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Opel: i 60 anni della Rekord P2

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La Opel Rekord P2 è uno dei modelli più significativi del miracolo economico tedesco. Dopo gli anni bui della guerra e la difficile ricostruzione, iniziò a ricomporsi un ceto medio che richiedeva auto più spaziose e moderne: la nuova Rekord si affermò subito tra le auto preferite dalla "mittelklasse".

La Opel Rekord P2 venne presentata 60 anni fa, al Salone di Francoforte del 1960. Il modello P2 rappresentava un'evoluzione stilistica della Opel Olympia Rekord P1, in quanto manteneva gran parte della meccanica e i motori: 1,5 e 1,7 litri da 50 CV e da 55 CV rispettivamente. Sebbene vi fosse ancora qualche richiamo ai modelli d’oltreoceano, la Rekord P2 può considerarsi una pietra miliare nello stile Opel, che all'alba degli anni Sessanta era improntato verso un'eleganza sobria e lineare: niente più curve eccessive e pinne posteriori, ma soprattutto un uso moderato delle cromature.Linea inedita. La Opel Rekord P2 segnava l'avvento di linee più tese e superfici vetrate più ampie che consentivano una miglior visibilità e maggior luminosità nell’abitacolo. Il passo rimase invariato ma le dimensioni complessive crebbero leggermente. Il frontale della nuova Rekord si caratterizzava per una nuova calandra a tutta larghezza con nove listelli orizzontali che inglobava anche gli indicatori di direzione, che sostituiva la precedente di forma ovale. Il parabrezza e il lunotto erano ancora di tipo panoramico, meno estremo e senza i montanti anteriori e posteriori a inclinazione negativa.

Un cruscotto interattivo. La stampa specializzata apprezzò la visibilità e il particolare cruscotto dotato di un indicatore di velocità a diversi colori. La Opel Rekord P2 montava infatti un esclusivo tachimetro a nastro che cambiava colore in base alla velocità della vettura: verde fino a 50 km/h, arancione fino a 100 km/h, rosso oltre 100 km/h, consentendo, come sottolineava la pubblicità Opel dell’epoca “un più agevole controllo della velocità, specialmente nei tragitti urbani”.

Le varianti. La Opel Rekord P2 venne proposta nelle versioni berlina 2 porte e Caravan (station wagon), affiancate poco dopo da una berlina 4 porte. Nel 1961 debuttava invece la variante coupé, caratterizzata da una linea filante e personale caratterizzata da un tetto molto corto e basso. Rispetto alla berlina a 2 porte era immediatamente riconoscibile per l'altezza del corpo vettura ridotta di 8 cm e  il lunotto molto più inclinato in avanti, una peculiarità che limitava un po' l'abitabilità nella zona posteriore. La Opel Rekord P2 Coupé era poi disponibile con un solo motore, il 1,7 litri potenziato di 4 CV, la stessa unità che dal 1962 equipaggiò anche la Rekord 4 porte “Lux”. Anche la Opel Rekord P2 Coupé ottenne un buon riscontro, 12.000 esemplari prodotti nei primi sei mesi: numeri sicuramente più bassi agli altri modelli, ma va considerato che si trattava di una versione di nicchia. La Rekord P2 tuttavia  anticipava il segmento delle coupè 2+2 posti “da famiglia” che trovò massimo compimento con la Opel Manta.

Lunga tradizione. La produzione della Opel Rekord P2 terminò dopo soli 3 anni, nel febbraio 1963. Questo modello si rivelò un grandissimo successo: con una media di circa 1.400-1.500 esemplari al giorno, le unità realizzate complessivamente furono 754.385. Dopo la rekord P2 il nome "Rekord" venne usato ancora per molti anni, accompagnando alcuni dei modelli più apprezzati della gamma Opel fino al 1986.

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Piemonte e auto storiche: da domani, l’adozione del “Move In” in Giunta Regionale

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La Giunta regionale annuncia l’introduzione del sistema di controllo “Move In”, con chilometri di percorrenza in deroga ai blocchi a scalare. L’Asi dice no alla scatola nera: “Puntiamo a deroghe vere. La politica si adoperi”. La giunta Cirio valuterà deroghe sui mezzi ultra 40ennali come alternativa, ma resta il rischio dell’infrazione europea per il superamento delle emissioni.

Settimane convulse in Piemonte per la giunta del governatore Cirio per l’adozione del sistema lombardo “Move-In” (MOnitoraggio dei VEicoli INquinanti)  anche per le auto storiche che sbarcherà domani, venerdì 24 luglio, per l’approvazione in Giunta regionale. La decisione dopo l’incontro a Torino ieri, mercoledì, con i vertici Asi guidati dal presidente Alberto Scuro.  “La svolta per i collezionisti e gli appassionati è ormai dietro l’angolo. Ruoteclassiche l’ha anticipato nei mesi scorsi: l’appuntamento con il sistema Move-In che il Piemonte adotta come fatto in Lombardia, consentirà a tutti i mezzi inquinanti e dunque anche alle auto storiche di circolare, sarà ad ottobre. Domani lo approveremo in Giunta. Il nostro riferimento è alla situazione del Bacino Padano ed alle sue norme, fermo restando che guardiamo con molta apprensione al tema delle emissioni ed al rischio che l’Italia possa incorrere nelle  infrazioni Ue, con la conseguenza che sulla nostra Regione cadano gli oneri finanziari della multa”.L’accordo saltato. Matteo Marnati, assessore all’ambiente  della giunta Cirio è un fiume in piena dopo che a lui si sono rivolti nelle scorse settimane i consiglieri regionali dei Cinque Stelle con un’interrogazione, accusando la giunta Cirio di “azzoppare il settore delle auto storiche per l’intera stagione estiva”. Il tema emerge nello scorso Consiglio regionale, come sottolineano Ivano Martinetti (M5S Piemonte), vicepresidente Commissione regionale Trasporti, e Antonio Fornari, Consigliere comunale M5S Torino. L’attrito tra i Cinque Stelle regionali e del capoluogo con la giunta di Cirio è ormai consolidato: “Abbiamo chiesto se la Giunta intendesse rivedere la delibera del 9 agosto 2019 che stabilisce il divieto di circolazione per questo tipo di mezzi. Ad oggi infatti gli appassionati sono costretti a caricare le auto su un carrello anche solo per andare in officina per l’ordinaria manutenzione. Marnati aveva annunciato la revisione della delibera, salvo oggi tornare sui propri passi e demandare tutto ad un successivo accordo per il prossimo anno in sede di Bacino Padano”.

Storiche, un settore in crisi. “Avevamo detto di voler applicare il sistema Move-In alla lombarda  che consente diverse migliaia di chilometri di percorrenza in deroga a seconda della classe inquinante del veicolo e così faremo da ottobre” ribatte l’assessore all’Ambiente  Matteo Marnati, mentre annuncia l’imminente approvazione in Giunta. La risposta non ha soddisfatto le opposizioni in Regione: “Abbiamo avuto la conferma che sarà una pessima stagione per gli appassionati di questo settore – continua Martinetti – La Regione Piemonte si rifiuta di svolgere il proprio ruolo demandando la decisione all’accordo con la Lombardia, nell’ambito della sperimentazione Movie-In voluta dalla Giunta lombarda di Fontana. In questo modo si affossa un settore già provato dall’emergenza Covid 19 ed i benefici per l’ambiente sono tutti da dimostrare. Le auto storiche sono appena 400 mila in tutta Italia ed il loro trasporto, con appositi carrelli, non risulta certo più favorevole per l’ambiente rispetto all’uso diretto di questo tipo di auto”.

La diatriba. E non mancano gli affondi politici: “La Regione Piemonte a guida Lega continua a penalizzare Torino – aggiunge Antonio Fornari, Consigliere comunale del Capoluogo – di recente il Governo ha proposto Torino come polo dell’auto nell’ambito delle 50 sfide per rilanciare il Paese. Proprio Torino per la sua vocazione industriale e del design e sia come sede Fiva, la Federazione mondiale che comprende tutti gli appassionati dei veicoli storici, grazie al buon rapporto con l’Asi, Automotoclub Storico Italiano. In tutte le altre regioni italiane si è trovata una soluzione che permette ai veicoli storici di conservarsi in efficienza e di essere curati presso le officine di manutenzione e restauro, mantenendo in vita un indotto fatto di tante piccole realtà di artigianato altamente specializzato. In totale, secondo uno studio dell’Istituto Piepoli, l’indotto generato dal motorismo storico in Piemonte è pari a 123,4 milioni. In un momento come questo è da irresponsabili bloccare un settore così importante”.

Meeting Asi – Regione Piemonte. Intanto ieri si è svolto l’incontro tra la Giunta i tecnici della Regione ed i vertici Asi: “Abbiamo detto  alla giunta Cirio che la soluzione non può essere la sola sperimentazione del Move In, ma che ci attendiamo di vedere riconosciuto ai veicoli storici lo status che è loro proprio dato dalle leggi e dal Cds. E questo anche alla luce dei dati effettivi e puntuali di consistenza del parco veicolare, delle loro emissioni e della stima dei chilometri percorsi all’anno che abbiamo fornito” spiegano dall’Asi.  Mentre per la Regione il vulnus resta lo stabilire quali siano i mezzi davvero meritevoli di tutela, cosa che il sistema Move - In in realtà non distingue, per l’Asi la linea del Piave è la concessione tout court di deroghe per i mezzi storici: “Quella piemontese potrebbe essere una norma pilota anche per altre regioni. Non possiamo derogare in questa direzione. Da qui la nostra contrarietà al Move In che è solo una cura palliativa”, continuano dall’Asi.

Come funzionerà. “Con il Move In  si  paga 50 euro il primo anno per l’attivazione della scatola nera che peraltro è alimentata da una sua batteria autonoma senza fili – spiega Marnati – quindi una somma di  20 euro all’anno e si ha la possibilità di usare liberamente il mezzo sino al monte chilometri concesso. Altre misure non sono ad ora possibili in Piemonte, pena  l’infrazione”. Nonostante questo la Giunta si è spesa per trovare comunque un sistema di deroghe: “E’ giusto tutelare i mezzi che dimostrano di meritare lo status di auto storica. Abbiamo chiesto ad Asi altra documentazione e classificazione puntuale per anno e categorie dei mezzi. Mentre introduciamo il Move In valuteremo il regime delle deroghe e quali misure adottare per ridurre altre emissioni in atmosfera per compensare quelle derogate dei vecchi motori moniti di certificati Crs”.

La lista di salvaguardia. Del resto  “le deroghe totali come applicate  in Lombardia nella nostra regione non sono praticabili: la normativa lombarda risale ad un periodo in cui le infrazioni europee non ci toccavano. Ora e da qualche  anno non è più così. La scelta del Move-In è l’unica ad ora percorribile senza conseguenze” continua Marnati. La Giunta piemontese non esclude anche l’ipotesi di concordare una Lista di salvaguardia sulle vetture storiche che tenga conto del patrimonio effettivo di mezzi di quel tipo circolanti: “Non ogni mezzo è  meritevole di tutela e quando i numeri sono troppo alti serve fare una selezione. Aspettiamo quindi che anche Asi affronti questo tema e in attesa predisponiamo il Move-In” conclude Marnati, aprendo di fatto però una finestra di speranza per collezionisti ed appassionati.

Approfondimento. Il Move-In è un progetto sperimentale di Regione Lombardia in cui i cittadini proprietari dei mezzi inquinanti (attualmente benzina Euro 0 e diesel Euro 0,1,2,3) hanno la possibilità di richiedere una deroga chilometrica ai blocchi vigenti, monitorabile in base all’uso effettivo del veicolo e allo stile di guida adottato. Una scatola nera (black-box), installata sul veicolo, consente di rilevare le percorrenze reali attraverso il collegamento satellitare ad un’infrastruttura tecnologica dedicata. L’adesione al progetto Move-In comporta l’applicazione di una diversa articolazione delle limitazioni e delle deroghe vigenti per la circolazione degli autoveicoli più inquinanti, prevedendo la possibilità di avvalersi di una “deroga chilometrica”, misurabile e controllabile, che varia dai mille ai 7mila chilometri percorribili consentendo così di prevedere un risparmio di emissioni nell’ambiente. Tale risparmio emissivo può essere trasformato in chilometri che possono così essere ridistribuiti nell’arco della giornata e della settimana a chi aderisce al sistema Move-In. I costi massimi in Lombardia di adesione al servizio sono: 50 € per il primo anno di adesione al servizio (30 € per l’installazione della scatola nera e 20 € per la fornitura annuale). Nel caso in cui si disponga già di una black box già installata dall’assicurazione a bordo del veicolo e compatibile con il progetto Move-In, il prezzo massimo è di 20 € per la sola fornitura del servizio annuale.

