cc scese a 1.697 cc ma erogava una potenza lievemente superiore (60 CV, indicato come Regata D).

Mare e Riviera. Nel 1987 venne presentata la serie speciale “Riviera”, prodotta esclusivamente con le motorizzazioni di punta, a benzina 100S i.e e Diesel 1,9 turbo.  rispetto alle versioni S era riconoscibile grazie a un filetto decorativo laterale con scritta "Riviera" e paraurti in tinta. Ricca la dotazione di serie, che prevedeva l’aria condizionata oppure in alternativa il tetto apribile, gli interni erano rivestiti in velluto ed era disponibile soltanto in due tinte metallizzate. La Riviera è stata prodotta fino al 1990, mentre dal 1989 venne affiancata da un'altra versione speciale, realizzata a partire dai modelli base con motore 1,3 a benzina e 1,9 Diesel aspirato. La Regata Mare prevedeva i vetri elettrici anteriori e la chiusura centralizzata, insieme a nuovi rivestimenti interni. Nello stesso anno venne tolto dal listino il motore Diesel 1,7.

Pronti per il weekend? La Fiat Regata Weekend venne introdotta nel novembre del 1984 ed era disponibile con tutti i motori offerti sulla berlina, ma non era disponibile in versione automatica. Peculiarità della Regata Weekend era  il paraurti posteriore a ribaltina, che permetteva un più facile accesso alla zona di carico e poteva essere usata anche come seduta a vettura ferma, (ad esempio nei pic-nic) in quanto capace di sostenere fino a 150 kg. La ribaltina venne mantenuta anche nelle station wagon successive come Tempra e Marea. Sospensioni e freni della Regata Weekend vennero irrobustiti per far fronte al peso supplementare. Accanto alla Weekend, dal 1985 venne prodotta la  Marengo la variante commerciale a due posti disponibile solo con il motore diesel più grande.

Si scrive con due “t”. La Fiat Regata è stata prodotta anche in Argentina dalla dalla Sevel dal 1985 al 1995: complessivamente sono state realizzate 56.789 vetture, esportate in piccola parte  anche in Cile e Venezuela. Come in Svezia, anche in America Latina l'auto era chiamata “Regatta” e venne proposta inizialmente con i motori di 1301 cc da 68 CV (Regatta 70) e 1498 cc da 82 CV (Regatta 85), leggermente diversi dai modelli europei. In America Latina la Fiat Regatta era considerata un modello “premium” e nel 1987, la 2000 Twincam sostituì il modello 100S, mantenendo lo stesso equipaggiamento, ma con il motore bialbero da due litri dell’ammiraglia Fiat Croma. La nuova variante 2 litri aveva 10 CV in più e una coppia maggiore. La Fiat “Regatta 2000” accelerava da 0 a 100 km/h in 9,8 secondi e si caratterizzava per lo spoiler posteriore. Nel mentre la Regatta 85 cambiò nome, diventando la Regata 1.5, disponibile negli allestimenti S (Super) e SC (Super Confort).

Efficace. Un lifting più approfondito nel 1988 dette vita alla Regata Edición II: i motori rimasero invariati fino al 1990, quando entrambi i propulsori 1,3 e 1,5  furono sostituiti dal motore 1581 cc da 87 CV della Fiat Tipo. In seguito si aggiunse un più economico 1,4 S che utilizzava il motore 1372 cc da 63 cv condiviso sempre con la Tipo. La produzione della Regatta si concluse nel 1995, quando venne ommercializzata la Tempra anche nel mercato sudamericano. La Fiat Regatta Weekend venne prodotta tra il 1986 e il 1992: disponibile inizialmente solo con il motore 1.5, negli ultimi tre anni è stata equipaggiata con il motore motore della Fiat Tipo da 1,6 litri. Con una produzione totale di quasi un milione di esemplari, la Fiat Regata è stata un grande successo per la Fiat, in un settore automotive sempre più standardizzato, questo modello convinse per le sue qualità intrinseche. Senza guizzi stilistici o prestazioni sportive riuscì a far breccia per la sua completezza: perchè come spesso accade, le ricette semplici sono anche le più efficaci.

 

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Audi S8, l’ammiraglia in abito informale

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L’Audi S8 è la variante più sportiva della A8. Nata nei primi anni 90 sotto la guida di Ferdinand Piëch, che dalla presidenza del gruppo VAG rese il marchio Audi la “testa di ponte” per l’affermazione del gruppo Volkswagen nelle fasce più alte del mercato.

Il progetto risale al 1982, quando Ferdinand Piëch firmò un accordo con l’Alcoa (Aluminum Company of America) con l'obiettivo di sviluppare una vettura di alta gamma che sarebbe stata notevolmente più leggera delle sue concorrenti (per compensare il fatto che la trazione integrale di serie fosse di circa 100 kg più pesante della trazione posteriore delle rivali). La prima vettura della casa a beneficiare del nuovo telaio sarebbe stata il modello successore dell’Audi V8, la prima ammiraglia a trazione integrale introdotta nel 1988. Nel 1991 venne scelta la proposta di Chris Bird e Dirk van Braeckel e già nel 1992 venne avviato il progetto per la produzione della futura berlina d’alta gamma. Nel settembre 1993, al Salone dell'automobile di Francoforte venne presentata l'Audi Space Frame: una showcar con carrozzeria in alluminio lucidato che prefigurava in maniera quasi definitiva la futura Audi A8. Il modello di serie venne presentato ufficialmente nel giugno 1994 e la A8 diventa la prima vera ammiraglia della Casa sviluppata ex novo. Il gruppo Volkswagen, detentore del marchio Audi era nel pieno di una svolta imperialistica: la casa dei quattro anelli fu tra le principali esponenti di un periodo caratterizzato da una continua sperimentazione tecnica e stilistica.

 Rivoluzione nell'alto di gamma. L’Audi A8 (serie D2) introduce in anteprima un telaio di tipo space frame interamente in alluminio: una soluzione inedita tra le auto di grande produzione. Ma la nuova Audi A8 rivoluzionava il segmento proponendo per prima anche il cambio automatico Tiptronic con modalità sequenziale e soprattutto la trazione integrale “quattro”, una soluzione che nessun’altra ammiraglia fino a quel momento aveva adottato. Le linee non sono particolarmente estrose, ma l’A8 con la tipica pulizia stilistica di quel periodo coniuga magistralmente un’eleganza e una modernità contemporanea, che la rendono piacevole anche a oltre 25 anni dal lancio.  I motori sono inizialmente i V8 a benzina 3.7 litri da 230 CV e 4.2 litri da 300 CV. Nel 1996 vengono lanciate anche le motorizzazioni V6: benzina 2.8 litri da 174 CV e turbodiesel 2.5 V6 da 150 CV disponibili anche con trazione anteriore. Nello stesso anno debutta la versione sportiva S8, dotata del V8 4.2 potenziato a 340 CV. Nella lunga lista di accessori offerto di serie figuravano il cambio automatico, i rivestimenti in pelle, climatizzatore automatico bi-zona, airbag guidatore e passeggero, ABS e controllo di trazione.

Sempre meglio. Nel 1999 l’Audi A8 venne sottoposta ad un restyling, che oltre lievi modifiche estetiche vide l'introduzione di fari allo xeno più grandi e un nuovo volante a 4 razze più in linea con la tipologia di vettura (quello sportivo opzionale), venne offerto di serie anche il controllo elettronico di stabilità e sulle versioni di punta anche il navigatore satellitare. Con l’occasione venne presentata anche la A8L 4.2 con passo allungato di 13 cm. Intanto i motori V6 e V8 a benzina adottarono le 5 valvole per cilindro e di conseguenza il 2.8 vide la potenza aumentata a 193 CV, mentre per il 3.7 e il 4.2 rispettivamente a 260 CV e 310 CV. Anche i motori turbodiesel vennero aggiornati con il 2.5 TDI da 180 CV e l'introduzione dell’inedito 3.3 V8 turbodiesel common-rail da 224 CV. Nel 2001 debutta anche il prestigioso 6 litri da 420 CV: un innovativo 12 cilindri con disposizione a “W”. Un’altra primizia sviluppata dal gruppo Volkswagen sempre più determinato ad affermarsi nel mondo automotive come pioniere di nuove soluzioni tecniche. L’Audi A8 W12 venne proposta a passo normale e lungo, ma considerato il ruolo di rappresentanza e il grande prestigio del modello, gran parte delle W12 vennero sviluppate sulla base del modello a passo lungo. La più sportiva S8 era basata invece sul modello normale e dopo il restyling il suo 4.2 V8 raggiunse i 364 CV.

