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La Fiat 500 in 60 pillole! Una per anno…

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Sin dal momento della sua presentazione ufficiale, la 500 non è mai stata considerata un’auto come le altre. Piccola, affascinante, sbarazzina, pronta a mille avventure, beniamina al cinema e fra i vip, la piccola della Casa torinese già dal lancio nel luglio del 1957 ruba la scena anche a ben più blasonate quattro ruote. Ecco una gallery delle notizie più curiose che la riguardano.

Il prototipo fa i primi passi

I paparazzi immortalano  i primi passi, sulle strade intorno a Torino nella primavera del 1957, del prototipo della futura Nuova 500. Il cofano posteriore con le numerose griglie di sfogo verrà poi semplificato.

Il debutto con le miss

Luglio 1957: ecco la presentazione ufficiale, articolata in un lunghissimo corteo di vetture a capote aperta, con tanto di miss e mazzo di fiori, che da Mirafiori si snoda in diversi angoli di Torino.

Professore e manager

Vittorio Valletta, il grande economista voluto da Giovanni Agnelli nel 1921 a riorganizzare la Fiat. Ai tempi della 500 era sia presidente sia amministratore delegato.

Capacità indiscutibili

L’ingegner Dante Giacosa, incaricato da Valletta di ideare la 500, intervistato nel 1957 da Gigi Marsico, della Rai di Torino, nel corso del servizio esclusivo dedicato al processo produttivo e all’industrializzazione.

La scocca per i carrozzieri

La scocca della prima serie,  senza i cofani, le portiere e le fiancate (che erano un tutt’uno coi parafanghi), così come viene fornita direttamente dalla Casa torinese ai carrozzieri affinché possano allestire le loro versioni fuoriserie.

Il penta Campione prova la piccola 

Cinque volte iridato in Formula 1 (1951, 1954, 1955, 1956 e 1957) e una passione per qualsiasi mezzo con le ruote: l’asso argentino Juan Manuel Fangio accetta col sorriso l’invito a testare una 500 della scuderia Sant Ambroeus. “Piccola e spartana ma molto divertente da guidare”, dirà alla fine del test.

Osservazione molto regale

Tra gli estimatori d’alto rango del “cinquino” anche il re Leopoldo del Belgio, che si mostrò molto interessato alla piccola torinese tanto da chiedere di poterne provare una a Torino.

Benedizione urbi et orbi

Il cardinale Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI dalla fine del 1963, rimase ben impressionato dalla compattezza della 500, che gli ricordava – parole sue sante – la Topolino.

Una bellezza seducente

Saint-Vincent 1957:una meravigliosa Virna Lisi scende dalla 500 dopo aver effettuato alcuni giri su e giù per i tornanti intorno al paese della Valle d’Aosta ed esclama: “Che divertente!”.

Motoscafo fuoriserie

Tra le varie fuoriserie realizzate sulla base della Fiat 500, molto particolare è quella che Frua presenta al Salone di Torino nel 1957, simile anteriormente a un motoscafo per il notevole arretramento dei fari.

Il gentleman e la Zagato

Ovidio Capelli, uno dei gentleman driver più rappresentativi degli anni Cinquanta, qui ripreso con la 500 berlinetta di Zagato nel 1957, con caschetto e 24 ore; trionfa nel campionato italiano classe 500 GT.

Col bicilindrico della Guzzi

Nel 1958 Fiat e Guzzi valutano la possibilità di equipaggiare la 500 con un 2 cilindri a V di 90°. Progettato da Giulio Cesare Carcano, sviluppava 21 CV a 5300 giri/min e faceva volare il “Cinquino” a 115 all’ora.

 Giocattolo per il mare

Ugo Tognazzi si innamora subito della 500 e ne compera una per lasciarla nella sua residenza estiva in un borgo vicino a Pomezia, che oggi prende il nome di Villaggio Tognazzi.

Aerodinamica da record

Questa 500 monoposto, ideata dalla Pinin Farina e guidata da Mario Poltronieri, ottiene numerosi record di velocità durante i test effettuati a Monza nel settembre del 1958.

Lotta serrata ma vincente

L’italiano Arturo Brunetto e l’argentino Alfredo Frieder con la Fiat 500 Sport, festeggiati all’arrivo della vittoriosa Liegi-Brescia-Liegi del 1958, dove battono Berkeley, Isetta e 2 CV.

A Monza che record

La 500 Abarth ottiene il record di velocità sul circuito di Monza, coprendo la bellezza di 18.186 km alla velocità media di 108,52 km/h tra il 13 e il 20 febbraio 1958, girando giorno e notte.

Sedili in vimini, una sciccheria

Si chiama 500 Jolly  la spiaggina costruita dalla carrozzeria Ghia dal 1957 al 1965. Tra i suoi estimatori figurano anche personaggi del calibro  di Aristotele Onassis,  Yul Brynner, Enrico Berlinguer e Silvio Berlusconi.

Debutto  col botto

Alla 12 Ore di Hockenheim (26 maggio 1958) quattro 500 Sport si piazzano ai primi quattro posti di categoria, con i rispettivi equipaggi Levy-Jeser, Nicosia-Leto di Priolo, Messedaglia-Antolini,  Leto di Priolo-Prandoni.

Occhi di rana per gli yankee

Dal dicembre del 1957 le 500 vengono esportate negli Usa via mare, a bordo dell’Italterra. Si distinguono per  i grossi fanali anteriori, che danno ai musetti una simpatica aria da ranocchietta.

L’armatore e lo statista

Estate 1959: Aristotele Onassis ospita sul suo yacht “Cristina O.” nientemeno che Sir Winston Churchill. Per spostarsi a terra usano una 500 spiaggina costruita da Savio su disegno di Mario Boano.

Mille ore a Roma tutte d’un fiato

La 500 D a Roma davanti al monumento del Milite Ignoto nel corso della “Mille Ore in città”, prova di durata di Quattroruote tra giugno e luglio 1960. Tra i dati registrati, spicca quello dei colpi di frizione, alla fine ben 387.389.

Il parabrezza si accorcia

Originale la linea della spider che la Viotti presenta al Salone di Torino 1961 (per mano  di Rodolfo Bonetto), con fanaleria simile a quella dell’Austin-Healey Sprite e dal curioso parabrezza, che è parzialmente abbassabile.

Spicca il volo con l’ alitalia
Il Douglas DC-7F  è il cargo scelto  dalla nostra compagnia di bandiera per trasportare, agli inizi degli anni Sessanta,  le 500 D in tutte  le concessionarie europee.

Piace molto pure in austria

In Austria la 500 viene prodotta dalla Steyr-Daimler-Puch. Si tratta di una versione della Nuova 500 costruita su licenza della Fiat  in varie cilindrate e allestimenti dal 1957 fino al 1973.

Alberto Sordi fa “boom”

Alberto Sordi, Gianna Maria Canale e la 500 D sul set de “Il boom” del 1963 diretto da Vittorio De Sica. Nel film Sordi è costretto a vendere un occhio per riuscire a pagare tutti i suoi debiti.

Operazione spinterogeno

Sono 55 gli elettrauto  che vengono coinvolti, a loro insaputa, nell’inchiesta  di Quattroruote del 1963, dove viene simulato un guasto per testarne la perizia. I risultati? Quasi tutti promossi a pieni voti.

Guida a destra per sua maestà

L’interno di una 500 così come veniva allestita per i mercati del Regno Unito. Oltre alla guida a destra era naturalmente previsto un contachilometri tarato in miglia.

Sono Tont, James tont

In “James Tont Operazione U.N.O.” (regia di Bruno Corbucci, 1965) Lando Buzzanca affronta mille peripezie con una 500 D che ha anche le mitragliatrici che fuoriescono dallo sfogo dell’aria sotto il lunotto.

Qui base Scott, nessun problema

Grazie alla proverbiale affidabilità e, soprattutto, al raffreddamento ad aria, la 500 D viene scelta come veicolo d’appoggio nella base antartica Scott, con l’aggiunta del gancio di traino e delle catene.

Combattente nel sessantotto

Una 500 F protagonista (suo malgrado) durante un corteo pacifista e relativo sit-in per le strade di Milano nel 1967, che purtroppo un paio di ore dopo sfocerà in uno scontro piuttosto violento con la polizia.

Nevica? non c’è alcun problema

Milano, Bastioni di Porta Venezia, inverno 1963: al verde del semaforo scatto felino della 500 e della 600 che, in barba alla neve che inizia a scendere fitta, affrontano le insidie della città anche senza pneumatici chiodati.

Sul tettoc’è sempre posto

Un’automobilina a pedali, una damigiana (da 54 litri), un passeggino, una griglia per il barbecue, una valigia, uno scatolone con palla da pallavolo e abat jour che sporge, un vaso  di gerani: ci sta proprio tutto sul tetto della 500!

Milano-napoli in 9 ore e 16 minuti

Il 4 ottobre 1964 si ultima l’Autostrada del Sole e Quattroruote la percorre con la Fiat 500 D: al volante il collaudatore Giulio Pusinanti, al suo fianco si alternano Rachele Regalia e Barbara Antonini, studentesse universitarie.

Un disegno d’autore per la piccola

Artista attivo in area torinese, Nino Aimone frequenta lo studio di Felice Casorati e si lega al gruppo dei giovani pittori, soprattutto informali, del capoluogo subalpino. Per la nascita della 500 realizza questo splendido manifesto dove l’utilitaria viene festeggiata da tutti, giornalisti e operatori della TV compresi.

Concorso a premi multimilionario

La 500 spopola e molte associazioni e scuderie iniziano a organizzare eventi e gare che l’abbiano come protagonista. Come l’Automobile Club di Roma, che organizzò il 500 Match, gara di regolarità e velocità a tracciato chiuso, con un montepremi totale di ben 12 milioni di lire. Nel 1958 le prime due prove vennero vinte da Antonio Thellung.

Una semplicità disarmante

Per le officine più attrezzate il top è un ponte a due colonne, ma anche con un semplice cric idraulico i tecnici possono operare sulla meccanica della 500 con relativa facilità, persino se si tratta dello stacco del gruppo frizione-cambio.

Il “Cinquino” marchiato NSU

Realizzata dalla carrozzeria Weinsberg nell’omonima località tedesca, la 500 NSU venne costruita in 6190 esemplari dal 1959 al 1963in due versioni, Coupé (a sinistra) e Limousette, tutte e due disponibili col tetto apribile di tela.

Una cadetta per la polizia

L’agilità della 500 è proverbiale. Ecco perché negli anni Sessanta la polizia decise di utilizzarne un paio di esemplari sulle strade anguste dell’isola di Capri, per specifico pattugliamento.

Alla magliana si pensa in grande

Negli anni Sessanta molte concessionarie si strutturano per poter ospitare le auto in pronta consegna vicino alla zona di assistenza, come questa nella zona Eur di Roma, dove fiammanti 600 e 500 D attendono il loro nuovo proprietario.

Un cacciavite e si parte

Una tipica scena in un’officina alla fine degli anni Cinquanta: il cofano posteriore smontato per poter operare nel migliore dei modi sul carburatore della 500, con un solo cacciavite.

500 batte tram con un bel 4-0!

Nell’ottobre del 1965 Quattroruote conduce un’inchiesta mettendo a confronto spesa e tempo per muoversi a Milano coi mezzi pubblici o con l’auto. Sui 4 itinerari studiati, vince sempre la 500.

Revisione regolare

Una Fiat 500 D in fase di controllo della frenata posteriore su uno dei primi banchi a rulli che vengono montati presso le Motorizzazioni provinciali per le revisioni periodiche.

L’albarella della Savio

Dopo aver ideato la Jungla su base Fiat 600, la Savio nel 1967 ritenta con l’Albarella, che adotta la meccanica della Fiat 500. La carrozzeria è simile a quella della Jungla. Rimarrà però allo stadio di prototipo.

Francis Lombardi e la Coccinella

Tra le varie fuoriserie che la Francis Lombardi di Vercelli allestì negli anni di produzione della Fiat 500, spicca la Coccinella del 1964, che in alcuni elementi della parte posteriore ricorda la Fiat 850 Coupé.