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Alfa Romeo 1900, speciale per forza

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Anche se nasce per standardizzare la produzione del Portello e dare un’auto alla borghesia italiana, l’autotelaio della 1900 diventa subito il parco giochi preferito dall’aristocrazia dei carrozzieri italiani. La stilizzano per apparire, per correre, persino per volare…

Ruoteclassiche di luglio racconta la storia dell’Alfa Romeo 1900 Super, la berlina sportiva del “ragionere che va di fretta”. La Super è comoda per andare al lavoro, ideale per portare fuori la famiglia nel fine settimana, sportiva nella carrozzeria bicolore e dotata di sufficienti finiture cromate e in alluminio per fare la sua degnissima figura davanti agli ospiti e agli amici. In sostanza, la 1900 è la prima Alfa per il padre di famiglia della media borghesia e di una certa distinzione. Normale, anzi normalizzata per forza, per permettere al Biscione il salto di quantità all’alba della motorizzazione di massa. La Sport del 1953 è in pratica la seconda versione di una piattaforma che ha dato molto da lavorare ai carrozzieri di Milano e Torino, ai quali non pareva vero di trovarsi un autotelaio standardizzato e di qualità per dare prova di gusto e capacità.Via, via, arriva la Pantera! Il committente più tempestivo non poteva che essere la Polizia di Stato: la 1900 TI acquista una G finale nella sigla e nel ‘52 si trasforma nella prima Pantera. La battezzano così per il colore nero, lo scudo e i “baffi” cromati della calandra. Il felino appare per la prima volta anche sullo stemma delle volanti e resterà anche sulla Giulia Super. Il Portello approntò 400 Pantere con blindatura al motore, pneumatici antiforatura e protetti, parabrezza antisfondamento in due pezzi, tettuccio apribile posteriore (per sparare durante l’inseguimento) e faro esterno brandeggiabile. Sulle 1900 della Polizia “full optional” sono installate anche le prime radiomobili.

Una per tutti. Berlina o Coupé, l’Alfa Romeo 1900 diventa immediatamente il parco giochi per i nomi più noti dello stile italiano: Vignale appronta un’elegantissima coupé, seguita dalla Gazzella di Boneschi del ’53. La carrozzeria milanese concede il bis con la 1900C Convertibile Astral, una piccola astronave su quattro ruote. Virgilio Conrero replica con la 1900 Supersonic, stilizzata da Giovanni Savonuzzi per Ghia. Se c’è un momento in cui l’autotelaio 1900 si toglie gli occhiali da Clark Kent e indossa il costume da… Supercar, è quando Nuccio Bertone chiede a Franco Scaglione di disegnare le tre Berlinetta Aerodinamica Tecnica (B.A.T.) 5, 7 e 9. Utopie della jet-age che rimasero ineguagliate. La 1900 C52 della Carrozzeria Touring, meglio nota come Disco Volante, si spinge ancora più in là. Quattro esemplari, un coupé e tre spider. Così avanti che l’Alfa Romeo ne deposita il brevetto come “modello ornamentale”. In chiave sportiva fa sensazione la SSZ Super Sprint Zagato. È costruita fino al 1956 in 39 berlinette e una coppia di spider in leggerissimo alluminio, dietro suggerimento del pilota e collaudatore Consalvo Sanesi. La SSZ diventa subito un riferimento per i gentleman driver, che la guidano sulle gare stradali dei primi anni Cinquanta, Mille Miglia compresa.

La coppia d’assi Ghia-Abarth. Nel 1954 la Carrozzeria Ghia collabora con Karl Abarth per realizzare l’Alfa Romeo 2000 Coupé. Con ancora tanto da dimostrare, Abarth non ci pensa due volte: l’Alfa 1900 costituisce un biglietto da visita ideale da sottoporre alle Case italiane per mostrare come e quanto si può mettere fretta a un’auto di serie. Obiettivo centrato: al Salone di Torino la 2000 Coupé stilizzata da Savonuzzi si fa notare per l'innovativa sezione posteriore dove il portello del portabagagli è integrato al lunotto, come una moderna hatchback. L’anno dopo, la coppia d’assi torinese rilancia con la 1900 CS Speciale, presentata al Salon de l’Automobile di Parigi del ’55 e quasi identica alla 2000 Coupé. La linea sportiva riprende un’altra vedette italiana carrozzata da Ghia, la Ferrari 195 Berlinetta e viene considerata l’auto più bella al Los Angeles Auto Show. Costa più del triplo della 1900 Sport di serie.

Dalle Alpi alle Ande. Anche Pininfarina dice la sua, con la consueta eleganza classica e un po’ formale. La 1900 C Sprint è armonica come una goccia di metallo, sensazione arricchita dal vetro posteriore avvolgente. Il motore presenta la testata bialbero, carburatori Solex su specifica Abarth e ruote a raggi Borrani. Azzeccatissima anche la TI Coupé: l’ampia calandra frontale unica sostituisce scudo e baffi, sul cofano domina una vistosa presa d’aria. La 1900 attraversa l’Oceano Atlantico e, dal 1960 al ’62, è ri-costruita su licenza dalla Industrias Kaiser Argentina. La Ika Bergantin (“Brigantino”, nel senso della barca) ha il frontale completamente ridisegnato e due motoroni a valvole laterali di matrice americana, un 4 cilindri da 2.5 litri e 77 cv; e dal 1961 un 6 cilindri da 3.707 cc e 115 cv, di cui sono costruiti solo 353 esemplari. Altro salto di continente per una curiosità veloce veloce: l’Alfa Romeo 1900 SS seconda serie carrozzata da Touring è stata (per un po’, si capisce) la favorita dell’harem meccanico di Reza Pahlevi. Lo Scià di Persia la ordinò nel 1956 tutta rossa, con selleria in pelle nera e leva del cambio al volante.

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Tutto nuovo il Museo della Motorizzazione Militare: ci penserà l’Aci

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Presso la Caserma “Arpaia” di Roma è stato firmato l’Accordo Quadro tra l’Esercito e l’Automobile  Club d’Italia per la riqualificazione del Museo Storico della Motorizzazione Militare: finalmente potrà diventare uno tra i siti di maggior interesse nell’ambito delle collezioni di veicoli storici, non soltanto tra quelli delle Forze Armate.

Il nuovo Polo Museale dell’Esercito sarà dotato di sala conferenze, bookshop, caffetteria, dehor e spazi per bambini, e costituirà un’attrattiva assoluta e unica in tutto il Paese grazie ai suoi 300 mezzi, pezzi unici da collezione, tra cui si annoverano la Fiat 501 Torpedo, l’Alfa Romeo 6C 2500 Coloniale e la Fiat 513 Tipo 4 del 1910, soprannominata “La Saetta del Re” perché venne utilizzata da Vittorio Emanuele III per gli spostamenti sul fronte della Prima Guerra Mondiale. Ministero e fondi europei. La collaborazione tra l’Aci e la formidabile collezione dell’Esercito prevede l’avvio di un piano triennale di lavori infrastrutturali per l’ammodernamento del Museo, con importanti finanziamenti comunitari messi a disposizione dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MIBACT), che ha previsto numerosi investimenti per progetti estremamente significativi per lo sviluppo turistico del Paese.

Il Generale e il Presidente fautori dell’iniziativa. L’accordo è stato fortemente voluto dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina, e dal Presidente dell’ACI Angelo Sticchi Damiani. A firmarlo durante la cerimonia ufficiale alla Caserma Arpaia sono stati il Comandante Logistico dell’Esercito, il Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo e il Segretario Generale dell’ACI Gerardo Capozza.

Finalmente riaprirà le porte. “Questo progetto segna un momento importantissimo per la storia del Museo Storico della Motorizzazione Militare, che potrà riaprire i battenti a un ampio pubblico di concittadini interessati tanto alla storia dell’automobile quanto all’evoluzione tecnologica del nostro Paese, in cui la Forza Armata, con i suoi mezzi e sistemi d’arma, ha da sempre avuto un ruolo trainante. Ringrazio l’ACI per aver scelto l’Esercito come partner istituzionale e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, funder del progetto”: queste le dichiarazioni del Generale Figliuolo dopo la sottoscrizione dell’Accordo Quadro. Il rappresentante dell’Aci Capozza ha invece sottolineato: “Con questo accordo due enti di grande tradizione istituzionale creano una sinergia infrastrutturale a beneficio del Paese, aperta a tanti altri interlocutori pubblici e senza alcun costo per lo Stato, finalizzata alla valorizzazione del patrimonio della Forza Armata e alla promozione di piani di sviluppo turistico nel settore automotive. L’intesa beneficia della capillarità della rete ACI sul territorio italiano e supera i confini nazionali grazie alla nostra struttura a Bruxelles per i progetti comunitari sulla mobilità e il turismo, sfruttando inoltre i grandi eventi di sport e motorismo storico di visibilità mondiale organizzati da ACI: dal Gran Premio di Formula1 a Monza fino al Rally Italia Sardegna, dalla Mille Miglia fino alla Targa Florio”. A sottoscrivere l’accordo anche il Generale di Corpo d’Armata Giuseppenicola Tota, Comandante delle Forze Operative Terrestri di Supporto, da cui dipende organicamente il Museo.

Nella cittadella Militare. Il Museo è nell’attuale sede dal 1991: è la Cecchignola, la cittadella dell’Esercito che si trova nella zona sud di Roma sulla via Laurentina. Occupa un'area di circa 50 mila mq, molto articolata, con ampi viali, estese zone nel verde e volumi con struttura a "scheda", tipica dei primi del secolo, un tempo utilizzati per attività didattiche della Scuola della Motorizzazione Militare. I mezzi esposti, alcuni che necessitano di un minuzioso restauro, sono più di trecento unità, tra automobili e autocarri civili e militari d'epoca; sessanta i mezzi cingolati, blindati e corazzati, e altrettanti i motocicli d'epoca. Negli attuali sei padiglioni espositivi particolarmente importante è quello intitolato alla Medaglia d'Oro Arturo Mercanti, nel quale sono posti la Direzione, la biblioteca-archivio con dati e schede tecniche riferiti a molti mezzi a motore in affidamento all'Esercito, dalle origini ai nostri giorni, nonché materiale fotografico e documentale. In più, è esposta la grande carta murale riportante la manovra dinamica attuata dal Generale Cadorna nel Trentino, nell'anno 1916: fu la prima manovra di guerra italiana caratterizzata dal massiccio impiego del trasporto automobilistico.

L’ambulanza di “Addio alle armi”. Oltre ad alcuni carri a traino animale del 1914 e del 1916, il Museo annovera pezzi di grande valore e importanza storica, come gli autocarri Fiat 18 BL, 15 Ter e Spa 38. Ma anche due aerei leggeri Piper L18 e L21B, una Fiat 501 Torpedo, il carroarmato veloce L3, i carriarmati M15/42 e P40 e la rarissima autoblindo Lince su base Lancia Astura. Presenti anche alcune vetture della Presidenza della Repubblica: una delle 4 Lancia Flaminia Landaulet e la Maserati Quattroporte di Sandro Pertini. Tra i cimeli più famosi, l’autoambulanza Fiat Tipo 2 del 1910 usata nel film “Addio alle armi” tratto dal romanzo autobiografico di Ernest Hemingway. Degna di nota anche la presenza di un’auto “da combattimento”, ma non “da guerra”: una favolosa Alfa Romeo 6C 1750 GS Zagato, decisamente più adatta alle battaglie sportive in corsa… 

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FCA Heritage: le quattro ruote tra arte e storia

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L’automobile ha rivoluzionato gli equilibri sociali e culturali non solo in termini di mobilità, ma anche di pensiero, costume e nuove infinite possibilità.