S come sportiva. Prodotta dal 1996 al 2002, l’Audi S8 D2 seguiva la nomenclatura degli altri modelli ad alte prestazioni Audi con la "S" che precedeva il numero in luogo della “A”. Una denominazione introdotta con l’S6 (derivata dalla prima generazione della A6) e simile a quanto in uso presso la concorrenza: BMW con i modelli M e Mercedes-Benz con le varianti AMG. Dal punto di vista estetico, Audi differenziò la S8 dalla A8 con piccoli interventi che rendevano l’S8 immediatamente riconoscibile: in primis gli specchietti retrovisori esterni in alluminio, le finiture della calandra anteriore a maglie larghe, e i doppi tubi di scarico lucidati, insieme alla targhetta "S8". All’interno erano di serie sedili sportivi anteriori regolabili elettricamente in 14 posizioni dotati di riscaldamento e funzione di memoria, così come i sedili posteriori riscaldati. I cerchi in lega standard erano da 18 pollici nel tipico disegno "Avus" a sei razze. Dopo il lifting del 1999, vennero proposti anche i più sportivi cerchi “RS”, grandi ruote da 20 pollici con nove razze. Disponibili a richiesta, nell’ultimo anno di produzione nei mesi che precedettero l’uscita di scena dell’S8 (settembre 2002) i cerchi RS divennero un'opzione a costo zero.

Ammiraglia ma con grinta. L’S8 era essenzialmente una versione potenziata a 340 CV del V8 da 4,2 litri con quattro valvole per cilindro, che nel 1999 prevedeva la nuova configurazione a cinque valvole per cilindro, che si tradussero in 364 CV e 430Nm di coppia massima erogati tramite una trazione integrale permanente In alcuni mercati come il Regno Unito, la S8 era disponibile solo con il cambio automatico, mentre su altri era possibile scegliere anche un cambio manuale. I modelli per il mercato europeo erano equipaggiati di serie con un cambio manuale a sei marce, mentre dal 1997 per buona parte degli altri mercati, a partire dal Regno Unito venne proposta una versione più reattiva del cambio automatico Tiptronic a 5 marce (tipo ZF 5HP24) con "Dynamic Shift Program" (DSP). L’Audi S8 prevedeva poi sospensioni sportive ribassate di 20 millimetri con molle più rigide del 30% e un 40% in più di smorzamento in compressione negli ammortizzatori. Di serie anche il servosterzo ad assistenza variabile "Servotronic" che variava la servoassistenza in funzione della velocità. Contemporaneamente al lifting dell'A8, alla fine del 1999, l'S8 ha ricevuto gli stessi aggiornamenti estetici e in questa occasione, l’Audi S8 debuttò sul mercato nordamericano. L’incremento di potenza consentiva a questa ammiraglia ad alte prestazioni di accelerare da 0 a 100 km/h in 5,4” (contro i precedenti 6,6) con una velocità di punta limitata elettronicamente a 250 kmh/h.

Strada spianata verso il successo. Con queste prerogative l’Audi S8 poteva vantare una tenuta di strada formidabile, specialmente su fondi a scarsa aderenza dove la collaudata trazione quattro riusciva a fare la differenza rispetto alla concorrenza che soltanto in un secondo momento dotò le sue ammiraglie di sistemi a trazione integrale. Anche il telaio in alluminio e un’architettura leggermente più bassa e compatta permisero all’A8 di solleticare gli appetiti di una clientela che desiderava il prestigio e i contenuti del segmento più alto senza rinunciare alle prestazioni e alla sicurezza. L’Audi S8 D2 incarnava pienamente il nuovo slogan della casa dei quattro anelli “All’avanguardia della tecnica” e rappresentò un passaggio importante per affermare definitivamente il marchio Audi tra i principali competitors nell’esclusivo (e combattuto) mondo delle auto di lusso. Ma alla notorietà del modello contribuì sicuramente il film d’azione “Ronin” dove l’Audi S8 supportata da un cast stellare dà prova delle sue qualità in alcuni inseguimenti che hanno fatto la storia del cinema.

 

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Coppa d’oro delle Dolomiti 2020: riparte il Campionato Italiano Grandi Eventi

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Grande attesa per il primo appuntamento del Campionato Italiano Grandi Eventi 2020 a calendario ACI Sport. É la Coppa d’Oro delle Dolomiti a rompere il ghiaccio, in programma tra pochissimi giorni, dal 23 al 26 luglio.

Con l’annullamento della Coppa Milano-Sanremo a causa dell’emergenza da Covid-19, saranno 4 gli appuntamenti che daranno vita al Campionato Italiano Grandi Eventi di quest’anno, a cominciare proprio dalla Coppa d’Oro delle Dolomiti, che animerà la magica Cortina il prossimo fine settimana. Seguiranno dal 17 al 20 settembre il Gran Premio Nuvolari, dal 15 al 18 ottobre la Targa Florio Classica, e dal 21 al 24 gennaio 2021 la Coppa delle Alpi, che nonostante sia stata posticipata all’anno venturo avrà validità per il campionato 2020.78 in griglia di partenza. Anche per l’Automobile Club Belluno in collaborazione con ACI Storico e ACI Sport l’organizzazione di questa edizione della Coppa d’Oro delle Dolomiti non deve essere stata facile, considerata la delicata situazione che ha investito Italia ed Europa negli ultimi mesi. Ma il numero degli iscritti gli ha dato ragione di crederci e di non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà. Saranno infatti circa un’ottantina gli equipaggi che prenderanno parte a questa avventura, suddivisi tra Classica, Legend e Tributo. 

Attraverso le Dolomiti. Il programma prevede l’arrivo e l’accredito dei partecipanti a Cortina nella giornata di giovedì 23 luglio. La prima tappa di circa 250 chilometri porterà i concorrenti alla scoperta delle montagne e dei paesaggi più suggestivi al mondo, non a caso dichiarati Patrimonio Naturale dell’Umanità UNESCO. Dal Passo Giau alla Forcella Staulanza fino a Belluno, Feltre e Pedavena, dove è prevista la sosta pranzo. Nel pomeriggio il road book guiderà le storiche signore verso Agordo e, una volta svalicato il Passo Falzarego rientreranno a Cortina.

Ultima tappa. Sarà sempre la Perla delle Dolomiti a salutare l’inizio della seconda tappa nella giornata di sabato 25 luglio. Questa volta gli equipaggi percorreranno circa 216 chilometri e si dirigeranno verso il Passo tre Croci per esplorare l’Alto Cadore e il Comelico. Dopo una breve sosta a Passo Montecroce Comelico, la carovana raggiungerà l’Alta Pusteria per poi indirizzarsi verso il Passo Valparola con rientro nel pomeriggio a Cortina. In tutto saranno 90 le prove cronometrate da affrontare, intervallate da 6 prove di media con rilevamenti nascosti.

Non finisce qui. Dopo il successo dello scorso anno, ritornerà la domenica mattina, in attesa della cerimonia di premiazioni, il Tour dei Sestieri di Cortina, questa volta con l’aggiunta di 8 prove cronometrate. Un’occasione non solo per scoprire una Cortina che magari non si è mai vista, ma anche per non perdere l’allenamento. Le prove previste saranno fuori classifica ma daranno comunque vita a una graduatoria speciale che prevede per i primi tre classificati dei premi messi in palio dal comune di Cortina.