La giannini economica

Nel 1974 la Giannini si rende conto della congiuntura poco favorevole e decide di ridurre la cilindrata della 500 R: nasce la 350 EC, col bicililindrico ridotto a 390 cm3 e potenza di 16 CV (anziché 18).

Lucertola a sei ruote

La Ferrario di Albavilla (Como) allestisce nel 1973 la Lucertola 6×4 (tre assi con quattro ruote motrici posteriori) con motore della 500 e cambio della 600 su telaio tubolare con sospensioni anteriori indipendenti.

La fuoristrada della Ferves

La torinese Ferves (Ferrari veicoli speciali)presenta al Salone di Torino nel 1966 la Ranger, una piccola fuoristrada anche 4×4, su base Fiat 500, che rimarrà in produzione fino al 1971.

Una monella per vignale

Esordisce nel 1967 la piacevole versione spider della Vignale, battezzata Gamine (monella, in francese), con un look retrò; sarà costruita in poche centinaia di pezzi fino alla chiusura dell’azienda nel 1974.

Taxi nella settimana della moda

Lo scorso anno la Fiat ha ideato un’iniziativa per i clienti del car sharing “Enjoy”: 500 storiche (con autista) al posto delle solite “moderne” per le più belle vie di Milano, nella settimana della moda.

Un dragster col 4 cilindri

Una 500 D con motore bialbero della 124, coppa dell’olio Giannini e carburatori doppio corpo: vero e proprio dragster allestito nel 1967, quello nella foto qui accanto, per poter gareggiare a Vallelunga. È uno dei tanti esperimenti per le corse fatti sulla base della piccola utilitaria.

Ecco dove è finita

La 500 utilizzata da Juan Manuel Fangio (vedi pag. 40), che era di Giorgio Matteo Gregori della scuderia Sant Ambroeus, è stata ritrovata e restaurata grazie alle cure di Francesco Viola.

Da modena in India…

Tra le varie cronache di viaggi documentati da Quattroruote, c’è anche quello di tre giovani modenesi che nel 1969 lasciano la loro città su una 500 diretti in India, percorrendo in tutto oltre 30 mila km e consumando olio e benzina pari a 125 mila lire.

…e da torino a pechino

Danilo Elia e Fabrizio Borserio nel 2005 percorrono oltre 20 mila km da Torino a Pechino. Lo scopo è portare la loro 500 R in piazza Tien An Men, per la prima volta via terra dall’Italia. Nel corso del viaggio schivano anche una rivolta in Uzbekistan.

Altogradimento

Renzo Arbore è da sempre un fan scatenato della 500: “La mia si chiama Giuseppina in onore di mia madre. È semplicemente geniale, tipico esempio del made in Italy”.

Le avventure di Manfredi

Nello serie televisiva “Linda e il brigadiere” (1997) l’ex poliziotto Nino Fogliani (alias Nino Manfredi), padre di Linda (Claudia Koll) riesce a districare i “casi” più difficili a bordo di una Fiat 500.

L’utilitaria del presidente

Anche Sandro Pertini, il presidente della Repubblica più amato, non resistette al fascino della 500. Una curiosità; non avendo la patente, faceva guidare sua moglie Carla Voltolina durante gli spostamenti.

Grande festa per il mondiale 1982

Zoff, Bergomi, Cabrini, Collovati, Gentile, Scirea, Oriali, Tardelli, Conti, Rossi, Graziani: è la formazione che trionfa al “Santiago Bernabeu” l’11 luglio 1982, conquistando il terzo campionato del mondo di calcio. In strada, in tutta Italia, si fa festa, anche in 500.

Luigi & Guido, amici di saetta mcqueen

Nel film “Cars” (Pixar, 2006), tra i personaggi indimenticabili ci sono anche gli amici di Saetta McQueen: Luigi (a sinistra), una Fiat 500 del 1959 che gestisce il negozio di pneumatici, col suo inseparabile amico Guido, un piccolo carrello elevatore.

Le avventure di lupin III

Ecco Arsenio Lupin III, in compagnia dei fidi Daisuke Jigen e Goemon Ishikawa XIII, a bordo dell’inseparabile Fiat 500 D, che è la compagna nelle scorribande del simpatico ladro disegnato da Monkey Punch nel 1967.

Sotto il vestito, ancora una 500!

Presentata il 4 luglio 2007, l’attuale Fiat 500 ripropone molte soluzioni stilistiche dell’omonima antenata che esordì sessant’anni fa. Tra gli accessori a richiesta, anche il telo copriauto, che ricalca il disegno della prima serie del 1957.

 

 

 

 

 


Coppa dei Tre Laghi – Varese Campo dei Fiori, al via in 87

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Svoltasi nel fine settimana del 1° e 2 luglio, lungo un percorso di 220 km intervallati da una sessantina di prove cronometrate, la gara dell’Asi sarà ricordata anche per i grandi numeri. Ben 87 i partecipanti, accompagnati da una ventina di iscritti al Porsche Tribute, e da altrettanti simpatizzanti della formula turistica.

RECORD D’ISCRITTI

Le prime vetture a partire dalla centralissima piazza Monte Grappa a Varese, sabato 1° luglio, sono state le “cavalline” di Stoccarda di tutte le epoche, dalle 356 alle 912, 914, 924, 928 fino alle Porsche 911, dalle più anziane alle più recenti Boxster, Cayman e GTS. A seguire per il via ufficiale della gara, invece, gli oltre 80 iscritti che hanno gareggiato per le due classifiche assolute: una dedicata all’utilizzo dei cronometri elettronici e l’altra riservata agli amanti dei cronometrici meccanici. Hanno dato il via alle danze alcune anteguerra di notevole valore storico, come la Lancia Augusta GS Ghia del 1935 o la Jaguar SS100 del 1932, seguite a distanza di 30 secondi l’una dall’altra, dalle rappresentanti dei più importanti marchi automobilistici di tutte le epoche, costruite fino al 1976. Hanno chiuso i giochi, i partecipanti alla formula turistica, a bordo di modelli anche più recenti, come la 4C dell’Alfa Romeo.

ALLA SCOPERTA DEL VARESOTTO

I settori di sabato hanno interessato la zona intorno ai tre laghi di Varese, Comabbio e Monate, con la salita alla via sacra del Sacro Monte di Varese, lungo la Via Campo dei Fiori, e poi le soste a Cadrezzate e a Porto Ceresio, nella via pedonale del lago di Lugano, attraverso i saliscendi immersi nel verde e nei comuni pittoreschi del Parco Regionale Campo dei Fiori. La giornata di domenica, invece, ha invitato gli equipaggi, tra cui anche molti stranieri, alla scoperta della Valle del fiume Olona. Dopo una serie di prove cronometrate all’interno del parco del Seminario Arcivescovile di Milano, a Venegono Superiore, questa ventiseiesima edizione della Varese Campo dei Fiori ha fatto tappa al Centro Commerciale di Belforte, a Varese, prima di raggiungere la spettacolare villa Monte Morone di Malnate.

ESPERIENZA DA BATTICUORE

Attesissimo e applauditissimo, il tradizionale match race a eliminazione diretta, disputatosi il sabato sera, dalle 21 a mezzanotte, nel centro di Varese. Quest’anno l’arena è stata allestita in Via Sacco, di fronte ai meravigliosi giardini di Palazzo Estense. Ma come funziona? Otto partecipanti vengono selezionati tenendo conto della classifica redatta sommando le prime 9 PC della giornata, e gli altri otto vengono estratti a sorte nel corso delle verifiche sportive. La modalità di selezione vale sia per gli iscrittti con cronometri manuali, sia per gli iscritti con cronometri elettronici. L’estrazione permette ovviamente di mescolare le carte e la sorte, e di premiare anche chi non ha troppa confidenza con i centesimi di secondo. Inutile dire che l’atmosfera e il calore del pubblico hanno reso questo “fuori gara” un evento di grande richiamo e uno spettacolo per gli occhi di tutti. Alla fine, dopo aver superato gli ottavi e i quarti di finale, hanno vinto, confermandosi veri campioni, Boracco-Bossi con il crono elettronico, e Pirri-Ciatti con quello manuale.

CON UNA NUOVA MISSION

Tanta la soddisfazione di Angelo De Giorgi, presidente del Club Auto Moto Storiche Varese, federato Asi dal 2007 e motore di questa rievocazione dal 1990, grazie anche alla collaborazione con l’agenzia Gleo, per la parte sportiva e di segreteria. Soddisfazione ancora maggiore se si considera che tre anni fa è stato deciso un cambio di rotta radicale, con l’aggiunta di un importante componente culturale: l’introduzione di eventi collaterali quali i concorsi d’eleganza a Porto Ceresio e in Via Sacco, a Varese; la dilatazione dei tempi di percorrenza a favore di una significativa promozione del territorio, la diminuzione delle prove cronometrate a 60, e l’invecchiamento del parco auto con il limite dell’anno di costruzione al 1976. Un cambiamento che piano piano sta dando ragione allo storico club varesino, tant’è che nel 2015 e nel 2016, la Coppa dei Tre Laghi – Varese Campo dei Fiori è stata premiata con la prestigiosa Manovella d’Oro Asi, ambìto riconoscimento che ogni anno l’Ente assegna alle migliori manifestazioni organizzate dai club federati.

I PREMIATI PER IL TROFEO PAGLINI RENAULT STORE

A questa edizione della gara si sono distinti per le minori penalità, Roberto Boracco e Angela Bossi, portacolori della Squadra Corse del Vams di Varese, che hanno preceduto nella classifica degli strumenti elettronici Bottaro-Di Meo, su Porsche 356 Coupé del 1955, e Magnoni-Vanoni su Triumph TR3 A del 1960. Sul versante dei crono manuali, invece, si sono riconfermati campioni, dopo il match race di sabato sera, la coppia Pirri-Ciatti, primi assoluti davanti a Vitella-Cassina, su Austin Healey Frog Eyes del 1961, e Trombetta-Trombetta su Porche 912 del 1967. Al Trofeo Bellardi, competizione svoltasi domenica, prima dell’arrivo a Villa Monte Morone, vittoria dell’equipaggio femminile Bottini-Boscardin, su Triumph TR3 del 1956, inviate di Ruoteclassiche e vincitrici della Coppa della Dame.

CLASSIFICHE

Trofeo Fineco Bank

Muller-Furrer su Jaguar SS100 del 1938

Trofeo Bellardi

Bottini-Boscardin su Triumph TR3 del 1956 – elettronici

Trofeo Scuderie

  1. Squadra Corse Vams di Varese
  2. Squadra Corse Cmae di Milano
  3. Club Orobico

Coppa delle Dame

  1. Bottini-Boscardin su Triumph TR3 del 1956
  2. Giugni-Grammi su Porsche 356 A
  3. Guaita-Guaita su Lancia Appia

Testo di Himara Bottini, foto Agenzia Blitz

“Copertina d’autore”, la nostra videointervista a Roberto Giolito

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Con la settima “Copertina d’autore” per il trentennale di Ruoteclassiche si festeggia un altro anniversario tondo – i sessant’anni della Fiat Nuova 500  – passando idealmente il testimone tra chi progettò la vetturetta del 1957, Dante Giacosa, e chi ne ha reinterpretato lo spirito nella nuova “incarnazione” del 2007: Roberto Giolito, capo di FCA Heritage.

Un personaggio eclettico Giolito: amante del jazz, stilista visionario e con una profonda cultura classica, ha oggi 55 anni 27 dei quali spesi come designer di Fiat, azienda al quale è sempre stato legato. Il suo interesse per lo stile dell’auto si manifesta sin dall’infanzia, quando il padre “non tollerva gli schizzi realizzati in modo piatto – ricorda. Ogni cosa andava disegnata in prospettiva e con un chiaroscuro adeguato. Uno dei primi soggetti fu la Topolino, poi a seguire la sua collezione di automodelli e di trenini, un campionario su cui io e mio fratello c’immergevamo per capire quanti e quali forme avessero i veicoli d’ogni epoca”.

Le altre videointerviste ai car designer delle nostre “Copertine d’autore”:
Aldo Brovarone
Chris Bangle
Walter de Silva
Leonardo Fioravanti
Marcello Gandini
Giorgetto Giugiaro

Tanti auguri Seven: 60 anni del mito creato da Lotus e perpetuato da Caterham

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Il 7 settembre 1957 saranno saranno 60 anni dalla produzione della prima Lotus Seven. Un modello perfetto per spiegare in termini squisitamente pratici la filosofia di Colin Chapman, secondo il quale il peso è il nemico delle prestazioni.