In oltre un secolo i marchi del Gruppo FCA hanno realizzato modelli divenuti parte di un patrimonio culturale mondiale. La seconda puntata della seconda stagione di FCA What’s Behind racconta proprio la preziosa eredità dei modelli storici di FCA, partendo dal dipartimento FCA Heritage, designato alla ricerca e valorizzazione dei Marchi italiani del Gruppo.

Officina polifunzionale. FCA Heritage ha sede in un luogo particolare: l’Heritage Hub di Torino creato nell’ex Officina 81 di Mirafiori, dove venivano realizzati ingranaggi e alberi di trasmissione. L’ambiente ha mantenuto la sua identità industriale nello stile architettonico, opportunamente ripristinato rispettando colori e finiture dell’epoca, come è giusto che sia per un luogo delegato alla preservazione di un patrimonio storico. Ma venuta meno la destinazione produttiva Heritage Hub diventa uno spazio polifunzionale moderno e stimolante, dove raccontare la storia  dei marchi italiani di FCA. Con le attività di divulgazione storica che si stanno progressivamente integrando con quelle dei marchi americani del Gruppo.

Intanto a Detroit… Negli Stati Uniti FCA dispone di un altro spazio dall'importante passato industriale, oggi destinato  alla valorizzazione del patrimonio storico: lo stabilimento di Conner Avenue a Detroit, dove venivano prodotte le sportive Viper. Il "Coner Center" ospita una vasta collezione, 400 veicoli perfettamente restaurati visionabili in un ambiente creato anche per ospitare meeting ed eventi.  Un percorso affascinante che racconta l'evoluzione dei modelli Jeep, Chrysler, Dodge e Ram, e che include anche affascinanti concept  e show car. A questi si aggiungono anche modelli di marchi scomparsi come De Soto, Plymouth, Pontiac. Non mancano infine le lussuose Imperial, alcune delle quali assemblate proprio a Torino dalla Carrozzeria Ghia. Tornando in Italia non si possono non citare le Officine Classiche, il Centro Storico Fiat e il Museo Alfa Romeo: luoghi dove è possibile toccare con mano alcune delle pagine più affascinanti della storia dell’auto.

Non solo storia. Oltre alle attività divulgative e museali, FCA Heritage offre una piattaforma completa di servizi per collezionisti di auto storiche: certificazioni, manutenzione e restauro, pezzi di ricambio introvabili ri-prodotti in collaborazione con Mopar®. Il servizio più innovativo è “Reloaded by Creators” che prevede la ricerca di auto classiche in tutto il mondo che vengono restaurate, certificate dalle Officine Classiche e vendute sul mercato. Un approccio analogo a quello dei  Musei d’Arte, che in questo modo finanziano  l’acquisizione e la valorizzazione di altri capolavori: del resto per gli appassionati il parallelo tra automobili e arte viene spontaneo. Buona visione!

Aumentano gli acquisti online di auto e moto classiche

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Una nuova indagine di Catawiki svela le abitudini dei collezionisti di auto e moto: negli ultimi mesi, complici le restrizioni imposte dal Coronavirus e le nuove abitudini di acquisto, le storiche si comprano sempre più online.

Le vendite online di auto da collezione sono aumentate nel corso del secondo trimestre del 2020. Durante questo periodo, fatto di restrizioni e di nuove abitudini di acquisto, Catawiki, il sito leader in Europa per la compravendita online di auto d’epoca selezionate da esperti, ha registrato un aumento delle vendite di vetture del 13%, rispetto allo stesso periodo del 2019. Quasi un terzo (30%) risale a modelli che appartengono agli anni Sessanta. La piattaforma di e-commerce osserva anche un aumento delle vendite di auto di epoca più recente, come le Youngtimer e le Instant Classic. Questi due segmenti rappresentano complessivamente quasi il 40% delle auto da collezione vendute su Catawiki.Made in Italy è meglio. Le auto costruite durante i favolosi anni Sessanta e le Youngtimer sono le più ricercate. Secondo la recente indagine europea dedicata ai trend relativi alle auto classiche condotta da Catawiki, il 60% degli intervistati vorrebbe acquistare auto/moto classiche italiane. Dalla ricerca emerge inoltre che le auto prodotte durante gli anni del “miracolo economico” sono tra le più vendute (23%), insieme alle Youngtimer e a quelle dagli anni Settanta. Il 33% degli italiani intervistati cita la "la passione per le vetture classiche" come motivo principale per l'acquisto. Ma quanto sono disposti a spendere gli italiani per l'auto dei sogni? Il 20% dichiara di poter spendere fino a 30.000 euro per il modello desiderato, mentre il 12% è disposto ad arrivare fino a 50.000 euro.

Non solo auto: gli italiani amano anche le moto d’epoca. La Harley Davidson è la moto dei sogni per il 28% degli intervistati, seguita dalla Moto Guzzi (18%) e dalla Ducati (14%). Per poter guidare la loro moto dei sogni il 37% degli intervistati è disposto a spendere tra i 1.000 e i 5.000 euro. Il 14% è invece disposto a spendere fino a 10.000 euro. Luca Gazzaretti, esperto di auto classiche di Catawiki e componente del Comitato Prezzi di Ruoteclassiche, ha dichiarato: "La tendenza che abbiamo riscontrato sia nel sondaggio sia sulla nostra piattaforma è la popolarità dei modelli risalenti agli anni Sessanta. Questa epoca entusiasma gli appassionati acquirenti perché rappresenta la raffinatezza e l'artigianalità. Il panorama delle auto d'epoca è in continuo cambiamento e sviluppo. La passione dei collezionisti è molto sentita, e sono disposti a tutto pur di acquistare l'auto dei loro sogni. Oggi le persone hanno più familiarità con i pagamenti online e il sondaggio mostra che quasi il 54% degli italiani sarebbe più propenso ad acquistare un'auto o una moto classica online se questa è stata recensita e valutata da esperti, il che è esattamente ciò che assicura Catawiki. Gli esperti di Catawiki validano ogni veicolo all'asta sulla piattaforma e il pagamento è memorizzato su un conto bancario sicuro e viene rilasciato al venditore solo dopo che l'auto è nelle mani degli acquirenti. Crediamo che le vendite di auto classiche online aumenteranno in futuro, soprattutto ora che gli acquirenti sono alla ricerca di piattaforme in grado di garantire un'esperienza di acquisto sicura attraverso un sistema di pagamento affidabile e a una valutazione da parte di esperti del settore”.

Ferrari e Lamborghini il sogno di tutti. Il Cavallino Rampante e il Toro di Sant’Agata Bolognese sono eccellenze italiane leader mondiali nel segmento automotive. Non stupisce quindi che per il 22% degli intervistati la Ferrari sia l’auto dei sogni, seguita dalla Lamborghini (14%). Tra i modelli alto di gamma venduti durante il secondo trimestre 2020, troviamo infatti una Ferrari 330 GT 2+2 del 1966 (venduta su Catawiki a 300.000 euro).

Le vendite oltre 100.000 euro. Appartengono al periodo degli anni Cinquanta e Sessanta  due altri modelli recentemente aggiudicati a valori considerevoli: una Jaguar E-Type 3,8 Litre Roadster “Flat Floor” del 1961 (venduta per 300.000 euro) e una Mercedes-Benz 170 S Cabriolet A del 1950 (pagata 113.000 euro).

Le giovani generazioni sognano le auto classiche. Il 44% degli appartenenti alla Generazione Z (cioè i ragazzi con età compresa tra i 18 e i 23 anni) sogna di acquistare un giorno un'auto o una moto classica. Per quanto riguarda i modelli desiderati, Ferrari e Lamborghini risultano sempre in cima alla classifica. Se il 25% della Generazione X (gli adulti da 44 a 55 anni) sogna di possedere una Ferrari, il 19% degli appartenenti alla Generazione Z aspira a guidare una Lamborghini e il 18% una Porsche. Anche i Millennial (i giovani dai 24 ai 39 anni) sono appassionati di Lamborghini, a differenza delle generazioni più adulte (i cosiddetti “boomers”, nati cioè durante il periodo del boom economico, con età oggi compresa tra i 56 a i 74 anni), che sognano le Alfa Romeo e le Jaguar.

Fiat è la più venduta in Italia, la Mercedes nel resto d’Europa. Mentre in Francia, in Spagna e in Olanda il brand più venduto su Catawiki è quello Mercedes, in Italia, a guidare la classifica troviamo la Fiat. La vendita del marchio torinese ha rappresentato circa il 22% delle Oldtimer vendute in Italia: in particolare i modelli più apprezzati sono stati quelli degli anni Sessanta e le Youngtimer. Seguono i modelli Mercedes (circa 11%), Alfa Romeo (quasi 8%),  Lancia (circa 6%) e Jaguar (5%). La Fiat 500 L, insieme alla 600 D e alla Mercedes R107, sono stati i modelli più venduti nel Bel Paese.

Leggera flessione. Nel complesso, l'andamento dei prezzi delle auto classiche vede una leggera riduzione, e si è osservato anche che la perdita di valore rispetto alla valutazione standard è di circa 4 punti tra il secondo trimestre 2019 e il secondo trimestre 2020. Sempre secondo Luca Gazzaretti: "L'indagine mostra che, soprattutto le generazioni più giovani, sono propense ad acquistare auto classiche e altri oggetti speciali. Per questa generazione intraprendente, l'aspetto dell'investimento gioca un ruolo importante. Nel prossimo futuro crediamo che l'acquisto di auto d'epoca online sia destinato ad aumentare. Lo si può già notare dal fatto che il 20% degli intervistati in tutti i Paesi europei ha dichiarato di collezionare auto classiche come investimento per il futuro".

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Confermata la storica London to Brighton 2020

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Semaforo verde per l'edizione 2020 della celebre cavalcata da Londra fino al mare con auto antiche.

La London to Brighton 2020 si farà. La notizia era nell’aria da un mese e ieri finalmente è arrivata la conferma ufficiale. Il Rac-Royal Automobile Club ha annunciato che tutto si svolgerà come da programma, domenica 1 novembre. Una novità, comunque, a parte la new entry dello sponsor principale – che sarà per la prima volta RM Sotheby's al posto di Bonhams – ci sarà per forza in considerazione delle misure di sicurezza per la pandemia. Riguarderà la partenza, che non avverrà come di consueto da Hyde Park ma poco distante, dal The Mall, il celebre viale della capitale dove ha sede, appunto, il Rac. E sarà a rotazione, cioè partirà un'auto alla volta per mantenere il distanziamento.

Il più longevo e il più tenace. Le iscrizioni sono state aperte due giorni fa. Quest'anno è facile che i partecipanti, di solito in arrivo da ogni parte del mondo, siano per lo più britannici dato che in molti potrebbero non sentirsela di affrontare viaggi, anche intercontinentali, per via del Covid. C'è da aspettarsi quindi un numero ridotto di equipaggi: che stavolta ad avventurarsi lungo i 97 km fino al lungomare di Brighton siano in 450 o 500 come sempre è alquanto improbabile. In ogni caso è stato dato un buon messaggio positivo, la corsa non è stata cancellata. Quello che viene considerato l'evento motoristico più longevo al mondo dimostra ancora una volta una tempra di ferro. E anche una buona dose d'ottimismo, che male non fa.

Il mondo visto da una locomobile. La Run è ogni anno un grande tributo agli uomini e alle macchine che hanno motorizzato il mondo. Si svolge sempre la prima domenica di novembre per onorare la tradizione dell'“Emancipation Run”, che nel 1896 ha visto scendere gioioso fino al mare un manipolo di automobilisti di allora con le loro locomobili per festeggiare l'innalzamento dei limiti di velocità del “Liberation Act”, che a quel punto non costringevano più i mezzi ad andare a passo d'uomo com'era stato fino ad allora – addirittura con un funzionario che li precedeva a piedi per garantire il mantenimento della velocità.