 

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Il ciclone Modulo che ancora ci spaventa

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Nella primavera di cinquant’anni fa, al Palazzo delle Esposizioni di Ginevra, la storia dell’automobile e del design industriale subì un contraccolpo. Il prototipo di ricerca Modulo, presentato dalla carrozzeria Pininfarina su uno chassis Ferrari 512, era sceso sulla Terra. Ma non si era trattato di un atterraggio morbido. Per essere accettato dal management, dai saggi chiamati da fuori, e persino dalla Ferrari, si dovette sfidare una tempesta. I cui ultimi refoli soffiano ancora oggi.

 

La Modulo, che a tutti gli osservatori richiama il mondo della fantascienza, in realtà lo anticipa. Paolo Martin, che la disegnò per Pininfarina alla fine del 1967, quando aveva ventiquattro anni, sostiene di non aver mai visto film del genere. Neppure 2001 Odissea nello spazio, che peraltro arrivò nel ‘68. Ma se anche li avesse visti ne avrebbe avuto poca ispirazione. Nella celebre serie “UFO” per la Tv, che uscì nel 1970, l’auto che il biondo comandante Straker guida nel telefilm - a confronto della Modulo -  è già vecchia.

 

Una scelta coraggiosa. Bisogna allora dare credito ai ricordi di Martin, quando dice che il primo schizzo della Modulo apparve per caso, in un angolo del suo tecnigrafo alla Pininfarina, giocando con la matita. Il gioco è ancora più divertente se si pensa che il giovane designer stava lavorando allora al progetto di  una Bentley Continental con vestito italiano, un grosso coupé dalle linee classiche, una tema assai poco futuribile.Lo scarabocchio, nei mesi che seguirono, crebbe. Divenne una serie di disegni in scala 1:10, ancora grezzi, ma in cui la navicella a forma di freccia, simmetrica e priva di ruote, cominciava ad assomigliare a qualcosa di stradale. Il capoufficio di Martin, Franco Martinengo, un uomo colto e dai modi gentili, posò inevitabilmente lo sguardo su di essa. Ne parlò con l’autodidatta Martin e poi con i celebri “ingegneri” che guidavano l’azienda, i cognati Sergio Pininfarina e Renzo Carli. Anche nei figurini il concept lasciava interdetti. Il desiderio di farne qualcosa per uno dei prossimi Saloni era forte, ma si scontrava con la tradizione del marchio, fatta di eleganza e proporzioni. La più grande firma della carrozzeria mondiale voleva affascinare il suo pubblico, non sconcertarlo.

La creatura prende forma. Nell’estate del ’68 il giovane Paolo non andò in ferie. Si fece comprare invece otto metri cubi di polistirolo dall’officina, due batterie d’automobile e una serie di seghetti termici da traforo. Si costruì anche una gigantesca raspa per arrotondare le forme del suo giocattolo. E in pantaloncini corti, zoccoli e in compagnia saltuaria del custode della fabbrica, che lo guardava divertito, si mise a scolpire. In tre settimane la maquette in scala 1:1 era pronta, impreziosita da profili e parti dipinte. Vista in tre dimensioni faceva ancor più paura. Con il grande Pinin, scomparso nel ’66,  dialogare intorno a una forma del genere sarebbe stato arduo. Anche se il fondatore, giunto all’apice del successo, si permetteva ogni tanto delle follie. Ma i due giovani cognati impallidirono alla vista della Modulo, che come tutte le opere d’arte usciva, e di molto, dall’universo delle cose consuete. Industrialmente parlando era un azzardo. - Ma mi scusi, Martin – disse Sergio - lei a cosa pensava quando ha fatto una cosa del genere? - Non a un’automobile, rispose il designer. Così la scultura finì sotto un telo, in un angolo dello studio fotografico. E vi rimase un anno, sorpassata al Salone di Torino del ’69 da un altro concept molto bello, su meccanica Ferrari, disegnato da Filippo Sapino secondo canoni più consueti.

Questa Modulo s'ha da fare. Improvvisamente però successe qualcosa. Renzo Carli, che più di Pininfarina era intrigato dalla ricerca in genere e dalla modernità tremenda della Modulo, aveva alla fine telefonato a Milano. Aveva bussato nientemeno che alla porta di Gio Ponti, che allora dirigeva Domus, invitandolo a venire a giudicare un oggetto che aveva portato aria di tempesta. Il grande architetto, quasi ottantenne, giunto di fronte al “mucchio di polistirolo” non aveva avuto dubbi. La Modulo doveva nascere. E subito. L’unica critica di Ponti fu per i grandi fori rotondi che interrompevano la superficie del cofano motore. “Il tondo è fermo nello spazio – sentenziò il maestro – mentre questa creatura punta in avanti. Farei anche quelli a forma di freccia.” Non è dato sapere con quale spirito il giovane Martin, che aveva fatto la scuola media ed aveva imparato tutto da solo, trovò l’animo per contraddirlo. “Mi perdoni, professore - disse arrossendo - ma quei fori servono solo a far uscire l’aria calda del motore. E me a piacerebbero più tondi”. Mezzo secolo dopo, non c’è dubbio che delle aperture lanceolate suggerite da Ponti sarebbero risultate corrette, ma più prevedibili. Mentre la semplicità della lamiera forata e della forma elementare, così rara su un’automobile, oggi ancor più di ieri, è bella perché sorprendente. Proprio come il genio estetico che distingue da sempre lo stile italiano. E che nel resto del mondo, per nostra fortuna, non hanno ancora imparato a copiare. Si è scritto in apertura che le estreme propaggini dell’uragano Modulo, e delle polemiche che generò, si sentono ancora oggi. L’anno prossimo si terrà al MAUTO la mostra sui novant’anni (più uno) di Pininfarina, posticipata per il Covid. Sono in molti a scommettere che di quell’opera d’arte di mezzo secolo fa, ma che oggi sembra ancora da inventare, si farò solo un accenno fra le righe.

 

 

 

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Mezzi storici o inquinanti: la Regione Lombardia vara il controllo a distanza

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La Lombardia introduce il controllo a a distanza delle classi di omologazione e di emissioni con le telecamere dei portali delle ZTL.

La proposta della Giunta lombarda risale al 2017, quando l’allora assessore all’Ambiente, Claudia Terzi,  scrisse della necessità di svolgere più controlli sulle strade per limare la circolazione dei mezzi più inquinanti:  “Ho già ribadito al ministro dell’Ambiente la necessità di porre particolare attenzione al tema del controllo in automatico dei veicoli, da attuarsi con l’uso di telecamere omologate e, in modo specifico, da parte di alcuni Comuni, alla riduzione della velocità dei veicoli, oltre ad altri strumenti di controllo della circolazione dei mezzi per il trasporto delle merci in autostrada, tra questi il pedaggio differenziato dei veicoli più inquinanti rispetto a quelli meno inquinanti”. Da allora il Codice della strada non è stato aggiornato alla volta di telecamere in grado di scovare auto vecchie,  ma non di meno il Pirellone ha deciso di investire sulla tecnologia informatica che limiterà gli accessi dei mezzi inquinanti nelle ZTL.

Gli impianti di sorveglianza. Come ha detto l’assessore regionale alla Sicurezza, Riccardo De Corato, “la Regione Lombardia delibererà un finanziamento di 4,5 milioni di euro destinato ai Comuni lombardi per la realizzazione di impianti di videosorveglianza per il controllo dei veicoli più inquinanti”. “In pratica, destineremo 4,5 milioni di euro dei 60,5 milioni assegnati alla Regione a un bando per la realizzazione di impianti di videosorveglianza per il controllo targhe dei veicoli, con verifica informatizzata di quelli inquinanti e gestione in zone a traffico limitato o nelle aree soggette a disposizioni di limitazione. Potranno essere finanziati sia interventi ex novo, sia il potenziamento di impianti già esistenti e in sede di partecipazione al bando, verrà data priorità agli Enti locali il cui territorio è ricompreso nell’area geografica con maggior inquinamento atmosferico".