La Lotus Seven è stata un grande successo per la Casa inglese: prodotta in quattro serie fino al 1973, totalizzò oltre 2.300 esemplari ma, a un certo momento della storia Lotus, Chapman decise di metterla in pensione per raggiunti limiti di età. Non la pensava così Graham Nearn, venditore ufficiale fin dal 1966 e, dal 1973, titolare di diritti di costruzione e vendita della macchina. Questi, nel 1967, divenne distributore esclusivo della Seven e nel ’73, anno di cessazione della produzione ufficiale, ne acquistò i diritti di fabbricazione dalla Casa Madre con la conseguenza di regalarle l’eterna giovinezza.

Esaurito, quindi, l’interesse del patron di Lotus, la Seven iniziò una nuova vita con il marchio Caterham diventando una “continuation series” della piccola roadster inglese. E mentre per l’intera industria automobilistica i tempi cambiarono e i suoi prodotti si evolsero, il tempo per lei si fermò. Ma non l’entusiasmo degli appassionati, che continuarono a comprarla.

Basando il suo successo su un unico prodotto, declinato in differenti versioni di motore e set-up più o meno sportivi, Caterham Cars è arrivata fino ai giorni nostri consegnando un’automobile alla storia. Di più: ha spinto la Lotus, in un certo senso, a riappropriarsi di quel piccolo mito acquistando – nel 2011 – tutta l’azienda. Oggi la Lotus Seven continua a mietere successi nonostante il tempo, per lei, sia progredito davvero poco!

EVOLUZIONE? “NON POSSIAMO, NON VOGLIAMO, NON DOBBIAMO!”
Per celebrare il mito Seven una selezione di esemplari si sono dati appuntamento sul circuito di Longcross, nel cuore del Surrey, per rivivere l‘evoluzione della Seven dalla sua capostipite del ’57 fino alla più moderna versione oggi disponibile a listino Caterham.

L’incontro ha permesso di tracciare i contorni di uno sconcertante caso automobilistico. E dimostra come, oltre alle conosciutissime Porsche 911, Volkswagen Golf, Fiat 500 o Volkswagen Maggiolino/Beetle sia necessario aggiungere una ulteriore icona della produzione automobilistica. Anzi: tutti questi modelli hanno completamente stravolto la loro essenza per poter essere adeguatamente digeriti dal mercato (certamente necessario per poter raggiungere i volumi di vendita che ne hanno fatto dei best seller nei loro segmenti). La Seven, invece, è rimasta fedele a sé stessa al 100% e ha concesso solo a materiali più moderni il compito di tenerla in vita e portarla nella modernità.

LE SEVEN PRESENTI
 Lotus Seven Series 1. La capostipite, il modello del 1957, era basato su un leggero telaio tubolare rivestito con una carrozzeria in alluminio. Numerosi i motori tra cui si poteva scegliere tra cui il 4 cilindri della Ford 100E. Poteva raggiungere 78 miglia orarie, pari a circa 125 km/h.

Lotus Seven Twin Cam SS. SModello rarissimo, prodotto in soli 13 esemplari nell’ambito della 3° serie

Caterham Seven CSR 260. Introdotta nel 2005 ha rappresentato, in quel periodo, il picco più elevato dello sviluppo della Caterham Seven. Il motore 4 cilindri 2,3, Ford Duratec, è stato sviluppato dalla Cosworth fino a produrre 260 Cv. Grazie a una nuova sospensione anteriore, inoltre, è stato possibile aumentare del 25% la rigidità torsionale del telaio. La CSR 260, 575 Kg di peso, dichiarava 3,1 secondi sullo 0-100 e 250 km/h di punta massima.

Caterham Seven ‘Prisoner Edition’ VVC. “Replica”, di proprietà dell’ex boss Simon Nearn, della Lotus Seven II Serie che apparve nel film The Prisoner del 1965.

Caterham Seven Superlight R500. Questo modello è noto per avere sbaragliato la concorrenza durante un giro di prova eseguito da The Stig sulla pista di Top Gear. Nel 2008 il misterioso tester della popolare trasmissione girò in 1.17,9 umiliando supercar con performance ben superiori.

Caterham Seven Sprint. Serie speciale commemorativa per i 60 anni del modello, sviluppata sulla meccanica della Seven 165 con motore 3 cilindri turbo Suzuki (600 cc, 80 Cv) e configurata per assomigliare alla Lotus Seven II Serie. La tiratura limitata a 60 esemplari ne fa una versione da collezione.

Caterham Seven 620S. Versione top di gamma dell’attuale listino Caterham, dotata del 4 cilindri Ford Duratec di 2 litri sovralimentato. Eroga 310 Cv che, su un corpo vettura da 610 kg, restituiscono prestazioni mozzafiato: 0-100 in 3″44, 233 km/h di velocità massima.

Alvise-Marco Seno

Quattroruote Academy, al via il primo Master per restauratori di auto d’epoca

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Si è inaugurato oggi presso la sede dell’Editoriale Domus il primo Master Restauratori Auto d’Epoca: un progetto che vanta lo speciale coinvolgimento di Ruoteclassiche, il mensile leader del settore che proprio nel 2017 celebra i trent’anni dalla sua fondazione, come ricorda il direttore David Giudici: “È l’iniziativa più virtuosa tra le moltissime che abbiamo in cantiere per quest’anno così importante: personalmente sono molto orgoglioso che questo corso di studi diventi realtà proprio ora e confido si ripeterà nel tempo”.

IMG_0772OKÈ il primo corso professionale di specializzazione dedicato al restauro e all’universo dell’Heritage nel settore dell’automobile. Un gruppo di quindici giovani (con già una adeguata preparazione di meccanica, meccatronica ed elettrotecnica), scelti tra una lunga lista di aspiranti ammessi alle selezioni, saranno impegnati da oggi e per tutto il mese di luglio in un ciclo di lezioni (per loro il corso è gratuito) in Auditorium o nell’Officina storica della Collezione Mazzocchi.

L’iniziativa, realizzata in partnership con ASI (Automotoclub Storico Italiano) e FCA Heritage,  e con la collaborazione di CNA si pone l’obbiettivo di sostenere un comparto in costante crescita in tutto il mondo ma, soprattutto in Italia (8.000 aziende di settore, 28.000 adetti). Quattroruote Academy con Ruoteclassiche, ASI e FCA Heritage hanno unito le forze per dare un supporto decisivo a un aspetto fondamentale – e purtroppo non adeguatamente considerato- in questo ambito: la formazione.

“Cercavamo giovani appassionati e li abbiamo trovati”, spiega Carlo Cavicchi – responsabile della Quattroruote Academy – “Adesso vogliamo che diventino i migliori esperti nel mondo delle auto storiche, che crescano e facciano evolvere, con il loro sapere e il loro entusiasmo, anche le più piccole realtà artigianali. Perché solo così potremo mantenere e valorizzare un patrimonio storico e culturale dal valore inestimabile come il nostro”.

IMG_0775OKIl corpo docente, oltre ai giornalisti di Ruoteclassiche, si avvale di un ventaglio di personalità con alto grado di specializzazione nel mondo delle classiche. Si andranno così ad esaurire e comprendere tutte le aree tematiche che definiscono l’universo della passione per i veicoli storici: collezionisti, esperti di aste, ricercatori, organizzatori di eventi, docenti di istituti di restauro, giurati provenienti dai maggiori concorsi d’Eleganza del mondo.

IL PROGRAMMA DELLA PRIMA SETTIMANA DI LEZIONI

LUNEDI’ 10 LUGLIO
10:00: David Giudici (Direttore di Ruoteclassiche) e Roberto Loi (Presidente ASI) – Saluto ai partecipanti
11:45: Alberto Lopane, CNA – Il restauro ottimale con il metodo Lopane
14:30: Fulvio Zucco e Gaetano Derosa, Staff di redazione di Ruoteclassiche – Storia dell’auto: l’evoluzione dei materiali costruttivi
16:45: Carlo Giuliani – Il restauro della Fiat 500

MARTEDI’ 11 LUGLIO
10:00: Alberto Lopane, CNA – Come comunicare nel mondo del restauro
11:45 : Tecnico ASI – La certificazione della auto storiche
14:30 – 18:30: Roberto Giolito e Gianfranco Gentile, FCA Heritage – Il mondo FCA Heritage

MERCOLEDI’ 12 LUGLIO
10:00: Sandro Binelli- Automotive Masterpieces e l’importanza delle ricerche storiche
11:45: Mario Baccaglini – Auto e Moto d’epoca
14:30 – 18:30: Musso Gomme – La ricerca delle gomme giuste per le auto storiche

GIOVEDI’ 13 LUGLIO
10:00: Corrado Lopresto con i suoi artigiani di fiducia – Tecniche di restauro conservativo
14:30: Danilo Turrisi, esperto di RM Sotheby’s – Restauro e aste di auto storiche
16:30: Riccardo Tosi – Volkswagen storiche e ricambi

VENERDI’ 14 LUGLIO
10:00: Federico Zaffarana, FEDERPERITI – La figura del perito esperto di auto d’epoca
11:45: Davide Novali, CNA – Come comunicare nel mondo del restauro (parte 2)
14:30: Nicola Verdicchio, CNA – Evoluzione del concetto di restauro
16:30: FAB Lab, CNA – La stampa 3D

Alvise-Marco Seno

Quattroruote Academy, al via il primo Master per restauratori di auto d'epoca

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Meeting Internazionale di Garlenda, oltre 1200 “Cinquini” per il sessantennale

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Ospite d’onore, come da tradizione del raduno, una nazione con una delegazione di appassionati particolarmente attiva: il Lussemburgo, forte di 18 macchine, è che quest’anno festeggia il ventennale del suo Club 500. Ben quindici le regioni d’Italia presenti con almeno un equipaggio: il podio vedeva in testa la Liguria (249 macchine), seguita da Piemonte (219) e Lombardia (188). Circa l’85 dei partecipanti, in questo angolo sperduto (e bellissimo) di Liguria, è arrivato su strada: finestrini abbassati, bermuda e t-shirt.

Il via alla tre giorni già da giovedì, con l’arrivo sgranato, coloratissimo e chiassoso dei primi partecipanti. In tarda mattinata di venerdì assistiamo al “taglio del traguardo”, in parata, della delegazione danese. A fine giornata, dal quartier generale del Fiat 500 Club Italia fanno sapere che gli iscritti dei primi due giorni hanno già superato quota 700, segno che i mille tondi tondi sono un obiettivo più che mai a portata di mano.

L’entusiasmo è palpabile nelle parole di Domenico Romano, presidente fondatore del sodalizio ligure (il più grande club di modello al mondo; 21.000 soci): “Siamo orgogliosi di dire che questa edizione è più che mai all’insegna dei giovani, delle donne e dei ‘diversamente giovani’. Il 25% dei partecipanti ha meno di 40 anni. E questo significa che all’epoca della prima edizione del raduno, nel lontano 1984, quando arrivarono solo una trentina di macchine, un quarto degli equipaggi presenti oggi non era neppure nato…“.

Alle 11 di venerdì vanno in scena l’apertura ufficiale del Meeting e l’inaugurazione del rinnovato Museo Multimediale della Fiat 500 “Dante Giacosa”. Ma è solo l’antipasto di un menù che si annuncia ricchissimo, tra “sgambatelle” in collina, momenti di approfondimento e semplici occasioni conviviali: di venerdì la (torrida) salita al Santuario della Madonna della Guardia, la mostra statica sul molo di Alassio (con il bagno di mezzanotte); il sabato in mattinata il Grand Tour panoramico fino a Porto Maurizio; la domenica il coreografico commiato finale, con la straordinaria parata sulla pista dell’ippodromo di Villanova d’Albenga, in stile apertura delle Olimpiadi: a sfilare le delegazioni di tutte le nazioni e le regioni d’Italia rappresentate. Un colpo d’occhio unico e coloratissimo, per dare a tutti l’appuntamento per il 2018, per l’edizione numero 35.