Museo in movimento. Si partecipa con mezzi costruiti entro il 1904 che siano riconosciuti dal Veteran Car Club of Great Britain. Lo spettacolo è unico al mondo, con un'atmosfera goliardica e very British che dà davvero la sensazione di essere tra la fine dell'Ottocento e gli albori del secolo scorso. Anche se non da partecipanti, almeno una volta nella vita la London to Brighton è da vedere, perché è la mamma di tutti gli eventi motoristici ed è un distillato di pura passione. Tante anche le marche pionieristiche che capita regolarmente di incontrarvi, dalle più celebri come De Dion Bouton, Daimler e Panhard et Levassor fino a una miriade delle più remote, scomparse ormai anche alla memoria degli appassionati.

Le tradizioni si rispettano. La corsa non è competitiva ma arrivare a Madeira Drive è già una bella sfida di per sé, e tanto meglio se si riesce entro le 16,30, massimo orario concesso. Perciò, vista la velocità media di 21 km all'ora, serve avviarsi per tempo. Lo start di solito comincia qualche secondo prima delle 7, con gli iscritti che arrivano tra le 5 e le 6 di mattina per preparare le vetture. Resta da capire se anche il consueto concorso d'eleganza in Regent Street stavolta si svolgerà il giorno prima della corsa, come sempre, o se dovrà saltare il giro. Entrambi gli eventi fanno parte della Motoring Week annuale organizzata dal Rac, che è fra l'altro il club più esclusivo di Londra. Per tenervi aggiornati potete consultare il sito. 

 

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Citroёn 2 CV: trent’anni fa veniva prodotto l’ultimo esemplare

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Il 27 luglio di trent'anni fa veniva prodotta l'ultima 2 CV. L'uscita di scena dal palco delle vendite, però, ha consacrato la vettura tra i modelli cult, capaci di scrivere importanti pagine nella storia dell'automobilismo. Un'auto che tutt'ora viene ricordata con piacere dagli appassionati... 

Tutto ebbe inizio nel 1935: dopo la morte del patron André Citroёn fu un alto dirigente della Michelin a risollevare le sorti della casa del Double Chevron. Dopo aver risanato i bilanci, rivedendo completamente la gestione finanziaria degli stabilimenti Citroёn, "Père Boule", al secolo Pierre-Jules Boulanger, si dedicò allo studio di un'utilitaria piccola ed economica. Destinata a cambiare il corso della storia dell'automobilismo. Le direttive erano chiare: i vertici del marchio non avevano intenzione di fare il passo più lungo della gamba.

Dopo la messa in produzione di modelli all'avanguardia ma costosi da realizzare - come la Traction Avant, che a causa delle difficoltà d'attuazione mise a rischio la sopravvivenza dell'azienda -, serviva una macchina semplice e poco costosa da costruire. A Boulanger, manager pragmatico come pochi, forgiatosi oltreoceano nell'industria dei tram, fu chiesto di costruire una macchina adatta alle nuove esigenze. In tempi in cui in Francia a possedere un'automobile erano davvero in pochissimi, quest'ultima doveva avere caratteristiche ben precise. Per intercettare il gusto e le esigenze dei nuovi automobilisti, fu fatto un sondaggio. Si chiedeva quante porte e quanti cilindri avrebbe dovuto avere la loro automobile ideale.A prova di contadino. L'indagine di mercato evidenziò l'esigenza di sostituire i veicoli a trazione animale, ancora diffusissimi nelle campagne francesi, con un veicolo versatile a benzina. Ecco allora la famosa lettera che Boulanger indirizzò al signor Brogly, all'epoca a capo del centro studi Citroёn: "Fate studiare una vettura che possa trasportare due contadini con gli zoccoli, cinquanta chili di patate o un barilotto di vino a una velocità massima di sessanta chilometri orari, con un consumo di tre litri per cento chilometri".

La sfida impossibile. La richiesta, già di per sé complicata da soddisfare, si allargò nei termini a poche settimane di distanza: l'auto "avrebbe dovuto essere in grado di superare terreni impervi, come un campo arato, con un paniere di uova a bordo senza che se ne rompesse uno". Ancora: "doveva costare al massimo un terzo della Traction 11 (all'epoca il modello Citroёn più venduto, ndr) e doveva essere facile da guidare anche per una contadina neopatentata".

Il progetto prende vita. Quasi impossibile secondo Brogly, che perplesso girò il foglio con le istruzioni ad André Lefebvre, l'ingegnere "padre" della Traction. Per i suoi uomini partì una sfida che sarebbe durata, anche a causa della guerra, circa dodici anni. Una gestazione lunga e difficile che coinvolse diversi talenti, non ultimo l'italiano Flaminio Bertoni, che già aveva disegnato la carrozzeria bassa ed elegante della Traction Avant e che firmerà, in futuro, due altre icone del Double Chevron, la DS e la Ami 6. Nel 1939 sono pronti già 250 prototipi: la trazione è rigorosamente anteriore, il motore è un piccolo bicilindrico. Passano tutti al vaglio di Boulanger, che scarta tutti quelli che impediscono un facile accesso all'abitacolo ai passeggeri che portano un cappello di paglia, l'accessorio da cui un contadino - il tipico target della Toute Petite Voiture - non si separa mai.

Un mito inossidabile. Dopo la seconda guerra mondiale, il panorama socio-economico cambia ma l'esigenza di una vettura economica resta forte quanto e (forse) più di prima. C'è da motorizzare una nazione e Flaminio Bertoni ha il guizzo del genio: il prototipo sviluppato prima del conflitto assume finalmente una forma definitiva. Da questo momento in poi si susseguiranno differenti allestimenti e versioni, fino al 27 luglio del 1990. Giorno in cui a Mangualde, Portogallo, uscirà dalla catena di montaggio l'ultima 2CV. Una giornata che sancirà la fine commerciale della 2CV, consacrando in maniera indissolubile la vettura nella storia del marchio e dell'automobilismo.

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Regione Piemonte, approvata la deroga per le storiche

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Piemonte, approvati dalla Giunta regionale le deroghe per i mezzi storici. Gli ultraquarantennali  circoleranno liberamente sette giorni su sette. Per quelli dai 20 ai 39 anni via libera nel weekend e Move In per il resto. Unanime il consenso della politica.

“La giunta regionale piemontese ha dato il via libera oggi, venerdì 31 luglio,  al regime delle deroghe per i mezzi storici. Un impegno che ci eravamo assunti e che  dopo i contatti con i capigruppo dell’opposizione e le commissioni, nonché con il sindaco di Torino Chiara Appendino, troverebbe il supporto unanime dei consiglieri”. Le parole dell’assessore all’Ambiente piemontese Matteo Marnati seguono di poco la giunta in cui gli uomini del governatore Alberto Cirio hanno dato il loro “sì” non solo all’adozione del sistema Move In per la circolazione in deroga dei mezzi inquinanti in tutta la regione, ma anche alle deroghe vere e proprie al blocco dei mezzi storici che in questi mesi aveva tenuto banco in Piemonte. 

Libera circolazione per le auto over 40. “Contatti con Asi, Aci e Fmi ci hanno indotto a proporre un sistema di deroghe per i mezzi più importanti del nostro patrimonio storico. La nostra proposta passata oggi in giunta prevede la libera circolazione, sette giorni su sette, dei veicoli che hanno più di 40 anni, muniti di Certificato di rilevanza storica,  e il via libera alla circolazione nei fine settimana di quelli che vanno dai 20 ai 39 anni”, spiega Marnati.

Approvata all'unanimità. Il regime delle deroghe è stato definito dopo una serie di contatti con i gruppi consiliari ed i sindaci delle città capoluogo di provincia: “Già mesi addietro Chiara Appendino, sindaco di Torino, si era detta  pronta a sostenere le deroghe per i mezzi più antichi qualora la Regione avesse cambiato la  legge regionale sulla qualità dell’aria. Dopo una serie di incontri con Aci, Asi e Fmi  abbiamo affinato una proposta che ho presentato in giunta e che è passata all’unanimità. Il testo è stato sottoposto ai capigruppo consiliari: abbiamo avuto il sì di Pd e M5S. Resta qualche perplessità e volontà di confronto nei gruppi più piccoli. Qualora dovessimo trovare la quadratura del consenso di tutti i capigruppo, potrebbe  aggirare il limite che ad agosto i lavori del Consiglio sono sospesi.

Deroghe ufficiali da martedì. La norma prevede infatti che la Commissione dei capigruppo  possa esprimersi a favore di un emendamento che cambia quindi con effetto immediato la norma” prosegue Marnati. L’ipotesi dunque è che già martedì prossimo il Piemonte potrebbe quindi disporre di deroghe adeguate per le storiche. Diversamente il passaggio in aula potrebbe avvenire solo a settembre, con la calendarizzazione delle deroghe  tra i lavori del Consiglio regionale.

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Granturismo: insieme alla scoperta dell’Italia

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Anche quest’anno proponiamo col numero di Ruoteclassiche di agosto l’allegato Granturismo, una viaggio alla scoperta dei tesori più o meno conosciuti della nostra bella Italia.

 Fil rouge dei nostri dieci itinerari sono ville, palazzi, rocche, tenute e castelli che i rispettivi proprietari hanno trasformato in esclusivi resort, nei quali vivere un’esperienza indimenticabile tra ospitalità, lusso e cultura.Bellezze dietro l’angolo. Mai come in questa estate oppressa non dalla calura bensì dall’apprensione per il serpeggiare del Covid-19 vi è il desiderio di scoprire le bellezze della nostra Italia. Angoli di paradiso dietro casa, facilmente raggiungibili in automobile, meglio se d’epoca. La storica infatti è il “vettore” ideale per immergersi nei nostri dieci itinerari, lontani dal traffico caotico e incessante delle arterie autostradali che “sorvolano” l’ambiente circostante ma non l’attraversano.

Compagne di viaggio - Come navigatori d’altri tempi ci siamo lasciati guidare in questo viaggio da dieci Stelle: dieci Mercedes-Benz. E in particolare da nove SL e da una GT C Roadster, ultima erede della prestigiosa famiglia di sportive della blasonata Casa tedesca. Ad accompagnarci quindi delle protagoniste assolute, dalla mitica coupé 300 SL “Gullwing” al prototipo della 300 SL Roadster (chiamato SLS), dalla 190 SL alla 280 SL (la “Pagoda”), dalla rarissima 450 SLC 5.0 alla 500 SL (R129), per giungere infine alla poderosa GT C Roadster attualmente in produzione.

Approdi sicuri - Come higlights del nostro pellegrinaggio dieci dimore storiche italiane. Ville, palazzi, tenute, rocche e castelli trasformati in resort, dove lusso, ospitalità, storia e cultura vivono in mirabile simbiosi. Luoghi di eccellenza scoperti grazie a Beyond The Gates, progetto nato nel 2018 con lo scopo di far conoscere e apprezzare lo sterminato patrimonio artistico del nostro Paese, una formula che contribuisce a salvaguardare dal decadimento complessi immobiliari di notevole prestigio, ma che necessitano di grande impegno quotidiano in termini di cura e manutenzione.

Immagini indelebili - Al volante delle nostre sportive d’antan (e non solo) abbiamo solcato il Piemonte, il Veneto, la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Toscana e il Lazio. Rimangono impresse nella memoria immagini straordinarie del Roero, del Cuneese, della Valpolicella, dei Colli Euganei, del Lago di Lecco, dei Colli Piacentini, del Chianti e dei Monti Prenestini. Paesaggi nei quali la presenza millenaria dell’uomo si è integrata nella natura circostante, creando una suggestiva e impareggiabile armonia.

Stimolo a viaggiare - Le pagine dell’allegato Granturismo si pongono ovviamente come guida per seguire le nostre rotte, ma intendono essere anche uno stimolo a partire verso nuove mete, magari meno conosciute, ma non per questo meno meritevoli di attenzione. Del resto in Italia è difficile sbagliare strada….

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Ruoteclassiche di agosto: dai 125 anni di Škoda ai (tanti) primi eventi “in presenza”

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Due “Cinquini olimpici”, nell’anno - il 1960 - degli ultimi giochi estivi disputati nel Belpaese, ma anche la singolare Bizzarrini 5300 Spyder S.I. “una e trina”, i cui tre esemplari si accasarono Oltreoceano, nelle mani di due gelosissimi collezionisti americani. E poi il compleanno semitondo della Casa ceca celebrato con i dodici modelli più significativi della sua storia.