Giro di vite contro le emissioni. "Questa misura - conclude l’assessore De Corato - è un ulteriore strumento che diamo ai Comuni della nostra regione per il controllo della circolazione dei mezzi inquinanti. Questi impianti in futuro potranno assumere altre funzioni legate anche al controllo del territorio". Per ora il Codice della strada ammette il solo controllo della classe inquinante di un mezzo in ingresso di una ZTL. La zona a traffico limitato, peraltro, deve essere approvata dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, secondo il possesso di una serie di requisiti ben precisi.

Goodwood, ad ottobre l’appuntamento con la Speedweek

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La campagna del West Sussex risuonerà del rombo dei motori anche quest'autunno per la spettacolare Goodwood Speedweek.

Dopo la sofferta decisione di annullare il 78° il Goodwood Festival of Speed e il Goodwood Revival, dal 16 al 18 ottobre 2020, la Goodwood Speedweek riunirà gli elementi preferiti degli appuntamenti cancellati. A questo si aggiungono alcune delle gare che solitamente sono riservate ai soci, per un'incredibile celebrazione della velocità e della bellezza. Quest’anno l'evento si svolgerà a porte chiuse presso il Goodwood Motor Circuit e verrà trasmesso in streaming attraverso il sito web di Goodwood Road & Racing nella sua interezza, corredato da un inedito livello di interattività: con gli spettatori che potranno godersi le corse prendendo posto in un cockpit virtuale.In corsa tra passato e futuro. Goodwood Speedweek sarà un evento unico nel suo genere per celebrare il passato, il presente e il futuro del motorsport all’insegna di una grande passione da condividere. Si susseguiranno supercar di ogni epoca, presentazioni di auto nuove e un'asta online di vetture straordinarie organizzata da Bonhams. Naturalmente è l'azione in pista l’ingrediente principale: è qui che saranno protagoniste le auto da competizione che hanno segnato oltre un secolo di motorsport. Le gare più famose del Revival e dell'Assemblea dei soci compongono una tre giorni che vedrà impegnate le vetture da gara a motore aeronautico di epoca edoardiana, le gloriose GT degli anni '60 e le berline sportive degli anni 70 in una sfida all’ultima curva. Non mancheranno nemmeno i passaggi fuori pista con la prima Goodwood Gymkhana, un’anteprima assoluta seguita dal Rally Sprint. Il fine settimana culminerà con l’esclusiva Speedweek Timed Shootout, la gara a eliminazione che si disputa attorno all'impegnativo Goodwood Motor Circuit.

C’è anche la Gymkhana. Non si è mai visto niente di simile durante la Speedweek: le auto più preziose si daranno battaglia nella corsa storica più competitiva del mondo, guidate da una brillante platea di volti famosi. In mancanza di spettatori, il rally e l’inedita Goodwood Gymkhana espanderanno le aree d’azione toccando luoghi che normalmente sono esclusi dalle competizioni. La diretta della Gooodwood Speedweek sarà disponibile gratuitamente sul sito web di Goodwood Road & Racing, sui canali sociali e su quelli dei partner dell’evento. Il programma ufficiale e la line-up completa dei piloti saranno annunciati nelle prossime settimane. Restate sintonizzati!

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Ghibli 2, l’ultima con il V6 Biturbo

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Nei giorni in cui Maserati annuncia il nuovo V6 Biturbo “Nettuno” della supersportiva MC20 e l’arrivo della Ghibli Ibrida, l’associazione per idee ci riporta alla seconda Ghibli del 1992, costruita sul pianale della famigerata famiglia Biturbo.

Quanto sia cambiato il mondo dai tempi delle Maserati Biturbo, lo testimonia l’annuncio in parallelo del nuovo motore Nettuno, un 6 cilindri a V di 90° biturbo 3 litri da 630 cv; e della MC20, la prima supersportiva ibrida del Tridente. Nel luglio caldo di via Ciro Menotti a Modena, la temperatura sale parallelamente all’attesa della sua presentazione di giovedì 16. Con questi nomi e con questa architettura, è impossibile non pensare alla seconda Ghibli del 1992, che montava proprio il V6 della Biturbo alla sua massima evoluzione. MC20, oggi. Biturbo, l’altro ieri. Anzi, la fine del secolo scorso. Un periodo che per Maserati assume i contorni bui della proprietà De Tomaso. Eppure, nonostante tutto, le diverse reincarnazioni della piattaforma Biturbo hanno tenuto a galla un marchio decaduto fino all’acquisto da parte del Gruppo Fiat, oggi FCA. Cioè fino all’arrivo della Ghibli 2, che però non aveva nulla a che fare con la prima, magnifica granturismo degli anni Sessanta che si fregiava di questo nome. È quasi un restyling della Racing, che insieme alla Shamal aveva ottenuto scarso successo commerciale; ma pur sempre un passo avanti. A cominciare dal design, firmato sempre da Marcello Gandini, con il muso ridisegnato e la coda più alta, appendici aerodinamiche e cerchi specifici. Anche il V6 in alluminio era arrivato al punto di non ritorno, con testate twin-cam a 4 valvole e ben 360 cv, tantissimi per un due litri di quei tempi. Che restava riservato al mercato italiano: all’estero andava il più docile 2.790 cc derivato dalla 228i, che arrivava a 284 cv e 250 kmh. Se non altro, compensava con una coppia dalla Shamal, la Ghibli 2 eredita il cambio manuale a 6 marce Getrag e le sospensioni Koni adattive; resta l’interasse di 2.514 mm, con carreggiata è più larga. Quando nel ’95 la Ghibli diventa GT, una serie di aggiornamenti comprende il differenziale posteriore.165 cv/litro: boom! Per quanto elegante, veloce e dagli interni di gran lusso, non sono molti quelli che si azzardano a eleggere la Ghibli auto di tutti i giorni. In realtà, una bella fetta dei problemi che affliggevano la precedente piattaforma Biturbo sono stati parzialmente risolti a partire dai modelli a iniezione del 1986. Migliorano la componentistica degli interni, il controllo della pressione dei turbo, la carburazione, i trattamenti antiruggine. La seconda serie del 1994 porta in dote (finalmente) anche l’ABS, una seconda sonda Lambda e i cerchi Millemiglia da 16” dedicati. A qusto punto, tutto era pronto per un florilegio di versioni speciali. A cominciare dalla KS (Kit Sportivo), un pacchetto che per sei milioni di lire comprendeva i cerchi in lega scomponibili OZ Futura da 17”, barre antirollio e molle irrigidite Eibach che ribassavano l’assetto. Più convincente la Ghibli Cup, derivata dalla Open Cup da corsa e costruita in appena 65 esemplari. Il 2 litri (stavolta anche per l’export) saliva alla prestazione clamorosa di 330 cavalli – 165 cv/litro, un record mondiale - grazie alla pressione di sovralimentazione dei turbo IHI maggiorata, alla nuova pompa della benzina e alla mappatura specifica. In dote la Cup portava anche i freni Brembo più potenti, sospensioni adattive più robuste, cerchi a cinque razze Speedline. All’interno il volantino Momo, la pedaliera alleggerita in alluminio e gli inserti in fibra di carbonio. Nonostante la posizione di guida, il cambio non altezza e qualche rumorino di troppo, la Cup riportò il pollice alzato nelle recensioni della stampa specializzata.