Dario Tonani

Connessioni: classic car e chitarre elettriche a braccetto

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Le strade del design sono infinite tanto che le forme di alcune chitarre elettriche suonate dalle rockstar più note sono ispirate ad alcune auto del passato come Cadillac e Mustang. A rendere possibile questa contaminazione sono state la passione viscerale per le auto di una icona della musica, il quasi settantenne Billy F. Gibbons, che rappresenta con la sua barba una delle band mito dello scenario USA come gli ZZ Top, e la creatività di un ex tecnico e musicista che si è inventato la produzione artigianale di chitarre elettriche ispirandosi al gusto vintage delle vecchie auto.

I nomi delle chitarre Wild Custom dicono tutto: Mustang Shelby GT 500 ‘Eleanor’; GT390 Fastback ‘Bullitt’ e ‘Mexican Blackbird’ Thunderbird 58. Per quanto riguarda la Thunderbird a guidare la scelta è stata principalmente la passione per la stessa auto di Gibbons, che ne possiede una simile. Mentre le  altre due chitarre ispirate alla Mustang sono immediatamente ricollegabili all’immaginario collettivo grazie alla loro notorietà legata a ruoli quasi da star ricoperti in film come “Bullit” con Steve McQueen e “Rollercar, 60 secondi e vai”, oggetto anche di un remake di Nicolas Cage a inizio anni 2000.

Indipendentemente dalle caratteristiche tecniche di rilievo delle chitarre Wild Custom (non è questa la sede per approfondire) la loro fama è testimoniata anche dall’uso da parte di una serie di artisti della scena rock e metal più o meno famosi. Rimane da dire che l’accoppiata chitarre e auto non è una contaminazione completamente nuova.

Negli States l’immaginario rock e auto, alimentato in primis da rockstar come Elvis  Presley, ad esempio, ha sempre avuto delle connessioni. Lo testimoniano fin dagli ’60 le chitarre Fender con i colori ripresi dalle Ford, Cadillac o Desoto. E anche la Gibson, altro nome noto del settore, nel 1995 ispirò la sua ‘Les Paul Corvette’ alla Stingray del 1963. Uno dei 200 esemplari costruiti venne utilizzato e poi messo in vendita qualche anno fa da uno dei più noti chitarristi della scena rock contemporanea come Slash dei Guns N’ Roses. Gibson ha poi ripetuto l’operazione nel 2003 con una chitarra dedicata ai 50 anni della Corvette.

Altra caratteristica comune tra auto e chitarre sono proprio le folte comunità di appassionati e il culto della memoria che queste sollecitano. Si va dalle attività di restauro alla ricerca degli esemplari più pregiati con valori in crescita per alcuni modelli legati ovviamente alla rarità ma anche, proprio come accade per le auto, al fatto di essere appartenute ad attori o musicisti famosi.

Luca Pezzoni

 

Stella Alpina, a Passanante l’edizione n. 70

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Secondi classificati, i plurivincitori di questa competizione, Giordano Mozzi e Stefania Biacca, a bordo della loro Triumph TR2 del 1955, mentre hanno difeso il terzo gradino del podio Andrea Giacoppo e Daniela Grillone, su Lancia Fulvia del 1972. Prime per l’ambitissima Coppa delle Dame, Gabriella Scarioni e Ornella Pietropaolo, che hanno gareggiato su una Porsche 356 B del 1960.

Cadeva il 1947

Ad aprire le danze della Rievocazione Storica della Stella Alpina sono state una quindicina di Ferrari moderne, iscritte al Ferrari Tribute e partecipanti con una classifica a parte, intervenute per celebrare un altro importantissimo 70°, quello della Casa del Cavallino Rampante. Un’edizione di festeggiamenti, dunque, tutti dedicati a una gara che nasceva nel lontano 1947, da un’idea di Giovanni Canestrini, giornalista di Trento specializzato nel settore automotive. Fu sua la decisione di scegliere come fulcro della gara una città del Trentino Alto Adige, che restasse poi la stessa per tutta la durata della manifestazione, garantendo una maggiore comodità sia per i partecipanti sia per i colleghi giornalisti. Con la collaborazione dell’allora presidente Aci, il conte Sigismondo Manci, la città prescelta fu Trento, e la gara fu battezzata Stella Alpina, in onore alle affascinanti vette del Trentino.

Un omaggio alla prima volta

Nata come gara di velocità, fin dalle prime edizioni richiamò la partecipazione di piloti del calibro di Tazio Nuvolari e altre stelle nascenti del passato motoristico mondiale, tanto che s’impose nel panorama velocistico nazionale e divenne una manifestazione di grande successo, fino all’interruzione nel fatidico 1957. Furono la Scuderia Trentina prima, e la Scuderia Trentina Storica poi, a decidere, nel 1984, di riproporre una rievocazione della Stella Alpina, consistente in una gara di regolarità. E proprio per celebrare tutto questo, quella di quet’anno è stata un’edizione speciale, che ha riproposto Trento come città di arrivo e partenza per tutti e quattro i giorni di gara. Ma non solo, è stato scelto anche di aggiungere un’ulteriore tappa alle tre tradizionali, quella del giovedì sera.

Rivivendo la mitica cronoscalata Trento-Bondone

È stato proprio alle 18.30 di giovedì 6 luglio, infatti, che i partecipanti alla Rievocazione Storica della Stella Alpina sono partiti da Piazza della Mostra a Trento, per ripercorrere, alla luce del tramonto, il tracciato della mitica cronoscalata Trento-Bondone, con tanto di primo gruppo di prove a cronometro da affrontare una volta raggiunta la vetta. La gara è poi proseguita lungo un percorso di quasi 700 chilometri, scanditi da una successione incalzante di ben 95 prove a cronometro, che hanno messo a dura prova la concentrazione degli equipaggi e l’anzianità delle vetture.

A spasso per il Trentino fino in Alto Adige

Si è ripartiti venerdì 7 luglio, in direzione Passo Palade e Passo Mendola, attraverso la Val di Non e Madonna di Campiglio, alla scoperta del territorio del Trentino Occidentale, per poi spostarsi sulle strade del Trentino Orientale nel corso di sabato. Valsugana, San Martino di Castrozza, i Passi Rolle e Sella, fino allo sconfinamneto in Alto Adige, nella Val Gardena, sono state solo alcune delle bellezze ammirate dai partecipanti. La ricercata cena di gala presso il Muse di Trento, celebre museo di scienze naturali, progettato da Renzo Piano, ha poi anticipato la chiusura di questa settantesima edizione della Rievocazione Storica della Stella Alpina, conclusasi domenica alle Cantine Ferrari, dopo un breve tragitto che ha condotto gli equipaggi in Vallagarina, per le prove finali. Un compleanno che è stato fortemente voluto dalla Scuderia Trentina, con la collaborazione del team di Canossa Events, e promosso da sponsor quali Azimut Wealt Management, Cuervo Y Sobrinos, che ha messo in palio quattro prestigiosi orologi, e Banca Galileo.

CLASSIFICHE

Ferrari Moderne

  1. Trifero su Ferrari 456 M GT
  2. Guilla- Crisafulli su Ferrari California T
  3. Zobele- Trentinaglia su Ferrari 488 Spider 70esimo

Trofeo Banca Galileo – Scuderie

Club Orobico Bergamo Corse

Coppa internazionale – Trofeo Cuervo y Sobrinos

Ginesi-Rohr su AC Ace del 1956.

Premio Gare d’Epoca – vettura più elegante

Straub-Villiger su Maserati Mistral Spider del 1967

Premio Speciale – unica barchetta anteguerra
Vincent e Marie Tourneur su Delahaye 135 S del 1936
Premio Speciale – unico equipaggio testimone della prima Stella Alpina del 1947
Giorgio e Claudio Montagni su Ferrari 250 SWB

Testo di Himara Bottini, foto di René Photo


Corso per restauratori di Quattroruote Academy, al via la seconda settimana

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Martedì 18 luglio.

Si alterneranno in cattedra la Cicognani, azienda romagnola specializzata nella realizzazione di tappetini e guarnizioni di auto storiche dagli anni 20 a oggi ; Patrik Di Gregorio, “formatore” del corso triennnale di formazione professionale nato dalla collaborazione tra Centro Nazionale Opere Salesiani, Aci Storico e Aci Vallelunga (la verniciatura nel restauro: valutazione tinta, sabbiatura, fondo epossidico, lattoneria, preparazione, fondo acrilico, verniciatura e lucidatura); la società di formazione digitale The Vortex, che affronterà il tema di gestire la presenza social di un’azienda che si occupa di reastauro.

Mercoledì 19 luglio.

Alfredo Albertini, ex giornalista di Quattroruote e Ruoteclassiche, spiegherà come si fotografa un’automobile d’epoca in studio e in movimento; Sandro Binelli racconterà la storia di alcuni esemplari di pregio censiti dall’Automotive Masterpieces di cui è titolare; GMA Jaguar tratterà di come si organizza e si gestisce un magazzino ricambi; Anna Raffaelli (The Vortex), ancora tema digital.

Giovedì 20 luglio.

Enrico Maffeo, responsabile del Polo Storico Lamborghini, parlerà di come garantire, grazie al Polo Storico la preservazione e l’integrità della storia di Lamborghini e delle sue auto (quasi 10.000 esemlari prodotti nei primi quarant’anni di storia); Stefano Pasini, storico dell’automobile, parlerà degli errori da evitare quando si prepara un’automobile per un concorso d’eleganza; Porsche Classic presenterà la sua attività di assistenza, consulenza e organizzazione eventi nel settore heritage.

Venerdì 21 luglio.

La Lechler, azienda leader nel comparto delle vernici per i veicoli storici, affronterà il tema della verniciatura rispettando la tinta delle gamme originali; Andrea Lopane parlerrà di come scegliere l’automobile giusta; Ronnie Kessel, figlio dell’ex pilota di Formula 1 Loris, farà una panoramica dell’attività dell’azienda di famiglia (Lugano) per quanto concerne la Scuderia Racing, la concessionaria auto Ferrari, Maserati, Bentley e Pagani, il reparto Organizzazione Eventi e il Reparto Classic; Francesco Di Florio e Luigi Bianchi, di Mafra, tratteranno l’argomento car detailing per l’auto d’epoca.

 

Coppa d’Oro delle Dolomiti, da oggi a Cortina d’Ampezzo l’edizione dei 70 anni

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Parte oggi il long weekend della Coppa d’Oro delle Dolomiti. La corsa dolomitica nata nel 1947 (la prima edizione si tenne il 20 luglio di quell’anno) e disputatasi, in forma di gara di velocità, fino al 1956, festeggia quest’anno 70 anni. La formula di regolarità animerà per tutto il fine settimana le salite e discese attorno a Cortina d’Ampezzo. La Perla delle Dolomiti ospiterà 101 equipaggi a bordo di vetture costruite tra il 1919 e il 1961, con una categoria speciale con classifica dedicata riservata, auto realizzate tra il 1962 e il 1967 che siano di particolare interesse storico o che si siano distinte per particolari meriti sportivi.

Sono attesi alla partenza di Corso Italia in centro città i migliori piloti della regolarità ai quali si aggiungeranno presenze di spicco del settore: tra questi Angelo Sticchi Damiani – Presidente ACI -, Fabrizio Giugiaro, presidente di Giugiaro Architettura e figlio di Giorgetto Giugiaro, i giovani Marzotto eredi della dinastia di gentleman driver che hanno contribuito – tra le loro vittorie negli Anni 40 e 50 – a fare la storia della corsa.

La Coppa d’Oro delle Dolomiti 2017 renderà omaggio anche ai 70 anni della Ferrari con la presenza di dieci vetture di Maranello che saranno protagoniste di un momento tutto loro dedicato: “L’omaggio ai 70 anni”.

LA GARA
La competizione di regolarità (seconda prova del Primo Campionato Italiano Grandi Eventi Regolarità che comprende anche Targa Florio Classica e Gran Premio Nuvolari) si articola su una lunghezza complessiva di 509 chilometri. Lungo il percorso i partecipanti si confronteranno con 64 Prove Cronometrate(P.C.), Prove di Media (P.M.) con complessivi 10 rilevamenti segreti, 10 Controlli Orari (C.O.) e 4 Controlli Timbro(C.T.).