A loro modo un classico evergreen sulla copertina di Ruoteclassiche di agosto. Siamo nel 1960, anno dei Giochi romani, e la famiglia 500 fa debuttare in primavera la versione Giardiniera e, a novembre, la D, con la quale il “Cinquino” si afferma definitivamente sul mercato. E appunto in chiave “olimpica” le mettiamo idealmente l’una contro l’altra nel nostro “Test a test” (con una coda tecnica su entrambi i modelli).Altro che figlio di un Dio minore. La storia del marchio Škoda compie 125 anni; la ripercorriamo con i dodici modelli più significativi della sua gamma, dal 1905 al 2020. A seguire, due pagine dedicate a un collezionista mantovano, che dopo essere stato per vent’anni concessionario della Casa ceca, ha riunito una piccola, ma unica, raccolta di vetture. Nella sezione “Impressioni” del numero puntiamo i riflettori sulla Datsun 240Z, giapponese rubacuori dal carattere sportivo; un po’ Ferrari 250 GTO e un po’ Jaguar E Type, amatissima ovunque e ormai introvabile, almeno da noi.

Una e trina. Provate a immaginare un “esemplare unico” -  la Bizzarrini 5300 Spyder S.I. - ma moltiplicato per tre, perché altrettante ne furono le varianti diverse nei dettagli e nella livrea, oggi tutte Oltreoceano, in mano a due collezionisti americani. Noi vi presentiamo quella blu che ha trovato casa in Pennsylvania. Chiude, nel ruolo di “Classiche domani”, la Jeep Wrangler 2.0 Turbo. Torna dopo una lunga panchina il “Tuttoclassico” che abbina il marchio Healey alla sua poco conosciuta divisione marina nata con la complicità di Stirling Moss, e della quale presentiamo il motoscafo Sports Boat 55 del 1958.

Lanci e ripartenze. Con l’entrata ufficiale in Fase 3 partono anche gli eventi “in presenza”; non tutti, ma abbastanza per far prevalere quelli effettivamente svolti rispetto alle kermesse annullate o rimandate all’anno prossimo. Riportiamo la cronaca di Poltu Quatu Classic, di Villa d’Este Style, del Piancavallo Revival, della singolare mostra al Mauto, frutto dell’Operazione “Rien ne va plus”, delle diverse celebrazioni che hanno riguardato i 110 anni dell’Alfa Romeo (al Museo Fratelli Cozzi, ma soprattutto a quello storico di Arese). E poi il ritorno dei drive-in e dell’Aston Martin DB5 nella versione “Goldfinger Continuation”. Tra i lanci, Milano AutoClassica, la Modena Motor Gallery e il Raid dell’Etna. “I luoghi di culto” esplora il singolare tesoro di Epoca Store (veicoli da restaurare, trebbiatrici degli anni 30, biciclette e motorini, ma soprattutto componenti e accessori di ogni tipo), tra Pontevico (BS) e Cremona.

Un po’ di noi. Una parentesi a parte meritano due nostre iniziative: il quarto Master Restauratori Auto d’Epoca, svoltosi a luglio in forma telematica, e le dirette Facebook organizzate da Ruoteclassiche per #insiemeperilclassico. Chiudono il numero di agosto le “Gareclassiche” (Stella Alpina, in testa) e la sezione “Mercato” con le aste digitali di RM Sotheby’s e Bolaffi, “Il punto dell’esperto” (Gregor Wenner) e il “Polso…” (Giannini e derivate Fiat 500).

Un GranTurimo di gran classe. Ricordiamo che allegato a richiesta all’uscita agostana troverete lo Speciale “GranTurismo” che vi propone le dimore storiche del Centro e Nord Italia con le più belle Mercedes d’epoca.

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Triumph TR7 Spider: l’inglese che piaceva in America

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La Triumph TR7 è una vettura controversa, se la linea non esprimeva al meglio le glorie britanniche, la tecnica offriva diversi spunti interessanti, a partire dall’handling e dal comparto sicurezza: la TR7, lanciata nel 1975 era tra le pochissime auto sportive dotate di scocca a deformazione programmata.

Che la Triumph TR7 fosse un’auto strampalata era chiaro sin da subito: assemblata inizialmente a Liverpool, venne poi prodotta a Coventry dal 1978. Inoltre i primi esemplari, fino al 1976 vennero destinati esclusivamente al mercato americano, uno smacco non da poco per i sudditi di Sua Maestà, che dovevano aspettare un anno prima di poter ordinare una vettura prodotta localmente. Ma gli "yankees" adoravano la TR7 e la Triumph dette loro la precedenza. Stile controverso. Nei primi anni 70 la Triumph rientrava nell’orbita British Leyland, un impero che all’epoca raggruppava anche Rover, MG e Jaguar. La Leyland contava di sviluppare una nuova vettura sportiva per rimpiazzare la Triumph TR6 e la MG B: entrambe legate ai canoni tecnici e stilistici anni 60. Lo stile della TR7 venne affidato ad Harris Mann che disegnò una due posti dalla linea molto tesa e cuneiforme, caratterizzata dai fari anteriori a scomparsa. Con la TR7 Triumph cambiava musica, ma forse il taglio con il passato si rivelò troppo netto. A parte la tensione delle linee, lo stile della TR7 non risultò particolarmente armonico per via di un frontale molto basso e una coda molto alta. I due passaruota erano collegati idealmente da una linea arcuata che creava un incavo sulla fiancata; c’erano poi dei grossi paraurti in plastica grezza, sbalzi molto pronunciati e ruote di piccole dimensioni che rappresentavano un mix letale per ogni vettura che voglia essere vagamente guardabile. Si narra che alla presentazione del modello Giorgetto Giugiaro, incredulo avesse chiesto se i vertici Triumph intendessero realmente produrla così…

Poche novità. Il motore della Triumph TR7 era un quattro cilindri da 1.998 cc, derviato da quello della Triumph Dolomite 1850, dotato di carburatori più grandi e maggior cubatura, con queste prerogative la TR7 raggiungeva una potenza di 105 CV a 5500 giri/min, con coppia massima di 161 Nm. Per i mercati australiano e nordamericano il 2 litri venne depotenziato a 92 CV per soddisfare le normative locali sulle emissioni. Il cambio era classico manuale a quattro marce, con la quinta marcia a richiesta. Sempre a richiesta un automatico a tre rapporti. L’impianto sospensivo prevedeva molle elicoidali e ammortizzatori all'anteriore, mentre, mentre al posteriore un interessante sistema a quattro bracci, sempre con molle elicoidali. La TR7 prevedeva anche barre antirollio anteriori e posteriori, mentre l’impianto frenante era di tipo misto con freni a disco sull'anteriore e tamburi al posteriore.

Spider è meglio. Le cose migliorarono leggermente con la variante Roadster, soprattutto a capote aperta mitigava gli squilibri della variante chiusa. Presentata nel 1980 la TR7 Roadster faceva sfoggio di nuove cerchi che sostituivano quelli di piccole dimensioni e con il coperchio nero che copriva solo il centro delle ruote della coupé. Ruote più grandi e con finitura argentate donavano luce alla TR7, che riuscì a conquistarsi una certa fetta di mercato, soprattutto negli Stati Uniti dove per via della crisi petrolifera tutti i marchi corsero al downsizing di motori e pianali. La compatta TR7 con le sue linee spigolose e i fari a scomparsa parlava esattamente il linguaggio stilistico che prese il sopravvento in America a fine anni 70. Nella “vecchia” Europa la clientela godereccia delle spider continuò a preferire linee più classiche ed eleganti.

Anche a 8 cilindri. Visti i successi commerciali negli USA, Triumph nel 1977 sviluppò la TR8 dotata di un motore più potente: un V8 Rover 3,5 litri da 135 CV. Tuttavia la variante V8 non ebbe grosso seguito. Con una sospensione anteriore indipendente MacPherson, lo sterzo cremagliera servoassistito e freni a disco anteriori, la TR8 era precisa e maneggevole. Il sound del V8 aggiungeva note di fascino a questa spider inglese, ma una sterlina insolitamente forte rese le Triumph TR8 piuttosto costose rispetto alla concorrenza a fronte di una qualità costruttiva tutt’altro che eccelsa, lasciando in vantaggio la più tranquilla TR7.

L’attività sportiva. La Triumph TR7 poteva vantare un ottimo handling e per questo partecipò anche a gare di rally tra il 1976 e il 1980. Sugli esemplari da competizione che gareggiavano nel Gruppo 4 venne montato dapprima il motore a 16 valvole della Triumph Dolomite Sprint in luogo del 2 litri di serie e successivamente il V8 installato poi sulla TR8 di produzione (in questo caso le vetture da competizione vennero indicate come "TR7 V8"). Le TR7 si rivelarono efficaci prevalentemente nelle gare su sterrato, mentre la più potente TR7 V8 vinse il rally di Ypres nel 1978 e nel 1980. Le successive TR8 vennero impiegate nei campionati americani IMSA e Trans Am  dal 1978 all’81. I maggiori successi sportivi raggiunti dalla TR7 sono attribuibili al pilota Tony Pond, pilota ufficiale della Triumph dal 1976 al ’78 e nuovamente nel 1980.

Fattore rarità. Nonostante le critiche e i difetti di produzione, della TR7 vennero realizzati 112.368 esemplari con tettuccio rigido e 28.864 modelli con carrozzeria aperta, un risultato non banale per un’auto di nicchia e dalla linea tanto “particolare”. Le 2.497unità della TR8 rendono oggi questo modello praticamente introvabile, se siete a caccia di rarità, questa potrebbe essere una sfida interessante.

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TurboLento: l’Italia in Renault 4

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Più che una vacanza, un viaggio in auto storica a fin di bene: è TurboLento in R4, l'avventura di due ragazzi lungo la Penisola in favore della città di Bergamo.

Prima ci sono state le vacanze in Albania, poi in Grecia due anni fa. Ora Sebastian Carozza e Yasmine Khelifi, due fidanzati di Bergamo, sono pronti per un nuovo viaggio-avventura. Stavolta esploreranno lo Stivale, girandolo in lungo e in largo dall'8 agosto, come sempre a bordo della Renault 4 di Sebastian. L'intento, però, non è solo di svago ma ha anche uno scopo di beneficenza. “Vogliamo aiutare la nostra città”, spiega il 26enne. “Gireremo l'Italia in varie tappe in favore del banco di mutuo soccorso istituito dal Comune. È un fondo destinato ai familiari delle vittime e alle imprese in difficoltà”. Coetanei, operaio metalmeccanico lui ed educatrice lei, hanno avuto l'idea di spendere le proprie ferie rendendosi utili alla collettività dopo la tragedia del Covid dei mesi scorsi, che ha inferto colpi durissimi al capoluogo orobico.

Bravi ragazzi. “Adesso la situazione è molto migliorata, ma c'è comunque da stare attenti”, prosegue. “E chi non ha vissuto in prima persona non può capire. Qui i flash-mob sui terrazzi non si facevano, chiunque ha avuto un parente o una persona conosciuta scomparsa a causa del virus”. Di fatto l'obiettivo dell'iniziativa, patrocinata dal Comune di Bergamo, è anche di sensibilizzare il resto del Paese su quanto è successo. “Non raccoglieremo soldi in prima persona, in pratica pubblicizzeremo l'Iban attraverso il quale si possono fare i versamenti”, precisa l'appassionato di R4, che usa la sua 950 anche come auto quotidiana. “Il mio tran-tran di tutti i giorni è alquanto monotono, perciò non volevo un'auto grigio metallizzato ma qualcosa che mi desse un'emozione, una sferzata d'energia”, racconta. E a quanto pare alla simpatica “Quatrelle”, come viene chiamata affettuosamente nella sua terra d'origine, è rimasto legato: dopo una prima bianca, questa rossa di ora è il suo unico mezzo di locomozione da quattro anni.