Una GT per Abbate. La terza serie del 1995 prende la sigla GT, che adotta i cerchi da 17” (ma a sette razze anziché cinque), il nuovo differenziale ZF e un paio di aggiornamenti stilistici fra i quali l’eliminazione del finto bocchettone della benzina sul lato sinistro. Un paio d’anni dopo la versione limitata Primatist in 35 esemplari celebra il record mondiale di velocità su acqua riportato dall’omonimo idroplano costruito da Bruno Abbate – fratello di Tullio. Il motoscafo realizzato intorno al V6 Maserati da 360 cv stupisce il mondo toccando i 216,703 kmh sul chilometro lanciato. Di qui, il colore della carrozzeria blu mare abbinato agli interni in pelle blu e azzurri. Da notare che la velocità massima della Ghibli su asfalto era di 260 kmh… Quando esce di produzione nel 1997, in tutto l’ultima discendente delle V6 Biturbo è stata venduta in 2.380 esemplari. Che non è affatto male per una coupé sportiva tirata un po’ per le lunghe e dai precedenti così famigerati. Consumi a parte, è anche una youngtimer di fascia alta che, in ottime condizioni, si porta a casa per meno di 25mila euro.

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La Skoda alla 24 Ore di Le Mans: 70 anni fa il debutto sfortunato

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Nel 1950 una squadra ufficiale Skoda partecipa per la prima e unica volta alla 24 Ore di Le Mans: dopo 13 ore di gara alla media di 126 km/h l’equipaggio ceco è costretto al ritiro per un guasto meccanico. Quest’anno la stessa vettura avrebbe dovuto prendere il via alla corsa storica, poi annullata per il Coronavirus.

Calata la “cortina di ferro” all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, i Paesi dell’Europa dell’Est sono sotto il pieno controllo dell’Unione Sovietica. La produzione automobilistica langue, perché la motorizzazione di massa non è obiettivo prioritario dei regimi comunisti. Anche la Skoda, marca storica e tecnologicamente avanzata, deve genuflettersi ai nuovi diktat. Ed è un peccato, perché la Cecoslovacchia, prima della guerra, era una delle culle dell’automobilismo mondiale e la Boemia, ricca regione ceca di forte influenza tedesca, una delle zone a maggior vocazione industriale pesante. Tant’è che, negli anni Venti e Trenta, Praga era la città al mondo con maggior densità di Bugatti in circolazione…Auto popolari, anche nel Motorsport. La produzione automobilistica del dopoguerra nella Cecoslovacchia è improntata sui nuovi modelli Tudor, della serie 1101 e 1102, di fatto un restyling della Popular d’anteguerra. La gamma prevede le berline a 2 e a 4 porte, una versione familiare a 3 porte, un piccolo furgoncino (e la derivata ambulanza) e le più esclusive roadster e coupé-cabriolet. In più, l’immancabile versione militare destinata all’esercito di quello che poco dopo verrà chiamato “Patto di Versavia” in contrapposizione alla Nato. I motore è un 4 cilindri in linea con albero a camme in testa di 1,1 litri, con potenza a partire dai 32 CV. La carrozzeria è tradizionale, ma abbastanza moderna se confrontata con altri prodotti contemporanei dell’Est Europa. Come da tradizione, la concezione avanzata è nelle sospensioni, a ruote indipendenti sia davanti sia dietro. Destinata principalmente all’esportazione, la Tudor è costruita in circa 71.500 unità dal 1946 al 1952, di cui oltre 50.000 vendute all’estero. Per farsi pubblicità e sostenere le vendite all’estero, la Skoda partecipa ad alcune competizioni con una squadra ufficiale.

Tappe di avvicinamento a Le Mans. Il punto di forza della Skoda Popular nelle corse è la robustezza unita a una grande affidabilità: al Rally della Polonia del 1948, per esempio, le Popular vincono ben quattro categorie differenti. L’impegno nel resto del mondo non è da meno: al Rally Montevideo-Melo-Montevideo in Uruguay, per esempio, conquistano il primo e secondo posto. Pure nelle gare in pista i risultati sono eccellenti: alla 24 Ore di Spa Francorchamps, tre speciali berlinette a 4 posti conquistano i primi tre posti nella categoria 1100. A partire dal 1949, però, l’obiettivo diventa più ambizioso: partecipare alla 24 Ore di Le Mans: il traguardo è la conquista non solo della classe fino a 1100 cm3, ma anche puntare alla speciale classifica di coefficiente di prestazione.

Il debutto sulla Sarthe nel 1950. Il 24 giugno del 1950 una Skoda 1101 Sport con carrozzeria roadster 2 posti è allineata ai blocchi di partenza della 24 Ore di Le Mans. Al volante si alternano i piloti ufficiali Václav Bobek e Jaroslav Netušil. La vettura è rivista nell’aerodinamica, ha il passo allungato e grazie alla carrozzeria alleggerita, pesa soltanto 600 kg. Il motore è sempre il solito 4 cilindri di 1,1 litri, con potenza portata a 50 CV a 5200 giri. La velocità massima è di 140 km/h. Dopo la partenza classica, con i piloti che corrono a piedi verso le auto schierate a lisca di pesce, le cose si mettono bene per l’equipaggio ceco: sono secondi nella categoria fino a 1100 (su 60 equipaggi alla guida di 11 modelli differenti) e quinti nella graduatoria all’indice di prestazione.

Maledetta tredicesima ora. Purtroppo, dopo aver guidato per 115 giri e 13 ore, alla media di 126 km/h, la Skoda che porta il numero di gara 44 è fermata da un guasto al motore: cede un perno di biella. Una rottura non riparabile. Finisce così l’avventura a Le Mans. Che non si ripeterà più, perché le maglie della “cortina di ferro” diventano sempre più strette. E il sogno della 24 Ore di Le Mans viene accantonato per sempre. Quest’anno la Skoda Popular Sport n. 44, perfettamente restaurata dall’appassionato ceco che la possiede da anni, avrebbe dovuto ripresentarsi al via della 24 Ore di Le Mans Classic. Ma la gara è stata annullata per la pandemia Covid-19. L’appuntamento è dunque rinviato all’edizione 2021: non sarà più il 70 anniversario, ma il 70°+1…

 

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Rien ne va plus, una mostra sulle auto sequestrate dalle fiamme gialle

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Il frutto di un'operazione della Guardia di Finanza di Genova diventa una mostra al Mauto di Torino.

Un nullatenente con in garage una Ferrari 360 Modena versione Challenge, anche altamente personalizzata, e tante altre meraviglie come una Ferrari 430 Scuderia, una Testarossa monodado, una Lamborghini Diablo Anniversary... I garage coinvolti in realtà erano diversi e il proprietario delle vetture – come hanno dimostrato le telecamere della Guardia di Finanza del Gruppo I Genova che per circa un anno hanno raccolto prove nell'ambito dell'operazione “Rien ne va plus” – vi accedeva liberamente e guidava le auto, oggetto di un suo commercio illecito di veicoli storici e di lusso che proseguiva da anni. I veicoli risultavano tutti appartenenti ad altri: lui li comprava, li intestava a prestanomi, faceva denuncia di esportazione all'estero e li re-immatricolava a Monte Carlo, specie per quanto riguarda le supercar.

 

Nove complici. Nel Principato di Monaco entravano poi in gioco ulteriori personaggi che diventavano intestatari fittizi delle vetture. Erano per lo più conoscenti e persone della cerchia familiare del soggetto. Come la compagna, straniera e senza reddito, che risultava intestataria di tre Ferrari e una Lamborghini. Stessa cosa, più o meno, per i suoi fratelli, con redditi intorno ai 13-15mila euro l'anno. Questo individuo, alquanto meticoloso, conservava fascicoli di tutte le auto vendute, dai quali nell'indagine, condotta dalla Procura di Genova, si è risaliti alle 35 vendite in nero, effettuate dal 2013 al 2018, che hanno generato un debito da parte sua nei confronti dell'erario di 4,5 milioni di euro. In mezzo a questo giro illecito è capitata in passato anche una Ferrari 166 Inter del 1948 venduta a un collezionista canadese per un milione di dollari.