I Tappa: partenza venerdì 21 luglio da Corso Italia a Cortina d’Ampezzo (ore 8:30) e passaggi a Pocol, Passo Falzarego, Arabba, Passo Pordoi, Canazei, Vigo di Fassa, Moena, Predazzo, Bellamonte, Passo Rolle, San Martino di Castrozza, Fiera di Primiero, Fonzaso, Pedavena, Feltre, Busche, Santa Giustina, Belluno, Ponte nelle Alpi, Longarone, Perarolo, Tai di Cadore, Auronzo di Cadore, Misurina, Carbonin, Passo Cimabanche e ritorno a Cortina.

II° Tappa: Partenza sabato 22 luglio da Corso Italia a Cortina d’Ampezzo (ore 8:30) e passaggi a Passo Giau, Selva di Cadore, Caprile, Rocca Pietore, Malga Ciapela, Passo Fedaia, Canazei, Passo Sella, Passo Gardena, Corvara, Longega, San Vigilio di Marebbe, Passo Furcia, Valdaora, Villabassa, Dobbiaco, Carbonin, Misurina, Passo Tre Croci e ritorno a Cortina.

Domenica 23 luglio alle ore 11 avverrà la premiazione presso Piazza della Conchiglia nel centro del paese.

Alvise-Marco Seno

All you need is… a Rolls-Royce

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Tutto quello di cui hai bisogno è… una Rolls-Royce Phantom. Si potrebbe parafrasare così il titolo di una delle più celebri canzoni di John Lennon per descrivere quanto accadrà a Londra dal 29 luglio al due agosto prossimi: la più famosa delle Rolls-Royce Phantom V, quella appartenuta a John Lennon e da lui fatta personalizzare con disegni psichedelici, lascerà le sale del Royal Columbia Museum di Victoria, in British Columbia (Canada) per tornare a casa.

Lo farà per celebrare il 50° anniversario dell’uscita di “Sgt. Pepper Lonely Hearst Club Band”, ottavo album dei Beatles, il più fortunato di una lunga produzione discografica del quartetto inglese, e per onorare la famiglia delle Phantom, giunte alla ottava generazione. La Phantom V sarà infatti l’attrazione più ammirata di una esposizione dedicata alle Rolls-Royce Phantom (“The Great Eight Phantoms) che per l’occasione verrà allestita nella sede della casa d’aste londinese Bonhams a Bond Street, nel quartiere di Mayfair.

A Lennon fu consegnata il 3 giugno1965 (poche settimane prima aveva acquistato una Ferrari 330 GT di colore blu) e fu utilizzata in occasione della visita a Buckingham Palace, dove i Fab Four ricevettero la nomina di baronetti dalle mani della Regina d’Inghilterra. Non prima però di aver modificato il sedile posteriore in modo da trasformarlo in un letto matrimoniale, installato un potente sistema audio, oscurato i vetri e aggiunto un televisore Sony, un telefono e un frigorifero portatile.

Lennon però si stancò subito dell’elegante color nero opaco Valentines Black e poco dopo affidò all’artista Steve Weaver l’incarico di personalizzare l’auto con i motivi floreali ispirati al carro da zingari che Lennon teneva nel suo giardino. Una scelta che non mancò di indignare molti tradizionalisti dell’epoca ma che rese celebre per sempre questa vettura. I Beatles la utilizzeranno per le loro trasferte dal 1966 al 1969, per poi trasferirla in Usa dove sarà utilizzata anche da diverse rock star come i Rolling Stones, i Moody Blues e Bob Dylan.

Alla fine del 1977 fu donata al museo Cooper-Hewitt di New York. Nel 1985 il Museo decise di metterla all’asta da Sotheby’s con una stima di 200.000 – 300.000 dollari, dove fu venduta il 29 giugno 1985 per 2.299.000 dollari a Jim Pattison, un imprenditore del Sud Carolina proprietario anche di un proprio museo. L’auto è stata successivamente spostata in Canada e poi trasferita Royal British Columbia Museum di Victoria, sempre in Canada, dove è rimasta fino a oggi.

Dipinta a mano con le vernici che si acquistano nei comuni negozi, la Rolls-Royce Phantom V di John Lennon (targata Lennon) è stata sottoposta a numerosi piccoli interventi di manutenzione per conservare intatte le diverse tonalità dei colori utilizzati. Oggi è un’icona degli anni ’60 e chi ha nostalgia di quel periodo straordinario non dovrebbe lasciarsi scappare l’occasione di riassaporare lo spirito di quell’epoca che quest’auto trasmette prenotando subito un viaggio a Londra.

Gilberto Milano

21 luglio 1987: 30 anni fa veniva presentata la Ferrari F40

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La Ferrari F40 è un’automobile irripetuta e irripetibile. Per vari motivi: perché il suo augusto genitore era ancora in vita; perché il Marketing ancora non era così presente nei processi decisionali aziendali; perché 25 anni dopo la favolosa 250 GTO ancora non si era vista una Gran Turismo con tutti i crismi, così come era stata definita nei suoi principi fondanti alla fine degli Anni 40, un’auto stradale ma con meccanica da corsa, per circolare su strada in settimana e correre nei weekend.

La F40 ha rappresentato, inoltre, lo spartiacque tra la “vecchia” e la “nuova” Ferrari. Tra quella creata, amministrata e mitizzata dal suo fondatore (solo gare e auto stradali, queste ultime solo per ripagarsi le corse) e quella che Luca Cordero di Montezemolo e il tuo team avrebbero trasformato in una realtà industriale globale, compresi parchi divertimenti e merchandising.

IMMENSA, SENZA MALIZIA
In questo modello si vede, con una potenza impressionante, l’impronta del Drake, suo massimo ispiratore: niente radio, niente chiusura centralizzata (al posto della maniglia, un cavetto per aprire le portiere dall’interno), niente sedili e plancia in pelle, scocca del telaio a vista, niente baule (a meno di voler sfruttare l’alloggio per la ruota di scorta). E’ la vera erede della 250 GTO, molto più di quanto non lo sia stata la conturbante e rara 288 GTO di qualche anno prima.

Aldo Brovarone creò per Pininfarina un capolavoro: riuscì a unire in una forma grandiosa la funzione pura con cui sintetizzare il concetto della Ferrari stradale più estrema che fosse mai stata concepita. La meccanica è stata l’apoteosi della ricerca tecnica attuata a Maranello. Un meraviglioso travaso di tecnologia dalle monoposto di Formula 1 all’asfalto di tutti i giorni per un oggetto unico; una Ferrari da 320 orari guidabile anche in città.

IL CONTESTO
L’F40 nacque per rappresentare il meglio che la Ferrari sapesse costruire in occasione del 40° anno di attività. Come, del resto, all’epoca altri facevano: Audi con la Sport Quattro Passo Corto; Aston Martin con la V8 Vantage Zagato; Lamborghini con la Countach 5000 4V; Lancia con la Delta S4 Stradale; Porsche con la 959.

Tutte rappresentavano uno straordinario compendio dei valori dello scudetto che portavano sul cofano. Ma l’F40 brillava di una luce particolare. C’era in lei l’essenza più pura del brand, sembrava costruita ponendo il pilota in fondo alla scala delle preoccupazioni: prima la macchina, il peso, la potenza, la rigidità, l’equilibrio. Guardando, come ipotetico obbiettivo finale (Enzo Ferrari, del resto, aveva iniziato costruendo auto per correre), all’utilizzo in gara. E, come ultima priorità, quello che avrebbe dovuto sedersi al posto guida per guidarla.

UN PO’ DI STORIA
L’F40 ebbe una gestazione molto breve. Il team guidato da Ermanno Bonfiglioli, a capo dei progetti speciali della Casa di Maranello, impiegò poco più di un anno per progettare, testare e costruire l’F40. Un tempo senza dubbio da record considerato che, di norma, ci vogliono “anni” per riuscire a produrre un’automobile.

Il progetto prese le mosse dalla 288 GTO, sulla cui base furono costruiti 5 prototipi. La cosiddetta GTO Evoluzione rappresentò senza dubbio l’antesignana dell’F40. L’obbiettivo era la costruzione di una macchina da corsa per circolare su strada. Si partì dal telaio tubolare della GTO, 2.450 mm, sul quale fu operato un drastico allargamento delle carreggiate. L’ossatura di base, codice interno F 120 AB, fu rinforzata con pannelli in kevlar applicati al telaio con l’uso di collante speciale, prima applicazione in assoluto su una vettura stradale prodotta a Maranello.

Per il motore, ancora una volta la 288 GTO venne in aiuto: l’8 cilindri, alimentato con due turbocompressori IHI, fu progettato ponendo grande attenzione al peso. Ciò provocò un uso molto esteso di magnesio (involucro del cambio, pompa dell’olio, coperchi delle teste, condotti di aspirazione), materiale molto più costoso dell’alluminio e mai utilizzato in così grande quantità su una macchina stradale.

La cilindrata fu leggermente aumentata, da 2.855 a 2.936 cc e fu aumentata la compressione. L’unità F 120 D 040 aveva la distribuzione bialbero con 4 valvole per cilindro, sistema integrato d’iniezione/accensione Weber-Marelli IAW, lubrificazione a carter secco. La potenza massima definitiva fu fissata in 478 cavalli a 7800 giri con un valore massimo di coppia pari a 58,8 “chili” (577 Nm) a 4.000 giri. Il motore, alloggiato in posizione posteriore-centrale, era collegato alle ruote posteriori mediante un cambio meccanico a 5 marce.

Gli interni, spartani all’inverosimile, non prevedevano alcuna concessione al comfort, eccezion fatta per il climatizzatore. I sedili, a guscio, erano rivestiti in stoffa rossa, la plancia con materiale fonoassorbente. Nel resto dell’abitacolo la scocca e i relativi pannelli in kevlar erano a vista. Per l’F40 l’unico colore disponibile a catalogo era il rosso.

Accreditata di un peso – a vuoto – di soli 1.100 kg, l’F40 dichiarava 4″1 sull’accelerazione 0-100; 20,9 secondi sul chilometro da fermo e 324 km/h di velocità massima, un record assoluto per una vettura stradale di Maranello.

PRODUZIONE
Entrata in produzione nel 1987 al prezzo di 373 milioni di Lire, l’F40 fu presto oggetto di fenomeni speculativi surreali, con clienti disposti a spendere decine di milioni solo per avere accesso al contratto d’acquisto. In altri casi di fu chi mise in vendita il proprio esemplare a cifre ben superiori al miliardo di Lire. La commercializzazione dell’F40 continuò fino al 1992 (l’ultimo prezzo riportato sui listini fu di 421 milioni di Lire). Furono complessivamente costruiti 1311 esemplari, con numeri di telaio compresi tra 76624 e 95317.

Alvise-Marco Seno

Lowman Museum, a L’Aia una mostra dedicata al mito McLaren

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Amanda McLaren, figlia dell’indimenticato costruttore-pilota, ha tenuto a battesimo al Louwman Museum a L’Aia una mostra sul mito della casa britannica. L’esibizione è stata possibile grazie al coinvolgimento di McLaren Automotive Ltd, Mercedes-Benz Museum Stuttgart, BMW Museum München e di alcuni collezionisti privati.

Fino al prossimo 27 agosto il museo della città olandese ospita una straordinaria raccolta di vetture McLaren stradali e da corsa che raccontano parte della sua storia, attraverso successi sportivi e miti automobilistici stradali. Gli esemplari presenti coprono un arco temporale dal 1971 al 2016 e ripercorrono l’epopea McLaren in Formula 1 (182 vittorie, 20 titoli Costruttori), Campionato Sport-Prototipi, serie Can-Am e sulle strade normali con le supercar per la normale circolazione.

Tra le automobili esposte le monoposto guidate da Ayrton Senna (la MP4/5B che il campione brasiliano guidò nella stagione 1990), Mika Häkkinen e Lewis Hamilton, la M8F Can-Am (di proprietà del museo) e utilizzata nel campionato del 1971 (che si concluderà con la quinta e ultima vittoria del titolo da parte di McLaren) e una F1 da corsa che ha disputato la 24 Ore di Le Mans 1996 giungendo al traguardo 11esima assoluta (#38, Laffite/Soper/Duez).