Icona delle utilitarie. Intelligente, volutamente spartana e pratica come poche, la Renault 4 è un'auto capace di rimettere in moto nei più il motore dei ricordi. Venduta non solo in Europa ma anche in altre aree del mondo, è una delle Renault più diffuse e amate in assoluto. La meccanica, come il resto, è basic, con propulsore a 4 cilindri in linea e cambio – a manico di ombrello – a quattro marce. La versione da 950cc era già avanzata, dopo è stata prodotta soltanto con cilindrata 1100. Ultraleggera e ben alzata da terra, con il cofano che si apre sul davanti e il grande portellone posteriore, ben comodi da utilizzare. La capacità di carico nel portabagagli poi era enorme, e ulteriore spazio si poteva creare ribaltando i sedili posteriori. Per trasportare attrezzi di lavoro e merci era perfetta. Ed era anche molto ben “camperizzabile”, cosa che hanno fatto in un certo senso i due piccioncini bergamaschi aggiungendo dei pannelli esterni. Non solo: “Dormiremo direttamente sul tettuccio, con una tenda”, spiega Sebastian.

Partenza con altre “colleghe”. Lo start di questo giro avventuroso in 13 tappe fino al 28 agosto, che si chiama TurboLento in R4, sarà davanti al Municipio di Bergamo, da dove i ragazzi prenderanno il via sabato 8 alle 11,30 scortati da altre Renault 4. Nei luoghi dove si fermeranno, incontreranno altri appassionati del modello, ma non solo. “Le tappe sono aperte a tutti e a tutti i modelli storici”, precisa l'organizzatore, che è iscritto al Registro Renault 4. “Chi vuole seguirci può farlo dalla nostra pagina Facebook, e dato che non conosciamo le città dove andremo, speriamo di ricevere consigli sui luoghi precisi dove possiamo fermarci”, conclude. Il raduno più grande per ora è previsto a Castagneto Carducci, in Toscana, ma si è ancora in tempo per organizzarne altri. Ecco le tappe:

 

Sabato 8 - Levanto

Lunedì 10 - Castagneto Carducci

Giovedì 13 - Civita di Bagnoregio

Venerdì 14 - Paestum

Domenica 16 - Tropea

Martedì 18 - Matera

Mercoledì 19 - Polignano a Mare

Giovedì 20 - Termoli

Venerdì 21 - Montesilvano

Sabato 22 - Pesaro

Lunedì 24 - Perugia

Mercoledì 26 - Rimini

Venerdì 28 - Peschiera del Garda

 

Per rimanere aggiornati potete seguire la pagina Facebook:

 

Per versare il proprio contributo di solidarietà al Banco del mutuo soccorso di Bergamo: IT47R0311111101000000065901 (conto intestato a Comune di Bergamo, Fondo di Mutuo Soccorso della città di Bergamo)

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X1/9: la spider firmata Bertone

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La Fiat X1/9 è un modello dalla storia tanto controversa quanto affascinante: dopo gli intrighi tra la Ghia di De Tomaso e il centro stile Bertone, la X1/9 nacque per esplicito volere di Gianni Agnelli. Dal “capriccio” dell’Avvocato Agnelli venne sviluppata la prima Fiat a motore centrale posteriore di casa Fiat. Dal 1982 la X1/9 venne prodotta con marchio Bertone.

Sul finire degli anni 60 i tecnici del gruppo Fiat pensavano ad una sostituta della Fiat 850 Spider, una nuova vettura con motore e trazione anteriori da sviluppare sulla base della 128 presentata nel 1969. Bertone propose anche un’idea più estrema: una barchetta con motore centrale, che scartata dai vertici Fiat incontrò il favore del patron di casa Fiat che volle assolutamente produrla. La Fiat X1/9 venne presentata nel 1972 al Salone di Torino, destando scalpore tra i visitatori e un certo trambusto tra i centri stile: la linea, derivata dalla showcar Autobianchi A112 Runabout di Bertone riprendeva le volumetrie della showcar De Tomaso 1600 GTX. In realtà fu De Tomaso a “captare” le linee guida del progetto Bertone in corso d’opera, anticipando la presentazione di un modello dalle linee molto simili per poter intentare una causa ai danni della Bertone…  Inedita. Al netto delle diatribe, la Fiat X1/9 è stata un’auto rivoluzionaria per la Fiat: la modernità delle linee disegnate da Marcello Gandini e l’architettura a motore centrale trasversale rappresentavano una novità assoluta. Il peso contenuto in 880 kg semplificava la vita al brillante 1.3 della Fiat 128 Rally che pur con 75 CV riusciva a garantire ottime prestazioni. La disposizione meccanica, tipica delle auto da corsa, con i pesi distribuiti verso il centro assicurava alla X1/9 di una maneggevolezza eccellente, tanto da guadagnarsi il soprannome di “piccola Ferrari”. A compromettere un quadretto idilliaco, il cambio a quattro marce, non all’altezza del motore e del telaio, così come finiture un po' sottotono. Per questo motivo nel 1976 venne introdotta la Fiat X1/9 Special.

Secondo tempo. Il passaggio principale nella storia della Fiat X1/9 è l’avvento della seconda serie, prodotta a partire dal 1979. Dotata di un nuovo 1.5 condiviso con la Fiat Ritmo, la X1/9 guadagna finalmente un cambio a cinque marce, che consentiva di gestire meglio le prestazioni e il brio di questa spider. La Fiat X1/9 "Five Speed" 1.5 raggiungeva così i 185 km/h di velocità massima.

Passaggio di consegne. La produzione si articolava sull’assemblaggio, curato quasi completamente da Bertone e sul montaggio della meccanica, che avveniva sulle linee Fiat del Lingotto (che in quegli anni era prossimo alla dismissione). Fiat interruppe la produzione del modello nel 1982, ma la X1/9 continuò ad essere assemblata dalla Bertone, che proseguì la commercializzazione fino al 1989. In Europa la Fiat X1/9 era considerata un modello di nicchia per la sua carrozzeria era propriamente di tipo “targa” e questo alla luce di un abitacolo piuttosto angusto comportava una serie di scomodità legate principalmente ai fruscii aerodinamici e a una tenuta della piccola porzione di tetto rimovibile non proprio ottimale… In Gran Bretagna e negli Stati Uniti questa tipologia di auto era invece molto apprezzata: le piccole spider (e targa) avevano una folta schiera di estimatori.

Provaci ancora. Il globale interesse di questi mercati verso la Fiat X1/9 spinse la Bertone a continuare la produzione, apportando una serie di modifiche al modello originario, datato 1971. Dal 1982 anche le X1/9 europee adottano i grandi paraurti in plastica dei modelli americani, gomme più larghe e cerchi di disegno diverso. Sebbene Fiat avesse interrotto la produzione, consentì la commercializzazione delle X1/9 a marchio Bertone tramite la rete vendita ufficiale. Le X1/9 della seconda serie si caratterizzavano anche per degli interni più curati e nuovi sedili, più contenitivi.

Le Speciali. Oltre alla X1/9 Special, si sono susseguite una serie di versioni speciali, a cominciare dalla elegante Fiat X1/9 Lido (1977) proposta solo per il mercato europeo prevedeva una verniciatura in nero metallizzato con profili color argento, paraurti cromati e gli interni. Durante l’era Bertone vennero proposte due varianti bicolore, la “IN” (con parte inferiore nera) e la “VS” (con la sola parte superiore a contrasto). Oltre allo schema cromatico, la due versioni differivano per il disegno dei cerchi

Piccola ma tosta. Oggi la Fiat X1/9 è molto più apprezzata e ricercata rispetto agli anni 70 e 80: la X1/9 è un’auto in fase di rivalutazione e può contare su una “community” molto attiva costellata di club e simpatizzanti del modello. Con cifre ragionevoli (sebbene non così basse come in passato) è possibile portarsi a casa una vettura dallo stile inconfondibile e divertentissima da guidare. La Fiat X1/9 è un’auto pensata per il divertimento alla guida, una sportiva compatta e dall'handling cristallino: quando la strada diventa tortuosa è capace di impensierire auto dalle prestazioni e prestigio ben più elevate. Se la scomodità e la ruggine non vi spaventano, ma volete una godibilissima icona anni 70, questa può essere l’auto giusta per voi.

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Fulmini e saette nell’epopea della Mini

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L’anno scorso le celebrazioni per i sessant’anni della Mini Minor hanno riempito autodromi e musei, i club dei possessori hanno dato sfoggio con le loro carovane e anche la Mini-BMW, che sta alla Mini originale come un castoro a un criceto, ha fatto suonare la grancassa. Ma, a ben vedere, non sono sempre stati anni facili, quelli della piccola inglese. E se non proprio una tempesta, qualche bel fulmine è venuto a turbare la storia del capolavoro di Alec Issigonis.

Uno dei temporali più pesanti scoppiò alla fine degli anni ‘60, quando la vera Mini aveva già una certa età e i suoi progettisti speravano in una degna sostituta. Alec Issigonis, nel 1968,  si era autosospeso dal ruolo di capo progettista per concentrarsi sulla Mini del futuro, aveva messo insieme una squadra di giovani ingegneri e in dieci mesi era pronto un prototipo. Ma il risultato lodevole – battezzato “9X” e che siamo andati a rivedere al British Motor Museum di Gaydon – non aveva avuto fortuna. Eppure la Mini “due punto zero”, razionale ma non seducente nel design, era un’auto tutta nuova e migliore della capostipite. Pur essendo più corta e leggera, aveva maggiore abitabilità, più vetro e – novità per l’epoca -  un portellone posteriore. Anche la meccanica era stata riprogettata, con due opzioni (750 e 1.000 cc) dotate di albero a camme in testa ed elementi  in alluminio, per arrivare a correre con 60 hp contro i 40 della vecchia Mini. Una fusione infelice. Cosa uccise allora, dopo vari tentennamenti, la moderna 9X, ultima piccola del grande inventore? La risposta è sempre la stessa, quella che abbiamo narrato con ampio spazio in una puntata della rubrica apparsa in maggio. Fu il malessere dell’industria automobilistica nazionale, prima dopo e durante il grande “merging” della British Leyland. I manager del Gruppo, poco lungimiranti e afflitti da problemi di convivenza, decisero che la vecchia Mini vendeva ancora troppo bene per investire centinaia di milioni di sterline e sviluppare un’erede. E comunque, se anche i soldi ci fossero stati (cosa che non era) pensarono che non sarebbe stato il caso di investirli su una piccola vettura capace di generare, in proporzione, piccoli profitti. Decisero di fare altro e, probabilmente, fecero peggio.

La Mini irlandese. Questo è stato dunque il temporale strategico che ha fatto perdere alla Mini il mercato dei suoi estimatori. Una platea ormai in frantumi quando la Metro fece finalmente il suo arrivo, un decennio più tardi. Ma nel nostro viaggio nelle isole britanniche siamo tornati sulle tracce di altre tempeste, piccole o grandi, che minacciarono la storia della Mini. Attraversato il Canale di San Giorgio e sbarcati a Dublino è d’obbligo rendere omaggio a una delle tante fabbriche, sparse nel mondo, che assemblava le Mini su licenza. O a quel che ne resta. Per capirne i contorni bisogna tornare all’Irlanda dei primi anni ‘60, un Paese povero e arretrato, che porta ancora i segni della grande emigrazione e ricorda, per certi aspetti, l’abbandono del nostro Sud. Il premier LeMasse ha da poco lanciato un programma di sviluppo per piccole e medie imprese e la cooperazione con l’estero. Tra le altre, alla periferia sud della capitale, è sorta una fabbrica che monta automobili inglesi su licenza e che occuperà un posto speciale nel cuore della gente di Dublino. E’ la Brittain Smith di Portobello road, la casa natale delle Mini irlandesi, che dà da mangiare a quattrocento famiglie ed è, in piccolo, quello che la Innocenti di Lambrate fu per le Mini italiane. Ma di quella tempesta nostrana, con i suoi scheletri ancora in piedi, parleremo un’altra volta.