Nella “piazza” del Museo. Alcune delle auto sequestrate due anni fa dalle Fiamme Gialle a questo signore, che attualmente si trova sotto processo, erano già pronte per essere messe all'asta a Monte Carlo, nell'ambito dell'evento Classic & Sports Cars, e a Goodwood. Proprio nel Regno Unito è stata infatti recuperata una Lamborghini Murcielago LP 670-4 SV bianca grazie all'intervento dell'Interpol e di altri canali di cooperazione internazionale. Il sequestro è avvenuto in larga parte il 17 luglio di due anni fa, lo stesso giorno di quest'anno in cui è stata inaugurata la mostra che espone al Museo Nazionale dell'Automobile di Torino 17 delle auto recuperate. Del resto perché tenerle in un garage della Guardia di Finanza, lontano dalla vista di tutti? L'idea proposta dai finanzieri di rendere visibili i veicoli è stata subito accolta con entusiasmo dal management del Museo. Anche se l'emergenza sanitaria dovuta al Covid ha fatto posticipare l'inizio dell'esposizione, che era previsto qualche mese fa.

Ottimo stato di conservazione. Le vetture sono italiane, tranne una Chevrolet Corvette C1 Cabrio, una Porsche Boxter e una Rover Mini Cooper. Fra loro anche una Fiat 600 Multipla D, due Bianchina, di cui una Cabriolet, una Gamine Vignale, una 500 americana Froggy Eyed trasformata in Jolly e una super accessoriata Isetta bicolore (BMW). Tutte in buonissimo stato. Totale, circa un milione di euro di valore, comprese tre moto Harley Davidson. “Il Museo avrà un ruolo anche nella conservazione dei veicoli”, ha specificato la direttrice Mariella Mengozzi durante l'apertura della mostra. “All'interno abbiamo un centro di restauro con un gruppo di lavoro e partner esterni specializzati con i quali eseguiamo la manutenzione della nostra collezione e in questo caso sarà ancora più importante far rimanere integri qualità e funzionalità dei mezzi, o addirittura aumentarlo in linea con il loro prestigio, facendo sì che si raggiungano i valori adeguati nel momento della vendita”. Già, perché molto probabilmente i prossimi step saranno la confisca da parte dello Stato e la messa all'asta delle vetture. Ragione in più per visitare la mostra se avete in mente di fare shopping.

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Bonhams: tutte le aste del 2020

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Dopo alcuni rinvii, ripensamenti, annullamenti, adattamenti all’online e indecisioni varie, Bonhams ha finalmente messo a punto il calendario delle sue aste per la seconda metà del 2020.

A condizionare il tutto era in particolare l’attesa per l’incertezza che pesava sulle manifestazioni di Goodwood (Festival of Speed; Revival) rimaste in sospeso fino a pochi giorni fa e ora raggruppate in un’unica iniziativa denominata Goodwood Speedweek,  che si terrà sul circuito di Goodwood Motor dal prossimo 16 al 18 ottobre. Un’attesa condizionante visto che si tratta di uno degli appuntamenti più importanti della Casa d’aste londinese Bonhams, che in occasione dei vari eventi di Goodwood tiene sempre delle vendite molto affollate. La Bonhams Goodwood Speedweek Sale avrà luogo sabato 17 ottobre con la possibilità di visionare le vetture su appuntamento da mercoledì a sabato presso l'edificio del "Earls Court Motor Show" di Goodwood. La vendita sarà trasmessa in streaming live a un pubblico mondiale di offerenti e i banditori riceveranno offerte da tutto il mondo per telefono, online e tramite commissioni. La vendita di Goodwood non è però che una, anche se forse la più importante, delle prossime aste ormai definite dal calendario di Bonhams. Eccole in dettaglio:25 Luglio

July Motoring Auction - Bicester Heritage

È l’appuntamento più ravvicinato e si terrà nella sede del Bicester Heritage, a un’ora e mezza da Londra, dove Bonhams ospita le proprie aste online mensili. In questa occasione metterà all’asta 110 vetture di vario genere, motociclette e automobilia varia. I pezzi più prestigiosi sono rappresentati da vetture inglesi degli anni ’20: Bentley 4,5 Litri Tourer del 1928 (420.000-440.000 euro); Rolls-Royce Silver Ghost 40/50 HP Open Tourer del 1922 (250.000-300.000 euro); Bentley 3.0 litri Speed Model Sport Roadster del 1927 (220.000-280.000 euro). Ma oltre a loro da evidenziare anche una Aston Martin V8 Zagato del 1985 stimata 330.000-380.000 euro.

14 agosto

Motor Cars, Bonhams, Los Angeles

Nella vita pre-Virus quest’asta si sarebbe tenuta a Monterey, in corrispondenza con il Concorso di Eleganza di Pebble Beach. Visto però che il Concorso è stato annullato, Bonhams si adegua alla situazione e propone agli appassionati un'esperienza virtuale live, trasmessa direttamente dal Petersen Automotive Museum di Los Angeles dove saranno raggruppate le auto in vendita. E dove ci sarà l'opportunità di esaminare i lotti dal vivo, sempre però su appuntamento. Il catalogo è ancora in fase di completamento ma Bonhams fa sapere che tra i top-lot ci saranno modelli prestigiosi di Alfa Romeo pre e postbelliche;  una sorprendente Porsche 718 RSK Spyder del 1959 rimasta per 40 anni di un unico proprietario; una coppia di importanti Aston Martin dalla collezione di David L. Van Schaick, un famoso collezionista statunitense scomparso nel 2016 (una Aston Martin Ulster del 1935 e una Aston Martin DB6 Vantage Brake del 1966); un paio di Mercedes-Benz SL giuidicate in condizioni “eccezionali”; e una collezione di moderne supercar offerti senza riserve.

14-16 Agosto

The Summer Sale – Motorcycles – Bicester Heritage  

Oltre 200 lotti di memorabilia e 465 motociclette per un’asta che farà discutere. In vendita ci saranno infatti 200 lotti provenienti dalla famosa collezione del museo Morbidelli di Pesaro: “la collezione privata di motociclette più significativa mai offerta all’asta da Bonhams”, come recita il comunicato distribuito. Una collezione creata e curata nel corso di quarant’anni da Giancarlo Morbidelli, fondatore del museo, nonché produttore di motociclette e titolare della sua scuderia Grand Prix. “In questa collezione c’è tutta la passione del figlio di un contadino che durante il giorno ‘costruiva’ la sua impresa di ingegneria di successo e nel tempo libero si dilettava a realizzare e mettere in pista le proprie motociclette. La collezione rappresenta l’eccellenza del settore in Italia, con un’attenzione particolare quali Benelli e Ducati”, sostiene Bonhams. Nel febbraio 2019 la collezione (350 pezzi raccolti in un Museo di Pesaro) era stata oggetto di un contenzioso tra Giancarlo Morbidelli, ormai 85nne, con il Comune di Pesaro che sembrava fosse interessato all’acquisto e che tutto potesse rimanere nella Motor Valley. Il sindaco non ne fece nulla e Morbidelli decise di mettere all’asta le moto in Inghilterra. Dopo vari rinvii ora si può dare inizio alla vendita. All’asta andrà per ora una selezione di 200 motociclette stradali e da corsa del dopoguerra il cui pezzo più importante è una Ducati 125cc 4-cilindri Gran Premio del 1964 stimata 440.000-660.000 euro. Una moto creata dal capo ingegnere della casa madre, Fabio Taglioni, della quale si persero le tracce per diversi anni fino a quando non si ritrovò il motore al Technical Museum di Riga, in Lettonia e il telaio in Yugoslavia, ora Croazia. Giancarlo riuscì così a ricostruire la motocicletta.