Alvise-Marco Seno

Mercedes Classe G: prodotto l’esemplare numero 300.000

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Lo stabilimento Magna Steyr di Graz, duecento chilometri a sud di Vienna, ha sfornato l’esemplare numero 300.000 della Mercedes Classe G. In questo stabilimento austriaco il fuoristrada della Stella è ininterrottamente in produzione dal 1979. La vettura ha segnato una crescita continua delle vendite fino al 2009  e nel 2016, per la prima volta nella sua storia, sono stati prodotti in un anno oltre 20.000 esemplari.

La vettura del record è una G500 in colore blu Mauritius metallizzato Designo con interni in pelle nera e cuciture bianche a contrasto. E’ inoltre equipaggiata con pacchetto Off-road, ruote in lega da 16″ con pneumatici All-terrain e un robusto porta-pacchi sul tetto. L’allestimento non è il frutto della scelta del cliente ma il risultato di un referendum popolare che Mercedes ha lanciato sulla pagina ufficiale Facebook della Classe G.

IL CONCETTO
Assurta all’ambito ruolo di vettura Instant Classic, la Mercedes Classe G ha fondato il suo successo su un indiscusso fascino, unitamente a ottime doti di fuoristradista. L’apprezzamento guadagnato sui mercati di tutto il mondo le hanno consentito di conquistare un ruolo di vera outsider, indipendente e inavvicinabile rispetto a mode e tendenze del capriccioso mercato automobilistico, sempre alla ricerca di nuovi punti di riferimento.

Negli ultimi tempi, forte della sua posizione, ha potuto “sfidare” le convenzioni con una serie di variazioni sul tema davvero sconcertanti: le versioni AMG G63 e G65 (quest’ultima equipaggiata con un possente motore 12 cilindri biturbo di 5,5 litri di cilindrata e 612 cavalli di potenza) e le AMG G63 6×6, la G500 4×42 e la Mercedes-Maybach G 650 Landaulet. Una dichiarazione al mondo che la Mercedes Classe G può permettersi – letteralmente – di affrontare qualsiasi percorso produttivo.

38 ANNI SULLA BRECCIA
L’epopea della Mercedes Classe G nasce nel 1972  – e dopo un adeguato background acquisito nella produzione di veicoli fuoristrada da parte della Casa Madre – in seguito alla nascita di un accordo tra Daimler-Benz AG e Steyr-Daimler-Puch. La partnership si pone come obbiettivo la produzione di un veicolo fuoristrada che possa diventare un punto di riferimento.

Nel 1975, supportati da attenti studi di fattibilità, i due marchi decidono di mettere in produzione il nuovo modello nello stabilimento Steyr-Daimler-Puch di Graz. L’ottimismo è rafforzato dall’opportunità di avere tra i clienti l’Esercito Tedesco. Prospettiva, tuttavia, delusa poco dopo allorché questi si orienta verso un modello Volkswagen. Ma poco dopo, grazie all’ingresso nel progetto dello Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, che promette di acquistarne 20.000 esemplari, ritorna il sereno.

A questo scopo, nel 1977, viene fondata la Gelaendefahrzeug GmbH (GFG), società a partecipazione paritetica responsabile della realizzazione della vettura (che verrà chiusa nel 1981 lasciando a Mercedes la titolarità completa del progetto e del suo sviluppo).

FEBBRAIO 1979: UN FUORISTRADA IN PISTA
Nei primi giorni di febbraio del 1979
, mentre a Graz inizia la produzione, sulla pista del Paul Ricard viene presentata la nuova Mercedes-Benz Classe G W460 (dove “g” indica “Gelaendewagen” ovvero “fuoristrada”). Design squadrato, grande altezza da terra, personalità “funzionalista”. Nessun fronzolo, insomma, non è la solita Mercedes ma un veicolo nato espressamente per l’obbiettivo che si è preposto.

Prodotta su un solido telaio a longheroni, è proposta con due differenti lunghezze di passo e tre versioni di carrozzeria: Station Wagon corta 2 porte, Statio Wagon lunga 4 porte e Cabrio 3 porte. Sono disponibili due motori a benzina (230 G, 280 GE) e due Turbodiesel (240 GD, 300 GD), con potenza variabile tra 71 e 148 cavalli. La trazione è posteriore, con l’integrale inseribile, e cambio a 4 marce.

Il successo è subito planetario (lo Scià di Persia viene destituito ma, fortunatamente, una commessa della Bundesgrenzschutz, polizia federale tedesca, riporta ossigeno a Stoccarda), con il nuovo modello protagonista a tutti i livelli, sportivi e sociali: dalla versione “Papamobile” per il Pontefice a quella da corsa portata alla vittoria da Jacky Ickx e Claude Brasseur al rally Paris-Dakar del 1983.

Nel 1985 – nell’ambito di una costante politica di miglioramento del prodotto secondo la filosofia tedesca – la Classe G viene aggiornata con interni più moderni, chiusura centralizzata, nuovo soft-top per la cabrio e sistema di bloccaggio dei differenziali. L’anno successivo, oltre al debutto del catalizzatore, si segnala la produzione dell’esemplare numero 50.000.

CLASSE G “W463″
Nel 1989, al Salone di Francoforte, questi continui aggiornamenti risultano in nuovo modello – serie W463maggiormente orientata a un miglior comfort. Tra le sue caratteristiche fondanti ci sono la trazione integrale permanente con tre differenziali bloccabili, l’ABS, la guidabilità nettamente migliorata e gli interni più rifiniti. Versioni disponibili: 250 GD, 300 GD, 230 GE e 300 GE con potenze tra 93 e 175 cavalli.

La Classe G inizia una irriverente escalation di potenza nel 1993 con la presentazione della sfiziosa G500 (serie limitata a 500 esemplari) dotata di un possente 8 cilindri con 238 Cv. Alla gamma si aggiunge anche una nuova versione passo lungo con interasse portato da 314 a 340 centimetri. L’anno successivo si aggiunge alla dotazione l‘airbag lato guida (quello per il passeggero arriverà nel 1996) mentre la produzione raggiunge l’importante traguardo di 100.000 esemplari. Nel 1994 la 300 GE viene sostituita dalla 320 GE con unità 6 cilindri 3,2 e 24 valvole.

Con queste credenziali la Classe G affronta un nuovo aggiornamento nel 1997: oltre al restyling di carrozzeria si segnalano la capote elettrica per la versione Cabriolet, i dischi freno posteriori e il ripartitore elettronico di frenata tra gli assi. Nel 1998 ritorna la G500 mentre la 290 GD (1992) viene sostituita dalla 290 GDT con 5 cilindri in linea da 118 Cv e cambio automatico. Nel 1999, nel ventennale della produzione, viene lanciata la serie speciale G500 Classic (400 esemplari) con vernice cangiante.

2000: NUOVO MILLENNIO, NUOVO AGGIORNAMENTO
Il 2000 vede l’avvicendarsi di un importante rinnovamento per la serie W463: le novità si sintetizzano in un maggiore utilizzo di elettronica per tutto il veicolo (a favore della sicurezza e del comfort) e una migliore qualità percepita che possano rendere il fuoristrada Mercedes per antonomasia una vera e propria “berlina-rialzata” capace di affrontare terreni difficili ma confortevole e ben equipaggiata come un’ammiraglia. In questo contesto si segnala anche la fine della commercializzazione – in alcuni Paesi come Austria e Svizzera – della Classe G a marchio Puch. Tra le motorizzazioni si segnala l’introduzione della G 400 CDI con motore 8 cilindri biturbo e iniezione Common-Rail per 247 cavalli di potenza.

Nel 2001, dopo anni di forzata esclusione del mercato americano (e confinamento nel “mercato grigio”), finalmente inizia la commercializzazione negli Stati Uniti. Libera di “sfogarsi” Oltreoceano, la Classe G raggiunge presto 150.000 esemplari prodotti e adotta nuovi sistemi di sicurezza attiva: l’assistenza alla frenata d’emergenza Brake Assist (BAS), l’Electronic Stability Program (ESP®) e un evoluto sistema di controllo della trazione, l’Electronic Traction System (4ETS). A livello di trasmissione la Classe G può contare sulle quattro ruote motrici permanenti con tre differenziali bloccabili individualmente.

PALLA DI CANNONE: LA VERSIONE AMG
Il 2003 vede l’ingresso ufficiale della pachidermica jeep tedesca nel segmento delle supercar: nasce infatti la G55 AMG, disponibile solo per la versione “lunga” con 5 porte. La versione con “tuning ufficiale” è equipaggiata con un 8 cilindri a V di 5,5 litri per 349 cavalli. La velocità massima è elettronicamente limitata a 210 km/h. Nel 2004, con l’aggiunta della sovralimentazione la potenza schizza a 470 cavalli, con uno scatto sullo 0-100 di poco superiore a 5 secondi.

Superati i 25 anni di felice permanenza sul mercato, nel 2005 la classe G viene aggiornata nelle motorizzazioni: con l’introduzione della G320 CDI Turbodiesel da 221 Cv i modelli G320 benzina, 270 CDI e 400 CDI spariscono dal listino. A questo si aggiungono la G500 e la G55, la cui potenza cresce ancora a oltre 490 Cv. Si sottolinea l’introduzione del cambio automatico 7G-Tronic.

Nel 2008 lo stile viene aggiornato con alcuni ritocchi all’estetica e più complessi aggiornamenti di meccanica. Oltre a un’elettronica sempre più sofisticata (tra cui l’ESP con l’utile sistema di ausilio alla partenza in salita) la Classe G accoglie un nuovo motore 8 cilindri per la G500 (da 383 cavalli) mentre la G55 AMG tocca quota 500 cavalli.

2009: 30 ANNI DI PRODUZIONE
Il modello più longevo in oltre 120 anni di produzione Mercedes è ancora in pista, fabbricato con utilizzo di elevata componente artigianale nell’amato stabilimento austriaco di Graz. In omaggio a una vettura così fortunata e apprezzata, Mercedes lancia l’edizione speciale Limited 30. L’evoluzione, nel frattempo, continua: nel 2010 vengono introdotte le motorizzazioni con tecnologia BlueTec (che permette un livello di emissioni conforme all’Euro 5), proposti i modelli con guida a destra per i mercati che lo richiedono e messa in produzione una piccola quantità di esemplari per scopi militari e con 6 ruote.

Nel 2011 la versione speciale BA3 Final edition segna la fine della carrozzeria Station Wagon “corta” e nel 2012, oltre all’abitacolo completamente rivisitato, debuttano le mostruose versioni G63 AMG da 544 cavalli e G65 AMG che, grazie all’installazione di un possente 12 cilindri biturbo, permette alla Classe G di produrre 612 cavalli e di qualificarsi come il più estremo fuoristrada prodotto in serie del mondo.

OGGI
Secondo il principio del “non c’è limite a nulla”, nel 2013 ecco la surreale Mercedes-Benz G 63 AMG 6×6, versione stradale con 6 ruote e nel 2015 la G 500 4×4² con altezza da terra di ben 44 centimetri.

Alvise-Marco Seno

 

100 anni fa la prima Lincoln

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Compie cento anni la Lincoln Motor Company, oggi divisione di lusso della Ford, chiamata così in ricordo del presidente americano Abramo Lincoln. Veniva infatti fondata da Henry Martyn Leland insieme al figlio Wilfred nell’estate del 1917, durante la prima guerra mondiale, per produrre motori aeronautici Liberty.

Leland porta però con sé l’esperienza della Cadillac, di cui era stato uno dei fondatori:  alla fine del conflitto infatti la Lincoln inizia a produrre automobili di lusso. Le cose non vanno bene: solo 150 auto prodotte, poi nel 1922 la dichiarazione di bancarotta e l’acquisto dell’azienda da parte della Ford.

Cambio di rotta: diminuiscono i prezzi, qualche modifica nelle vetture e nel solo 1922 vengono vendute 5512 auto. Un successo. L’anno successivo si moltiplicano i modelli: berline a quattro porte e  a sette posti,  e splendide limousine, a cui si aggiungono poco dopo le Police Flyers, le auto dei dipartimenti di polizia, con  vetri antiproiettile e tergicristalli elettrici.