Cittadina del mondo. Insieme agli stabilimenti d’Australia, del Belgio, di Spagna, Malta, Chile, Sud Africa e di una mezza dozzina di altri paesi, la Brittain Smith riempie il passaporto della prima utilitaria globale. La fabbrica è ancora oggi rimpianta perché quando, nel 1975, fu messa in liquidazione, i contadini poveri, che a fatica erano diventati operai, dovettero nuovamente cambiar mestiere.  Gli ultimi particolari di questa storia me li racconta l’ex operaio Ross, oggi portiere di hotel a Dublino, che accoglie i turisti nella sua livrea color lilla. “Le vetture arrivavano smontate in grandi casse di legno, piene di pezzi incartati – ricorda il doorman con gli occhi un po’ umidi  – e spesso ne mancavano. Così li prendevamo dalle scatole di altri modelli e le Mini di Dublino venivano tutte diverse, una dall’altra”. La memoria corre a Napoli, dove anche le prime Alfasud uscivano di fabbrica anche loro un po’ un po’ bizzarre. Anche il taxista che mi riporta all’imbarcadero è un esperto di storia locale: “Lavoravo anche io alla fabbrica nel ’63 -  racconta il conducente – ma mi erano nati due figli e per arrotondare ero tassista abusivo”. Il gemellaggio Dublino-Pomigliano si stringe.  

C’era una volta… E’ ora di partire, anche perché della fabbrica di Portobello Road restano solo i due ingressi, uno trasformato in centro massaggi. Il Canale di San Giorgio è molto agitato, il Galles sotto il diluvio mentre scendiamo verso Birmingham per toccare un altro stabilimento della memoria: quello da dove uscivano le Mini col marchio Rover e le sportive più famose d’Inghilterra, le MG. Solo che anche qui mi devo fermare alla sbarra: sulla palazzina uffici sventola la bandiera cinese. Niente panico: alla Land Rover e alla Jaguar, qualche miglio a nord, batte da tempo il tricolore indiano. Continuiamo  verso la nobile Oxford, dove nascono – novecento al giorno, una ogni sessantotto secondi – le Mini perfette dell’era moderna. La fabbrica, ricostruita nel 2000 dai “doktor” della BMW, per la festa dei sessant’anni è addobbata come un transatlantico e c’è anche una piccola mostra. Oltre alle Mini Morris di varie generazioni ecco una fila di celebri e defunte auto: la “Bullnose” e la “Eight” d’anteguerra, la “Minor” anche lei inventata dal maestro Issigonis, la “BMC 1100” disegnata da Pininfarina.

Tempi moderni. Cenere alla cenere: della British motor industry, di cui la guida che mi accompagna sta tessendo i ricordi, è difficile vedere le tracce. Lo aspetto alla fine del tour, quando conclude, raggiante, dicendo che la Mini per Oxford è quello che BMW è per Monaco di Baviera.

- Allora, ogni tanto, conviene vendere – chiedo, confidando sullo humor britannico?

La risposta è condensata in un sorriso a denti stretti.

- E il dopo-Brexit? -  tento un affondo - qualcuno pensa che gli europeisti di Monaco, aldilà delle dichiarazioni ufficiali, potrebbero essere meno interessati a produrre da queste parti.

- Lei può ben dirlo – i denti questa volta sono serrati - ma io non posso assolutamente commentare. 

Fine del viaggio, tra le nuvole che oscurarono – e potrebbero ancora oscurare – i cieli della Mini. Resta da fare il passeggio obbligatorio tra i college di Oxford. Un biplano Tiger Moth degli anni ‘40, anche lui uscito dalla fabbrica delle Mini in tempi di necessità – sorvola basso le guglie. Era l’aereo scuola degli eroi della battaglia d’Inghilterra. Tutte le teste guardano in alto, gli inglesi commossi, un gruppo di turisti tedeschi sorridenti, io italiano un po’ stranito. I tempi sono cambiati.

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Addio al pilota Tino Brambilla

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Il mondo dei motori saluta Tino Brambilla, scomparso ieri all'età di 86 anni. Tra gli anni '50 e '60 gareggiò tra le due e le quattro ruote partecipando al motomondiale e campionato del mondo di F2.

Ernesto Brambilla detto “Tino” si è spento ieri a Monza, dopo aver trascorso una vita all’insegna della passione per la velocità, la stessa che condivideva con il fratello Vittorio, tre anni più giovane di lui e morto nel 2001. Nei primi anni 50 l’esordio motociclistico: nel 1953 Tino Brambilla gareggiò con una Rumi 125 cc ottenendo quattro vittorie; nel ’54 conquistò il titolo italiano di terza categoria con un’altra 125, la MV Agusta di cui divenne pilota ufficiale fino al 1959 e con la quale vinse anche due titoli Juniores nella categoria 250cc. Negli anni 60 passa alle 500cc, nel 1961 la vittoria  nel campionato italiano con la Bianchi, superando l'allora campione del mondo Libero Liberati.

Nato per vincere. Il 1963 segna il passaggio alle corse automobilistiche: Tino gareggiò in Formula 3, ottenendo la prima vittoria importante con la Brabham Ford che lo accompagnò alla conquista del campionato italiano. Nel 1968 è in Formula 2, dove corre con la Dino 166 F2: si piazza al terzo posto del campionato europeo con la spettacolare vittoria a Roma, in cui battè Andrea De Adamich. L’anno dopo il “Drake”, Enzo Ferrari gli propose di correre al Gran premio di Monza che avrebbe sancito il suo esordio in Formula 1, ma Tino rifiutò giudicando l’auto poco competitiva: lui era abituato a vincere… Ciao Tino!  

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Aston-Martin V8 Vantage Volante: una cabrio per Sua Maestà

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In un’era in cui le case più prestigiose operavano in una dimensione artigianale, l’Aston Martin V8 Volante era una delle più affascinanti ed esclusive convertibili disponibili a ridosso degli anni 80: persino il Principe del Galles ne volle una…

Nata come evoluzione della DBS proposta nel 1972 con motore V8, il modello prese la denominazione “AM V8” dal 1973, anno in cui venne presentata la seconda serie, che introdusse i tratti distintivi dell’Aston Martin V8 fino alla fine della sua produzione nel 1989. Le linee di massima della DBS vennero mantenute, ma la seconda serie dalla V8 si distingueva per i fari circolari singoli di dimensioni maggiori e la griglia frontale che riprendeva il disegno delle classiche calandre Aston Martin.Lavorazione artigianale. Come tutte le Aston Martin classiche, anche la V8 era realizzata artigianalmente: ogni vettura richiedeva circa 1.200 ore di lavorazione per essere ultimata. All’interno come da tradizione inglese la V8 vedeva un mix di lusso e sportività: l’abitacolo configurato per quattro prevedeva rivestimenti in pelle Connolly, la plancia ripresa dalla DBS era caratterizzata dalla strumentazione circolare “Smiths” con fondo nero. Di serie anche l'impianto di climatizzazione con aria condizionata. Sebbene l’autonomia non fosse propriamente una priorità, il serbatoio dell’Aston Martin V8 era dotato di due bocchettoni. La gamma V8 era composta dalla coupé di base (si fa per dire…) indicata come Saloon e andò completandosi con la Volante e la più performante Vantage. Sullo stesso pianale venne sviluppata anche l’avveniristica ammiraglia Aston Martin Lagonda, presentata nel 1976. I modelli V8 rimasero in produzione fino 1989, sostituiti dalla Virage. La meccanica costantemente affinata ed evoluta della V8 venne utilizzata fino al 2000.

Evoluzione meccanica. La seconda serie dell’Aston Martin V8  venne indicata come “AM V8” per distinguerla dai modelli precedenti, ancora vicini alla DBS. Le varie serie dell’Aston Martin V8 differivano essenzialmente il sistema d'iniezione del carburante. Sulle prime due serie il 5.3 V8 sviluppava 325 CV ed era dotato di un sistema di iniezione meccanica Bosch: questo però si rivelò poco affidabile e non omologabile negli USA dove venivano adottate misure antinquinamento sempre più stringenti. Nel 1973, con la terza serie della V8 vennero quindi adottati quattro classici carburatori doppio corpo Weber (tipo 42 DCNF) che tuttavia fecero segnare un leggero calo della potenza, 314 CV. La potenza scese a 292 CV nel 1976 per poter rispettare i nuovi parametri sulle emissioni. La quarta serie, prodotta dal 1978 al 1985 vide interventi prevalentemente estetici, mentre per le vetture americane ci fu un ulteriore e drastico calo di potenza: 245 CV…  La quinta serie indicata come “EFI” (Electronic Fuel Injection) presentata 1985 segnò il ritorno all’iniezione, stavolta di tipo elettronico con un sistema sviluppato in collaborazione tra Weber e Marelli, che consentì un aumento della potenza fino a 320 CV.

Tecnica raffinata. Per quanto riguarda il telaio, l’Aston Martin V8 era dotata di sospensioni anteriori con schema a doppi quadrilateri e barra antirollio mentre al posteriore una raffinata architettura con ponte De Dion a doppi bracci longitudinali e il noto parallelogramma di Watt. Rispetto al modello precedente i dischi dei freni (ventilati) erano di dimensioni maggiori così come i pneumatici. Equipaggiata con un nuovo cambio ZF cinque marce, a partire dalla 4° serie venne dotata di default con il cambio automatico a tre rapporti Torque Flite di origine Chrysler, a richiesta il classico manuale. Questa scelta venne dettata dal fatto che in quegli anni il mercato americano assorbiva gran parte della produzione. Nello stesso anno (1978) debuttò anche la variante cabriolet indicata come “Volante”, il successo fu tale che da quel momento in poi la produzione della V8 si concentrasse su questo modello: le coupé venivano prodotte solo su esplicita commissione del cliente.

A colpo d’occhio. A livello estetico i cambiamenti principali tra le varie generazioni della V8 erano limitate alla presa d’aria sul cofano di dimensioni sempre maggiori fino alla 3° serie e poi chiusa a partire dalla 4° serie, definita “Oscar India”, questa definizione di fantasia le venne data per le lettere OI che accompagnarono la sua presentazione, ma che in realtà significavano October Introduced. Dal 1980 tutte le V8 beneficiarono di un rapporto di compressione aumentato, nuova testata, valvole maggiorate e organi della distribuzione riprogettati: a parità di potenza veniva erogata una coppia maggiore che si tradusse in un consumo (lievemente) minore… La 4° serie segnò anche il ritorno dei preziosi inserti in legno, omaggio al vecchio stile british che davano enfasi alla vocazione lussuosa oltre che sportiva dei modelli Aston Martin.

Muscle car all’inglese. Al vertice della gamma Aston Martin V8 c’era la V8 Vantage, prodotta a partire dal 1977. Il motore venne rivisto in molte componenti: testate, valvole, aspirazione e scarico e la potenza fecero lievitare la potenza  fino a 380 CV. Ma dal 1986 grazie alla collaborazione con la Cosworth, la Vantage toccava quota 400 CV,  Aston Martin poteva innalzare ulteriormente questo valore fino a 432 CV elevando il rapporto di compressione e adottando uno scarico sportivo. Le velocità massime erano comprese tra i 265 e i 275 km/h.  Per gli incontentabili Aston Martin mise a punto anche una configurazione con cilindrata maggiorata a 6,3 litri da 450 CV. Cifre impressionanti tutt’oggi, ma che all’epoca erano fuori dal mondo… Preparatori esterni arrivarono addirittura ad elaborare le Vantage con dei mostruosi V8 da 7 litri. Tutte le V8 Vantage erano equipaggiate con un cambio manuale ZF a cinque marce (eccetto una equipaggiata con il cambio automatico di serie) e dotate di un assetto specifico ribassato con cerchi in lega da 16” e ammortizzatori Koni. La Vantage era riconoscibile per lo spoiler anteriore più pronunciato, la griglia anteriore chiusa con fanali ausiliari incassati, cofano con una vistosa gobba sopra i carburatori, passaruota allargati e uno spoiler posteriore integrato nel portellone.