6 Settembre

The Autoworld Autumn Sale – Autoworld Museum, Bruxelles 

Con questa vendita Bonhams consolida la posizione di principale casa d'aste automobilistica nella regione del Benelux. Tra i top-lot: una Mercedes-Benz 630K Sports Tourer del 1928 (600.000-900.000 euro); una Jaguar XKSS Lynx del 1967 (300.000-400.000 euro); una Mercedes-Benz 300 "Adenauer" Cabriolet del 1952 (220.000-300.000).

19 Settembre

September Auction - Bicester Heritage 

Per ora nessuna informazione su quest’asta. Visitare il sito mph.bonhams.com nelle prossime settimane per tenersi informati.

20 Settembre

The Bonmont Sale – Cheserex – CH 

Dopo il successo del 2019, Bonhams ritorna in Svizzera con un catalogo di auto di prestigio, tra le quali 12 Supercar "come nuove" provenienti direttamente da una collezione privata. Punti di forza di questa vendita: due Bugatti Veyron (una Super Sport del 2010 e una Grand Sport Vitesse del 2013 stimate entrambe 1.500.000-2.000.000 euro); una Porsche 918 Spyder del 2016 (1.000.000-1.200.000 euro); . Altre spedizioni anticipate includono una Ferrari 250 GT Coupé del 1959 (370.000-560.000 euro) e una Maserati Mistral Spyder del 1964 (370.000-470.000).

4 Ottobre

Simeone Foundation Automotive Museum – Philadelphia (Usa)   

Per il nono anno consecutivo Bonhams torna in questa sede nella stagione autunnale. Le prime indicazioni sul catalogo rivelano la presenza di una Ford Mustang Boss 429 del 1969 rimasta per 35 anni di proprietà della stessa persona e con una percorrenza di soli 5.000 chilometri; e un raro e ben conservato esemplare di Peugeot BP1 del 1912, progettato da Bugatti e più noto come "Bébé". Numerosa, come al solito, anche l’automobilia offerta in questa occasione.  

9 Ottobre

The Zoute Sale - Knokke-Heist – Zoute (Belgio)

Altra vendita in Belgio per Bonhams che vede in questo momento tra i top-lot una Aston Martin DB2/4 del 1955 dell'ex re Baldovino del Belgio (250.000-300.000 euro); una Ferrari 250 GT Lusso del 1963 “magnificamente restaurata” (1.600.000-1.800.000 euro); una AC Bristol Roadster del 1957 (400.000-500.000 euro); e una Facel Vegal Facel II del 1962 (250.000-300.000 euro).

10 Ottobre

Barber Motorsport Museum - Birmingham  - Alabama (Usa) 

Terzo anno consecutivo per Bonhams in questa sede particolare che meriterebbe una visita anche senza la scusa dell’asta. Una vendita di moto che si terrà in concomitanza con il famoso Barber Vintage Festival. Tra i pezzi di maggior pregio alcune BMW prebelliche restaurate: una R57 del 1928; una R12 con sidecar del 1940; una R4 del 1933 e una R35 del 1938.

10-11 Ottobre

The Autumn Stafford Sale – Stafford  (UK)

L’asta si terrà in occasione del 27 ° Carole Nash Classic Motorcycle Mechanics Show con un catalogo composto da circa 500 lotti tra motociclette e memorabilia.

17 ottobre

Goodwood Speedweek Sale – Goodwood 

L’asta si terrà sul circuito di Goodwood Motor in occasione della Goodwood Speedweek, evento  unico che previsto dal 16 al 18 ottobre. Pochi ancora i lotti in catalogo, tra i quali spicca una Aston Martin DB4 Serie I del 1959 che sarà messa in vendita senza riserve (il suo valore è stimato tra i 280.000 e 350.000 euro); una Hispano-Suiza H6B Coupé del 1926, esposta in quell’anno all’Olimpia Motor Show (390.000-440.000 euro); e una Ferrari 488 Spider 70° Anniversario del 2018 (250.000-330.000 euro).

30 Ottobre

The Golden Age of Motoring Sale 1886-1939 - New Bond Street, Londra

L’asta che tradizionalmente veniva dedicata esclusivamente alla London-Brighton Veteran Car Run, quest’anno allarga i suoi orizzonti fino a coprire il periodo della Golden Age (1886-1939) includendo automobili Veteran, Edwardian, Vintage e Post-Vintage. Indiscrezioni includono una coppia di Crestmobile (un produttore di Cambridge nel Massachusetts) con un modello a due posti 8HP del 1903 (stimata 45.000-50.000 euro) e una 8.5HP del 1904 (55.000-65.000 euro); e una Vauxhall 30-98 Velox Tourer del 1913 (280.000330.000 euro).

5 Dicembre

The Bond Street Sale – Londra  

Tutto ancora da definire il catalogo. Di sicuro la tradizionale vendita di dicembre nella sede Bonhams di Bond Street sarà dedicata a “eccezionali autovetture da collezione del dopoguerra”.

10 dicembre

Bicester Heritage – Bicester (UK)

Per la prima volta in assoluto, la vendita automobilistica di fine anno avrà luogo presso Bicester Heritage. L’asta sarà principalmente incentrata sulla vendita di classici moderni e popolari, ma avrà come al solito una sezione dedicata alle automobili anteguerra.

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Master Restauratori Auto d’Epoca, termina la prima edizione online

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La quarta edizione del Master Restauratori Auto d’Epoca organizzata da Accademia ED in collaborazione con Ruoteclassiche si è conclusa ieri pomeriggio dopo tre settimane intense e ricche di appuntamenti con alcuni dei massimi esperti del settore auto storiche.

Tra lezioni teoriche e dimostrazioni pratiche, i partecipanti hanno avuto la straordinaria occasione di potersi confrontare con i più eminenti esponenti del variegato mondo delle classiche. Il 4° Master Restauratori Auto d’Epoca si è svolto in partnership con FCA Heritage e ha visto l’intervento di Gianfranco Gentile (Head of Communication FCA Heritage) e Roberto Giolito (Head of FCA Heritage). Un format completamente inedito quello introdotto quest’anno,  basato su videolezioni in cui i 27 iscritti salutati dal nostro Direttore David Giudici hanno sempre partecipato attivamente con domande e osservazioni intelligenti e mai banali, che hanno reso il più possibile interattive le lezioni. Lezioni pratiche e teoriche. Nell’approccio al restauro tutto parte dalla ricerca storica, e a chi rivolgersi se non a Sandro Binelli, fondatore di Automotive Masterpieces, una società d’eccellenza specializzata nelle “indagini” per la ricostruzione storica delle automobili. Duccio Lopresto, il più giovane giudice al mondo di concorsi d’eleganza è intervenuto in rappresentanza di TCCT (The Classic Car Trust) offrendo una panoramica sul mondo del collezionismo: un interessante focus sui protagonisti e le auto del gotha del collezionismo. Se la perizia e la passione del battilastra Andrea Agnoletto del CNA di Padova erano praticamente palpabili, lo stesso si può dire del giovane Alessandro Talarico di BMW Classic Roma che con competenza e simpatia ha spiegato alcuni interventi per il ricondizionamento dei motori BMW.

Eccellenze italiane. L’amore per l’auto d’epoca può fare a meno di certe formalità, ma non della professionalità: ecco quindi il consulente Daniele Turrisi e Riccardo Tosi, proprietario di Milano Garage che tra aneddoti e battute hanno raccontato le loro esperienze nell’automotive. Anche la scelta del materiale giusto è determinante per la perfetta riuscita di un restauro, in tal merito sono intervenuti Paolo Foglizzo e Tammy Byrne-Smith di Foglizzo Leather e Matteo Trinchero di Trinchero&Rubberfill due eccellenze torinesi nel settore dei rivestimenti. Non sono mancati poi due grandi nomi della carrozzeria italiana: Touring Superleggera e Zagato, rappresentate da Paolo Di Taranto e Andrea Dragoni che hanno illustrato la storia e l’approccio progettuale delle due aziende, tra le principali esponenti dello stile italiano nel mondo.