Un decennio dopo vengono introdotti nuovi motori ed Eugene T. Gregorie inizia a progettare la Continental, il modello più conosciuto della Lincoln, con la ruota di scorta montata all’esterno, sulla coda dell’auto, a cui sarà in seguito dedicata una divisione speciale dell’azienda. E’ poi la volta della sportiva Zephyr, che fa volare le vendite del 900%. Nel 1981 si fa avanti la Town Car e nel 1998 la Lincoln risulta il marchio di lusso più venduto negli Stati Uniti.

E la storia continua…

Elisa Latella


Coppa d’Oro delle Dolomiti 2017: è tornato il tracciato originale

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Il 1947 è stato un anno memorabile per la storia dell’automobilismo. E mentre in Emilia nascevano O.S.C.A. e Ferrari, nell’alto Veneto, a Cortina d’Ampezzo, si correva la prima edizione della Coppa, non ancora d’oro, delle Dolomiti. Disputata per 10 anni, su e giù dalle montagne più belle del mondo, patrimonio Unesco dal 2009, aveva un percorso di 303 chilometri e 800 metri, di cui 156 di salita.

Definita da Nuvolari, “la Mille Miglia delle Dolomiti”, ha festeggiato il settantesimo compleanno facendo un graditissimo regalo ai 108 equipaggi partecipanti: tornare a correre sul tracciato originale. Telefonini alla mano, piloti e organizzatori per un attimo hanno temuto che il brutto tempo avrebbe guastato la festa, invece è piovuto solo un paio di volte, più per aggiungere un pizzico di avventura alla “schilometrata” che per impensierire davvero i piloti, anche quelli delle vetture scoperte.

L’edizione 2017 è iniziata il 20 luglio, proprio come nel ’47, con l’immancabile passerella in corso Italia, la via dello struscio di Cortina. Alla partenza, auto costruite tra il 1925 e il 1967, e più precisamente dalla Bentley 3 Litre Speed, alla Mangusta De Tomaso (coupé, questa, guidata da Fabrizio Giugiaro, figlio del designer che le diede forma). In testa ai favoriti il pilota siciliano Giovanni Moceri su Fiat 508 C (1939), già vincitore della scorsa edizione, che alla fine però non va oltre il sesto posto. “Poteva andare meglio, ma sono contento di aver portato a casa punti importanti per il campionato”. Di cui guida ancora la classifica: già, perché la Coppa d’Oro, insieme alla Targa Florio Classica e al Gran Premio Nuvolari fa parte del Primo Campionato Italiano Grandi Eventi Regolarità.

La prima giornata di gara, venerdì, comincia con la presa del Falzarego. L’arrampicata, tra camper, bici e moto sa di corsa a ostacoli. Ma il paesaggio concilia anche gli automobilisti più nervosi. Ne sa qualcosa l’austriaco Edgar Pöllman su Mercedes Benz 200 Mille Miglia (1956). “È la prima uscita che faccio dopo il restauro e speravo di poterla rodare un po’ e invece ho fatto la salita in scia a una corriera di gitanti…”. Edgar non sa ancora che il giorno dopo gli andrà anche peggio, passata Canazei infatti, la cinghia di trasmissione a brandelli lo appieda definitivamente. “L’anno prossimo torno con qualcosa di più piccolo, magari un’italiana… Peccato non poter venire con l’A112 Abarth. Sarebbe davvero perfetta”.

Altro austriaco, altro rodaggio. Questa volta, il pilota naturalizzato padovano, guida una Giulietta Spider bianca (1956). “L’ultima volta che ho fatto una corsa con mia moglie abbiamo litigato tutto il tempo. Sono passati dieci anni e ci riproviamo con una cabriolet. Sa com’è, è più difficile parlarsi…”.

Gara amata dagli stranieri (più di venti equipaggi non erano italiani), nonostante tutto quest’edizione ha lasciato l’amaro in bocca a qualcuno. Le prove speciali raggruppate sono sembrate più che altro una gara al risparmio e la cucina ripetitiva non ha aiutato. In eventi così, i dettagli fanno la differenza. E il caffè non compreso nel pranzo della domenica non ha lasciato un buon ricordo. A detta di molti, sarebbero disposti a pagare anche di più per avere tutto compreso.

Comunque sia, la gara è sempre mozzafiato e non solo per la bellezza dei paesaggi, ma anche per la durezza delle salite (Passo Fedaia in testa) e delle discese. Ad ogni modo, auto ed equipaggi hanno sofferto di più per il caldo di Belluno, con doverosa sosta alla sede storica dell’AC organizzatore della gara, che per le arrampicate dolomitiche. “Abbiamo trovato anche il traffico del venerdì – fa notare il presidente Aci, Sticchi Damiani – ma la Coppa d’Oro rimane una gara davvero unica”.

Non a caso Giulio Romanazzi Carducci, al volante della sua Lagonda M45 T8 Tourer (1934), aspetta questo momento tutto l’anno. “Parteciperò alla Coppa d’Oro finché avrò la forza di guidare la Lagonda. Che peraltro, a parte il cambio che va ‘imparato’, è una cosa abbastanza facile visto che i 100 cavalli di potenza e la coppia molto bassa, ti permettono di affrontare i tornanti in terza…”.

La Coppa d’Oro, che però è in argento, è stata vinta dalla coppia Belometti-Vavassori su Fiat 508 Spider Sport (1932). Dietro: la BMW 328 Roadster (1938) dei coniugi Aghem e la Fiat 508 C (1937) dei soliti noti Gamberini-Cavalli.

Difficile stilare l’elenco delle auto più interessanti, visto che solo le anteguerra erano una ventina, ma la Ferrari 750 Monza (1955), della coppia spagnola Fernandez-Andrade, guidata all’epoca dallo sfortunato de Portago, vince sicuramente a mani basse. Per gli amanti delle linee futuribili, ancora oggi, c’erano l’Alfa Romeo 1900 CSS Zagato (1955) e la più recente Lancia Flavia Sport Zagato (1963) di Giovanni Palmieri. Il gentleman driver emiliano, appassionato di gare in salita, ricorda che Elio Zagato a proposito della sua auto gli disse: “È bellissima. E vedrà che il tempo le darà ragione”.

Nicolò Minerbi

Coppa d'Oro delle Dolomiti 2017: è tornato il tracciato originale

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Silverstone Classic: al via il più grande evento al mondo per le storiche

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Tre giorni adrenalinici di corse spettacolari con accesso libero ai paddock e più di 10.000 mezzi esposti. A quasi un mese di distanza dal Goodwood Festival of Speed, apre oggi un’altra importante kermesse inglese dedicata al motorismo in tutte le sue forme, stavolta rigorosamente in declinazione storica: è il Silverstone Classic (28-30 luglio). In pratica, il più grande evento nel circuito del Northamptonshire dopo il GP di Formula 1 e il maggiore al mondo di veicoli classici.

Straordinaria la partecipazione di celebrity come il cantante dei Take That – pop band che ha spopolato negli anni Ottantanta –, e Brian Johnson, ex frontman degli AC/DC. Ma ci saranno anche autori di best seller, campioni olimpici e personaggi della Tv britannica: tutti a bordo delle evocative berline Austin 30 e 35 degli anni Cinquanta nel Celebrity Challenge Trophy Race.

Fra gli altri 22 trofei si disputeranno la Stirling Moss Trophy, il FIA Master Historic Formula One Race Series, il Royal Automobil Club Woodcote Trophy e il Super Touring Car Trophy. Gianfranco Brancatelli, l’ex pilota italiano di Formula 1, tornerà al volante della Ford Sierra RS500 con cui ha vinto nel 1989 la 24 Ore di Spa.

Quest’anno il festival ricorda poi i cinquant’anni di Formula Ford, mentre per celebrare quello che sarebbe l’80esimo compleanno di Bruce McLaren è pronta la più ampia collezione di stradali McLaren mai esposta, con oltre 120 auto riunite. Jaguar sfodera invece tre XJ220C che hanno partecipato alla 24 Ore di Le Mans in una parata speciale per i 25 anni del modello e lancia per la prima volta una competizione aperta a tutte le auto pre 1966 della marca. E così, tra berline MK1, ben 35 E-Type e alcune D-Type – oltre a XK120 e XK150 – il Jaguar Classic Challenge si annuncia davvero uno spettacolo d’eccezione.

Rimarchevole la presenza della Ferrari Daytona appartenuta a Elton John tra i pezzi all’asta di Silverstone Auctions. E, a proposito di glorie made in Italy, verranno festeggiati i cinquant’anni del Ferrari Owners Club. “Last but not least”, anche i sessanta della Fiat 500. Per le anteguerra questa edizione di Silverstone Classic presenta un’ampia categoria di sportive fra le quali, in particolare, Bentley, Bugatti e Frazer Nash degli anni Venti e Trenta.

Anche il programma di intrattenimento con concerti, demo, show d’aviazione e una fiera vintage è alquanto intenso. Sabato ci sarà persino un raduno di moto e scooter ispirato ai Mods e ai Rockers, le due band giovanili che si contrapponevano negli anno ’60, celebrate nel film del 1979 “Quadrophenia”, tratto dall’omonimo album degli Who.

Non è l’unico momento in programma per la gioia degli appassionati delle due ruote: il festival ha richiamato anche per loro una quantità impressionante di campioni internazionali. Fra i tanti, l’australiano Wayne Gardner, vincitore nell’87 del Motomondiale nella classe 500, e Freddie Spencer, che si è aggiudicato lo stesso titolo nel 1983 e nell’85.

Laura Ferriccioli

Uno sguardo a Ruoteclassiche di agosto

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Dopo i sessant’anni della Fiat 500 “celebrati” nel numero di luglio con uno Speciale “interno” di una trentina di pagine, anche Ruoteclassiche di agosto segue un sottile fil rouge. E questa volta il tema sono i settant’anni della casa di Maranello. Nel menu, una “Regina del passato” tonda tonda, la Ferrari F40, al traguardo dei suoi trent’anni (in coda, un’impressione di guida); per i “Pezzi unici”, la 365 GT4 BB in un’inedita configurazione “Targa”, appartenuta a Clint Eastwood; negli “Anniversari”, la storia del Cavallino in 70 pillole.

AU FERRARI F40Completano la sezione Automobili, un suggestivo “Test a test” tra Fiat 1400 Elaborata Abarth (1950) e Alfa Romeo 1900 TI Super (1955), la Peugeot 406 3.0 V6 Coupé (1999, “Impressioni”), l’Audi TT RS (“Classiche domani”) e la panoramica dei mezzi della collezione privata del conduttore televisivo Gianni Ippoliti. Tra i “Veicoli commerciali”, sotto la lente il Fiat 508 3 Marce Furgoncino del 1933.

AU RADUNO BUGATTILa nuova “Copertina d’autore” è probabilmente l’ultima opera di Tom Tjaarda, al quale dedichiamo un intenso ricordo con un’intervista alla moglie Paola Bronzino e all’amico Filippo Disanto.

In piena stagione estiva non mancano ovviamente gli eventi, tantissimi e di grande richiamo internazionale: dal Concorso d’Eleganza di Pebble Beach (con le aspettative di Corrado Lopresto, che in California presenta due splendide 8C Monterosa) al Goodwood Festival of Speed;  dall’International Bugatti Meeting al megaraduno organizzato a Garlenda (SV) nel sessantesimo anniversario della Fiat 500. Quanto alle gare, spazio a Leggenda di Bassano, Passione Caracciola, Circuito di Pescara, Stella Alpina, Monza Historic, Circuito di Avezzano e Corsa di Alcide.

FT MEETING 500 GARLENDALa “Tecnica” entra nel merito del ponte De Dion, le “Vendita all’asta” si sofferma sui recenti incanti di Goodwood (Bonhams) e di Montecarlo (Artcurial).

Buona lettura.

Uno sguardo a Ruoteclassiche di agosto

FT MEETING 500 GARLENDA
AU RADUNO BUGATTI
AU FERRARI F40

Luglio 1977: inizia l’avventura Renault in F1

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La storia dell’impegno di Renault nelle corse obbliga a un lungo salto nel passato. I fratelli Renault, Louis, Marcel e Fernand, fondarono ufficialmente l’azienda nel 1899 (ma la prima Renault, la 1 Cv, aveva compiuto il primo test il 24 dicembre dell’anno prima) mettendo insieme un ottimo team: Louis, valente ingegnere, avrebbe pensato a “creare” automobili mentre gli altri due si sarebbero occupati del business. Dopo l’iniziale apporto dei motori De Dion-Bouton, nel 1903 la Casa iniziò a progettarsi e costruirsi in proprio i propulsori.