Il sorpasso della cabrio. Presentata nel 1978 la V8 Volante è stata la prima Aston Martin scoperta dai tempi della DB6 Volante, la cui produzione era stata interrotta nel luglio 1969. Lo sviluppo della V8 aperta iniziò nel 1976 e comportò una serie di interventi per irrigidire la scocca, ciò rese la V8 Volante 70 kg più pesante del modello coupé. Lo stilista Harold Beach riprogettò la parte posteriore: più alta rispetto a quella della coupé e con un cofano bagagli orizzontale. La capote era rivestita Everflex, un materiale plastico che simulava il vinile. Il meccanismo di apertura e chiusura del tetto, a comando elettroidraulico venne progettato da George Mosely, che aveva progettato anche il tetto apribile di un’altra cabrio inglese di gran lusso: la Rolls-Royce Corniche Convertible. Nel corso degli anni L’Aston Martin V8 Volante ricevette le stesse modifiche e gli aggiornamenti tecnici dell’analoga variante a tetto fisso, una delle differenze tecniche riguarda invece la trasmissione: quasi tutte le V8 Volante erano dotate di cambio automatico tanto che la prima cabriolet con cambio manuale non venne costruita prima del 1983. Inizialmente la V8 Volante era prerogativa del mercato americano che assorbiva ¾ della produzione: soltanto nel 1980 i primi clienti britannici potettero godere della guida en plein air a bordo delle loro fiammanti Aston Martin.

Per volere di Sua Maestà. Tra il 1986 e il 1989 venne prodotta anche l’Aston Martin Vantage Volante. In precedenza erano state realizzate sei vetture meccanicamente simili, ma si trattava di “Special Commissions” dei clienti più affezionati (e facoltosi) e non modelli regolarmente disponibili a listino. La Vantage Volante di produzione si differenziava dalla Volante per il bodykit che comprendeva lo spoiler anteriore ancora più pronunciato, passaruota più larghi, minigonne laterali e spoiler posteriore. Dell’Aston Martin Vantage Volante vennero realizzate 192 unità. Nel 1987 il Principe di Galles ordinò una Vantage Volante, ma senza il bodykit: il futuro erede al trono preferiva non dare troppo nell’occhio... Questo modello divenne noto come "Prince of Wales Spec" (o PoW) e si calcola che furono realizzate altre 26 vetture con queste specifiche, oggi considerate le più desiderabili tra i vari modelli della famiglia Aston Martin V8.

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Volkswagen Maggiolino: il mio primo milione (di esemplari)

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65 anni fa, il 5 agosto del 1955 usciva dalle catene di montaggio il milionesimo Maggiolino: un esemplare speciale verniciato in color oro per festeggiare un traguardo importante, un risultato straordinario se si pensa alla capacità produttiva dell’industria postbellica.

Il Maggiolino nasce con la Volkswagen, ma a ben vedere è la Volkswagen stessa a rappresentare intrinsecamente questo modello: “l’auto del popolo” nacque per volere di Hitler, un’utilitaria per il popolo tedesco per dare il via alla motorizzazione di massa in Germania. Nel 1938 vennero sviluppati i primi tre prototipi marcianti, poi la presentazione in pompa magna al Salone di Berlino del 1939. Il modello suscitò grande entusiasmo nel Fuhrer e nella popolazione, ma l’avvento della Seconda Guerra Mondiale bloccò la produzione in serie che cominciò ufficialmente dopo la fine del conflitto: nel 1946 le Volkswagen “Typ 1” prodotte erano già 10 mila, di lì a poco il Maggiolino cominciò a percorrere le strade di tutto il mondo.La strada verso il successo. Inizialmente le Volkswagen erano viste (nel migliore dei casi) con sospetto: la ferita della guerra era ancora fresca in molti Paesi e l’abbinamento alle svastiche era quasi scontato. In poco tempo però l’utilitaria tedesca con le linee morbide e sinuose riuscì a imporsi trasversalmente ponendosi al di sopra delle ideologie politiche, divenendo anzi uno dei modelli più apprezzati in tutto il mondo. Alla base del successo l’affidabilità e la versatilità; il Maggiolino mantenne sempre un motore boxer quattro cilindri raffreddato ad aria, che nei primi modelli erogava 22,5 CV ed aumentati man mano nel corso delle oltre quattro decadi della sua produzione. Anche il telaio con scocca separata e sospensioni a ruote indipendenti furono una costante durante gli oltre 40 anni di produzione. Nel 1949 venne presentata la versione Cabriolet realizzata dalla carrozzeria Karmann, che donava al Maggiolino un ulteriore tocco lezioso.

Passaporto internazionale. Venduto in tutto in tutti i Continenti, il Maggiolino assunse denominazioni diverse: inizialmente doveva essere commercializzato come KdF Wagen (Kraft durch Freude, "auto della Forza attraverso la Gioia"), ma venne indicato ufficialmente come Käfer (scarabeo) nei Paesi di lingua tedesca solamente nel 1967. Nell’immaginario collettivo la somiglianza con il coleottero è stata lampante sin da subito. Per questo venne indicato come Beetle nei Paesi anglofoni, Maggiolino (o Maggiolone a seconda delle cilindrate) in Italia, Escarabajo nei Paesi di lingua spagnola…  L’epopea iniziò con un articolo del New York Times, e la “Beetle” iniziò pian piano a far breccia negli Stati Uniti: una missione non facile in un Paese in cui tutto doveva essere grande, ma la famosa campagna “Think Small” (pensa piccolo) riuscì a far cambiare un po' le abitudini automobilistiche del popolo americano. Arriviamo così al 5 agosto del 1955: quel giorno venne prodotto il milionesimo Maggiolino, un traguardo incredibile per l’epoca.

Successo mondiale. La produzione intanto si allargò a tutto il mondo: il Maggiolino venne costruito in Germania, Belgio, Jugoslavia, Nigeria, Sudafrica, Messico, Brasile, Venezuela, Filippine, Indonesia, persino in Australia! Dal lunotto a due vetrini si passò a quello ovale unico, poi uno ancora più grande; un nuovo impianto elettrico, così come paraurti, finiture e il dimensionamento della fanaleria, il Maggiolino si evolveva col tempo, ma i tratti salienti del design restarono immutati. Nel 1974 lo storico stabilimento di Wolfsburg, cattedrale del potere Volkswagen, cessava di essere la “casa del Maggiolino”. La produzione venne spostata a Bruxelles, ma i volumi di produzione maggiori erano quelli Oltreoceano. Dal 1981 terminò ufficialmente la produzione del Maggiolino in Germania: la nuova patria del Maggiolino diventava Puebla, in Messico.  Qui, nel 1992 la produzione raggiunse quota 20 milioni di esemplari, un successo mondiale. Le vendite triplicarono rapidamente grazie anche al sostegno del governo messicano che riducendo i prezzi del 20%, rese il Maggiolino l’auto più diffusa (e amata) del Paese. La produzione del Maggiolino classico proseguì fino al 2003, concludendosi con, l’edizione finale “Ùltima Ediciòn”, decorata con motivi floreali nei colori della bandiera messicana. 

Fine di un’era. Il pensionamento del Maggiolino segna la fine di un ciclo produttivo che ha caratterizzato un secolo di industria automobilistica, ma anche un modo per consacrare una grande icona del design. Il mito del Maggiolino ha continuato a vivere nelle due serie della New Beetle, (1998 e 2011 rispettivamente) divenute autentiche instant classic in un panorama automotive sempre più omologato.

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Granturismo, l’allegato di Agosto 2020

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L'allegato Granturismo in edicola con Ruoteclassiche di agosto 2020 è dedicato alla scoperta delle meraviglie nascoste del Belpaese: vi proponiamo alcuni  itinerari per godervi la guida tra dimore, rocche e tenute immerse in panorami mozzafiato.

 

In questo video vi raccontiamo il nostro viaggio "stellato" tra le meraviglie italiane a bordo di alcune delle più iconiche tra le Mercedes-Benz: i modelli della gamma SL. Dalla capostipite, la straordinaria 300 SL Gullwing alla sua sensuale variante Roadster e le eleganti 190SL e "Pagoda". Non mancano poi le celebri SL ed SLC degli anni 70 e 80, le R e C107; giungiamo così ad una eccellente youngtimer, la R129 disegnata Bruno Sacco. A conclusione del percorso evolutivo, la nuova Mercedes-AMG GT C Roadster: la reinterpretazione contemporanea del concetto di granturismo veloce secondo Mercedes-Benz. Buona visione!

Gran Premio Nuvolari 2020: prorogate le iscrizioni

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Prorogato fino al 31 agosto il termine delle iscrizioni al Gran Premio Nuvolari, gara internazionale di regolarità per auto storiche fabbricate dalle origini fino al 1976. Il fine settimana in cui tenervi liberi è quello dal 17 al 20 settembre 2020.

Arriva una notizia importante dalla Scuderia Mantova Corse: vista la delicata situazione che stiamo vivendo a seguito della pandemia Covid-19, e considerate le numerose richieste di partecipazione al Gran Premio Nuvolari 2020 che continuano ad arrivare in segreteria, il precedente termine delle iscrizioni che era stato fissato per il 31 luglio è stato posticipato al 31 agosto. Avete tempo quindi ancora tutto questo mese per iscrivervi alla XXX° edizione.30 candeline. Sarà un’edizione davvero speciale quella del Gran Premio Nuvolari 2020, che si svolgerà dal 17 al 20 settembre. La trentesima per l’esattezza da quando Claudio Rossi, Luca Bergamaschi e Marco Marani, soci fondatori della Scuderia Mantova Corse, decisero di rievocare la corsa che celebra il più grande pilota di tutti i tempi. A festeggiare insieme a loro questo importante traguardo, si unisce quest’anno un Official Timekeeper Partner d’eccezione: la casa orologiera svizzera TAG Heuer, da sempre a fianco di importanti eventi legati all’automobilismo sportivo. Confermati anche gli altri consolidati sponsor del Gran Premio Nuvolari, Red Bull e Gruppo Finservice.

Mantova-Rimini-Siena-Rimini-Mantova. Il percorso di questa XXX° edizione ricalcherà le consuete tappe degli ultimi anni, molto apprezzate dai partecipanti e dai tantissimi stranieri che non resistono al fascino del nostro Bel Paese. Venerdì 18 settembre si partirà da Piazza Sordello a Mantova, che nelle ore precedenti la partenza si trasforma in un incredibile museo all’aperto con centinaia di auto storiche in sosta e alla portata di appassionati e curiosi. La prima tappa attraverserà poi le strade dell’Emilia, con sosta pranzo all’Autodromo di Modena, dove si svolgeranno anche alcune prove cronometrate, e proseguirà sulle colline romagnole fino a Cesenatico, per la cena al Grand Hotel Leonardo da Vinci. Il pernottamento invece sarà a Rimini.  

Solo per pochi. Quella del sabato è certamente la tappa più impegnativa, che solitamente si aggira intorno alle 12 ore di guida. Una tappa che mette a dura prova sia gli equipaggi sia le storiche signore, ma che regala emozioni e scorci da togliere il fiato, come la partenza dal Parco Fellini di Rimini all’alba, sul mare, o le sfilate per i caratteristici controlli a timbro nelle piazze delle città d’arte della Toscana tra le più belle al mondo: a cominciare da Piazza del Campo a Siena e proseguire con Piazza Grande ad Arezzo. Il percorso condurrà gli equipaggi nelle campagne fiorentine e tra le colline del Chianti, lungo le sinuose strade marchigiane e sulla Strada Statale Adriatica. Fino al rientro a Rimini per sera, con il tradizionale galà in onore di Tazio Nuvolari all’interno del Grand Hotel.

La gara è ancora aperta. L’ultima tappa di domenica vedrà gli equipaggi ripartire da Rimini in direnzione Mantova. Non prima però di aver affrontato le temutissime prove cronometrate di Meldola, di essere passati da Faenza, ospiti della Scuderia di Formula 1 Alpha Tauri, dall’arena di piazza Ariostea a Ferrara, che accoglierà i concorrenti con il consueto entusiasmo, da Borgofranco e Ostiglia. Solo con la sfilata finale in una Piazza Sordello gremita di gente, solo allora piloti e navigatori potranno dire di aver percorso 1.093 km e di aver concluso la XXX° edizione del Gran Premio Nuvolari.

Premure anti Covid-19. Anche al Gran Premio Nuvolari l’organizzazione adotterà protocolli specifici per garantire la sicurezza di tutti i partecipanti e un lineare svolgimento della manifestazione. Potete trovare il dettaglio delle iniziative logistiche anti Covid-19 nella sezione News del sito www.gpnuvolari.it. La Scuderia Mantova Corse ci tiene anche a precisare che se per causa di forza maggiore venisse annullato l’evento, provvederà al rimborso della tassa d’iscrizione.

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