Passione rossa. Lorenzo Ardizio, Curatore del Museo Storico Alfa Romeo ha presentato il museo raccontandone la storia, i mutamenti e tante curiosità inedite sulle vetture del Biscione. Altri super esperti di Alfa, i fratelli Lopane dell’omonima carrozzeria, un punto di riferimento per tutti i collezionisti. In collegamento dalla redazione di Ruoteclassiche, il Caporedattore Fulvio Zucco ha parlato delle fasi che precedono la pubblicazione di un articolo e la scelta delle vetture, accompagnando poi i partecipanti nel “sancta sanctorum”, l’archivio Quattroruote: una raccolta unica di documenti, foto e disegni tecnici. Parlando di pezzi unici non si può fare a meno che citare Corrado Lopresto, il più importante collezionista italiano di auto d’epoca che ha raccontato come è nata la sua collezione e una serie di aneddoti interessanti legati alle sue vetture, tutte caratterizzate dall’unicità. Auto così preziose richiedono cure speciali, come ha spiegato Francesco Panzeri di R.P.M. Logistic e Carcierge, una società specializzata in logistica e pratiche per l’import export di vetture di grande valore.

Dulcis in fundo. Non potevamo che concludere in bellezza, con Gaetano Derosa (Vicecaporedattore di Ruoteclassiche) inviato speciale al castello di Panzano per l’appassionante intervento conclusivo con Mario Righini e il nipote Massimiliano Stancari. Al termine del ciclo di lezioni, i racconti e i ricordi di Mario Righini arrivano come un’iniezione di passione: nelle sue parole solo l’amore verso le vetture che hanno segnato tanto la sua giovinezza negli anni drammatici della Seconda Guerra Mondiale, quanto l’intera storia dell’automobile. Ora non resta che darci appuntamento all’anno prossimo, per una nuova entusiasmante avventura.

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50 anni di Jarama 400 GT

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L’ultima 2+2 Lamborghini era anche l’auto personale di Ferruccio, che la volle anche a rischio di sovrapporla all’Espada. La Jarama diventò la gran turismo di lusso per la clientela più esigente e conservatrice di Sant’Agata. Fu prodotta in 327 esemplari fino al 1976.

Jarama. Ja-Ra-Ma. Pensate che gusto a sognare un’auto con un nome così, cinquant’anni fa. Ja-Ra-Ma. Pensate che gusto a possederla e guidarla, l’ultima 2+2 di Sant’Agata Bolognese, voluta e costruita da Ferruccio Lamborghini in persona. Non per nulla era la sua auto personale, quella del suo celebre ritratto accanto al trattore con espressione tipo “ecco i miei gioielli”. La Jarama era la gran turismo per l’uomo arrivato, l’industriale che voleva godere ed esibire il proprio status con un’auto potente ed elegante. La clientela più istituzionale del marchio Lamborghini, quella immune dalla crisi di mezza età e che forse considerava la Miura una supercar da show-off, da playboy. Anche a costo di sovrapporsi all’altra 2+2 in produzione, l’Espada, Ferruccio l’aveva voluta per sostituire la Islero, che non aveva passato le nuove normative federali statunitensi antinquinamento. Ja-Ra-Ma: il nome non è dovuto al circuito, ma alla regione dov’è ubicato, culla della tauromachia.Fastback massiccia. Certo che superare l’effetto-Miura era difficile, per quanto le tipologie d’auto fossero diverse. Lamborghini decise di andare sul sicuro affidando la progettazione al nuovo ingegnere capo Paolo Stanzani, che aveva preso il posto di quella testa calda di talento che era Gianpaolo Dallara. Meccanica consolidata: il V12 da 2.929 cc per 350 cv a 7.500 giri, alimentato da sei Weber doppio corpo. Cambio sincronizzato a cinque marce e differenziale in blocco, trazione posteriore: vai così. Come sull’elegantissima Espada e a differenza della Islero, il telaio è a scocca portante in acciaio, materiale preferito all’alluminio anche sulla carrozzeria. Pesantina quindi: nonostante questo, la Jarama era accreditata di 260 kmh di velocità massima. C’è tanta roba sul pianale della Jarama, accorciato di ben 27 centimetri rispetto alla Espada. La nuova interpretazione stilistica di Marcello Gandini per Bertone ha una forma di linguaggio più pratica rispetto alla Miura. Anche perché la conformazione 2+2 porta naturalmente a una maxi coupé con coda fastback di foggia trapezoidale. La linea del tetto scende fino al cofano bagagli formando una coda massiccia e un po’ sgraziata, rispetto al consueto frontale affilato.

Le palpebre di Gandini. A proposito di muso, anzi di sguardo, ogni riferimento all’Alfa Romeo Montreal non è puramente casuale. Sulla Jarama lo stilista ne ripropone la carenatura dei fanali a palpebra, evitando di “copiancollare” le lamelle. Oltre a dare grande omogeneità estetica, contribuisce all’efficacia aerodinamica del muso. A luci accese, un movimento a depressione alza le palpebre dei fanali che hanno anche funzione di deportanza. È un’alternativa meno sportiva al tema delle luci a scomparsa, che sulle Lamborghini vediamo già a partire dalla Urraco P250 dello stesso anno. Il decennio è appena iniziato, ma le linee sono già più protese alle nuove tendenze dei primi Settanta. Estetica più funzionalità dalla scelta dei cerchi in magnesio Campagnolo, morsi dai freni a disco Girling autoventilanti sulle quattro ruote. Nonostante lo spazio ridotto per i “+2”, cioè i passeggeri preferibilmente bambini e possibilmente piccoli, gli interni sono eleganti: pelle e moquette soffice su sedili, pavimento e cielo; legno per il volante, il pomello della leva del cambio e il cruscotto. L’ampia vetratura garantisce molta luminosità, senza temere il caldo: l’allestimento comprende l’aria condizionata di serie. In aggiunta, su 21 esemplari è montato il tetto panoramico che si apre in due sezioni separate longitudinali: un dettaglio che aggiunge valore all’esemplare da collezione. Già piuttosto ricercato di suo, perché in fondo di Jarama ne hanno fatte pochine, meno del previsto.

Due serie, più la Rally. Dopo 177 esemplari costruiti in tre anni, la vendita – un po’ a sorpresa - della maggioranza del pacchetto azionario Lamborghini all’imprenditore svizzero George Henri Rossetti coincide con l’arrivo della seconda serie. La nuova Jarama acquisisce una “S” nel nome e ben 15 cavalli nel cofano, ora sono 365. Rispetto alla precedente, la Jarama S si riconosce dall’estesa presa d’aria orizzontale sul cofano fra la coppia di NACA preesistenti; oltre che dalle griglie di sfogo dell’aria laterali, sui parafanghi anteriori. Purtroppo la tipologia della 2+2 di lusso non era più riconosciuta dalla clientela di Sant’Agata, già sotto effetto Countach. Solo 150 esemplari fino al 1976, nessun’erede: senza Ferruccio Lamborghini in azienda, non era più cosa. L’unica “figliastra” fu la versione Rally approntata da Bob Wallace, l’ingegnere e test driver neozelandese già responsabile delle “Jota”. In piena esplosione della specialità, Wallace pensò di spogliarla del superfluo, rinforzarla nel telaio dov’era il caso e armarla di roll bar di protezione. Utilizzando l’alluminio al posto dell’acciaio, la Jarama Rally SVR-1 pesava 300 chili in meno rispetto alla versione di serie. Era pronto-gara, ma gareggiò unicamente in un’esibizione a Misano Adratico.  Oggi è custodita nel Museo Ferruccio Lamborghini di Funo di Argelato, appena fuori Bologna, che riaprirà il prossimo settembre.

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