I fratelli iniziarono presto a capire l‘importanza della cassa di risonanza offerta dalle corse. Così Louis e Marcel si fecero conoscere nel neonato settore delle competizioni con un certo successo. Marcel, tuttavia, morì tragicamente nel 1903 durante la Parigi – Madrid. Fu una grave perdita ma che non distolse Renault dall’importante visibilità offerta dalle gare. E il 26 giugno 1906 – a bordo di una Renault AK – l’ungherese Ferenc Szisz vinse il Grand Prix di Francia, considerata la prima corsa nella storia di questa specialità.

SCELTA FOLLE: IL MOTORE TURBO
Nella sua storia successiva Renault ha corso (e vinto) in tutte le principali discipline automobilistiche ma fu necessario attendere il 1977 perché il brand della Losanga tornasse a correre nei Grand Prix. Il 16 luglio 1977, al Gran Premio di Gran Bretagna sul circuito di Silverstone Jean-Pierre Jabouille portava al debutto la Renault RS01.

La macchina segnava l’inizio, in Formula 1, dell’era del turbocompressore. Il motore EF1, infatti, era un V6 di 1.500 cc equipaggiato con un compressore a gas di scarico: questa architettura consentiva l’ottenimento di potenze allora completamente fuori portata rispetto alla concorrenza.

LE SEI DATE CHE ANTICIPARONO IL DEBUTTO
La stagione di F1 del ’77 fu considerata come un anno di prova per la nuova macchina. Oltre alla gara inglese, Renault aveva scelto altri quattro Gran Premi per testare sul campo la sua vettura: Zandvoort nei Paesi Bassi, Monza in Italia, Watkins Glen negli Stati Uniti e Mosport in Canada.

Quel primo assaggio dell’asfalto di un GP di F1 era il risultato di una gestazione durata parecchi anni, durante i quali, prima con l’assorbimento delle attività dell’Alpine, poi con l‘impegno ufficiale nelle gare Sport-Prototipo, il marchio francese aveva gettato le basi per l’assalto alla categoria regina:

  1. 23 luglio 1975: il primo motore V6 turbo 1500 cc, denominato 32T (alesaggio/corsa 80 x
    49,4 mm), gira sul banco di prova a Viry-Châtillon.
  2. 8 agosto 1975: il secondo motore V6 turbo 1500 cc, denominato 33T (alesaggio/corsa 86 x
    42,8 mm), gira sul banco di prova a Viry Châtillon.
  3. 21 novembre 1975: battesimo su pista del 33 T montato segretamente sotto il cofano di una
    Sport prototipo A441.
  4. 19 dicembre 1975: battesimo su pista del 32 T montato segretamente sullo stesso telaio.
  5. 3 gennaio 1977: inizio della costruzione del telaio RS01.
  6. 10 maggio 1977: presentazione ufficiale della RS01 al Pub Renault, oggi noto come Atelier
    Renault, sugli Champs Elysées a Parigi.

1978: PIENO REGIME
Dopo il primo anno interlocutorio, nel ’78 il programma di partecipazione alla Formula 1 diventa ufficiale con la partecipazione a 14 gare su 16. A Viry-Châtillon si lavora intensamente per rendere competitiva la macchina ma, soprattutto, il propulsore, ancora lontano da una adeguata affidabilità. Finalmente, l’1 ottobre al Gran Premio degli Stati Uniti Jabouille ottiene il quarto posto al traguardo e porta a casa i primi 3 punti della Renault (e di un motore Turbo) nella sua esperienza in F1.

Lo sviluppo continua nel 1979 con l’ampliamento delle operazioni: messa in pensione la RS01 arriva la sua erede, la RS10 con 2 turbocompressori . Nello stesso tempo Jabouille si vede affiancare René Arnoux come seconda guida. A inizio gennaio, sul circuito di Digione, Renault-Sport effettua i primi collaudi sul V6 biturbo e debutta in gara al GP di Monaco a fine maggio. Il 1° luglio, sul circuito di Digione, si svolge il Gran Premio di Francia. Una data storica: Jabouille vince con più di 14 secondi di vantaggio sulla Ferrari di Gilles Villeneuve e sul compagno di squadra Arnoux, ottmo terzo.

Nel 1980 il team conquista tre vittorie: due per Arnoux in Brasile e in Sudafrica e una per Jabouille in Austria, coronate dal 4° posto ottenuto nel Campionato del Mondo Costruttori. A fine stagione Jabouille, vittima di un brutto incidente, salta l’ultimo gran premio di stagione e, successivamente, passa a Ligier. In Renault arriva Alain Prost, fresco campione europeo di F3, che porta a casa tre vittorie in Francia, Olanda e Italia (quella a Digione è il suo primo successo in F1) dimostrando il buon risultato della nuova RE20B (dotata, per altro, di dispositivo di pre-rotazione variabile per ridurre il ritardo di risposta) e della RE30, modello che ne raccoglie l’eredità.

Nella stagione successiva, infatti, Renault diventa fornitore (della Lotus) mentre con la RE30C prima e la RE40 l’obbiettivo è ormai la conquista del titolo. E’ una stagione molto combattuta, in cui Prost si aggiudica quattro Gran Premi (durante l’anno Arnoux viene sostituito da Eddie Cheever) ma viene beffato sul finale da Nelson Piquet con la Brabham BMW. Il brasiliano vince il Mondiale con 59 punti, superando Prost di sole due lunghezze. La Renault non riesce nemmeno a consolarsi con il titolo costruttori, vinto dalla Ferrari.

Nel 1984 il team viene aggiornato con le nuove guide Patrick Tambay e Derek Warwick per la nuova RE50. Renault fornisce i motori a Lotus e Ligier, magra consolazione a una stagione a secco di vittorie. Va meglio l’anno successivo con la nuova RE60, che porta tre successi (Portogallo, San Marino e Belgio), con le forniture (Lotus e Ligier) e con l’emersione di Ayrton Senna, che vince i suoi primi due Gran Premi a bordo della Lotus – Renault. Durante la stagione, inoltre, Renault annuncia la cessazione della creazione di telai per concentrarsi sui motori. L’86, infatti, è l’anno del motore EF 15 turbo, primo propulsore dotato di sistema di richiamo pneumatico delle valvole. Lo utilizzano Lotus, Ligier e Tyrrell. A fine stagione le attività F1 di Renault-Sport vengono sospese.

10 CILINDRI ASPIRATO: L’RS1
Durante l’annata 1987 un nuovo centro tecnico si pone l’obbiettivo di progettare un nuovo motore da fornire alle Case partecipanti al campionato. La scelta ricade su un propulsore 10 cilindri, denominato RS1 e con V aperta a 67°, che nel gennaio 1988 gira per la prima volta al banco. Nel frattempo viene firmato l’accordo con la Williams.

La stagione 1989, dopo due anni di assenza, segna il ritorno di Renault alla F1, anche se solo come fornitore di motori. Le nuove Williams-Renault FW12C e FW13, affidate a Riccardo Patrese e al belga Thierry Boutsen non riescono a scalfire il dominio McLaren-Honda ma ottengono comunque un buon risultato: due vittorie (Canada e Australia) e una pole position. A fine stagione Patrese si aggiudica il 3° posto della classifica mondiale.

L’anno successivo il nuovo motore RS2 si integra ancora meglio nel telaio Williams FW13B, grazie alla riduzione delle sue dimensioni di 4,8 cm in lunghezza e 1,5 cm in altezza. Pesa anche 2 kg di meno e la distribuzione ora passa da una cascata di pignoni invece delle cinghie dentate. Le Williams Renault vincono a San Marino e in Ungheria ma la competizione (McLaren-Honda, Ferrari e Benetton-Ford) è micidiale.

L’RS2 evolve, dunque, in RS3 nel 1991 grazie a continue migliorie: la potenza è passata da 650 a 700 CV con un regime pari a 12.500 giri/minuto, il propulsore è ribassato di altri 1,4 cm e ancora più leggero di 2 kg rispetto all’RS2. Nigel Mansell, chiamato a sostituire Boutsen, vince cinque Gran Premio con la FW14 (Patrese porta a casa due successi) e conclude la stagione al secondo posto nella classifica mondiale (Williams-Renault è seconda dietro a McLaren-Honda) dietro al trionfatore Senna.

1992: ARRIVA IL TITOLO
Il nuovo motore Renault RS3C e l’RS4 da 750 cavalli regalano una stagione esaltante alle Williams. Nigel Mansell vince nove Gran Premi su sedici e al GP di Ungheria si laurea campione con cinque gare di anticipo. Patrese riesce a portare a casa un successo. La Williams-Renault è anche campione costruttori.

Il successo si replica nella stagione 1993 con le nuove Williams FW15C dotate del nuovo motore Renault RS5 da 770 Cv. Alla guida ci sono Alain Prost e Damon Hill: il primo vince sette gare, il secondo tre, con un totale di ben 22 volte sul podio. Il pilota francese conquista il quarto titolo mondiale e regala alla Williams-Renault anche il titolo Costruttori.

Nel ’94, dopo due anni meravigliosi, un tragico capovolgimento di fronte. Ayrton Senna è la prima guida della Williams-Renault, affiancato da Hill. A loro sono affidate le nuove FW16 con motore RS6. Al terzo premio della stagione, sulla pista di Imola, si consuma la tragedia: oltre alla perdita di Roland Ratzenberger sulla Footwork-Ford il destino si porta via anche il campione brasiliano. Questi è sostituito da David Coulthard e poi da Nigel Mansell, che ottiene un’ultima vittoria per Williams-Renault in Australia (sulle complessive sei del motore Renault). Michael Schumacher, con la Benetton-Ford, diventa campione del mondo.

1995: 3 LITRI
Il cambio dei regolamenti e la riduzione di cilindrata da 3,5 a 3 litri porta alla nascita, nel 1995, del motore RS7, utilizzato da Williams (sulla F17 e F17B) ma anche da Benetton. Schumacher, a bordo della B195, vince 9 gare su 17 relegando a mere consolazioni i quattro successi di Damon Hill e uno di David Coulthard sulle Williams. Degna di nota è la vittoria di Jean Alesi – su Ferrari – al GP del Canada, unico successo conquistato dal francese nella sua carriera con la Rossa. Schumacher, Hill, Coulthard, Herbert sono i nomi che compaiono in cima alla classifica mondiale. Benetton-Renault supera Williams-Renault nel Mondiale Costruttori.

L’apoteosi Renault su Williams e Benetton continua nel 1996. Le Williams FW18 con il nuovo motore RS8, più leggero di 3,5 kg rispetto al precedente e con 760 cavalli, vincono complessivamente (con Hill e il nuovo compagno di squadra Jacques Villeneuve) dodici gare. Damon Hill è campione del mondo con otto vittorie, Villeneuve ne consegue quattro al suo esordio in Formula 1. Con Benetton, Alesi si attesta 4° nella classifica mondiale e Gerhard Berger 6°.

1997: IL NUOVO RENAULT RS9
La nuova Williams FW19 (per Heinz-Harald Frentzen e Jacques Villeneuve) e la Benetton B197 accolgono un nuovo motore – denominato RS9 – con frazionamento a 10 cilindri e V aperta a 71°, altezza ridotta di 2,5 centimetri e 11 kg in meno (121 in totale).Villeneuve vince sette Gran Premi e il titolo iridato, Frentzen si impone una sola volta, le Williams-Renault si aggiudicano anche il Campionato Costruttori e Benetton-Renault finisce al 3° posto nella classifica mondiale.

Renault annuncia il ritiro a fine stagione ma il favoloso motore RS9 continua a vivere nel vano motore delle monoposto. Partner di Renault da tempo, il gruppo industriale Mécachrome riprende l’RS9 sotto il proprio nome e fornisce le motorizzazioni per le Williams FW20 di Villeneuve e Frentzen. Sarà sempre quello stesso RS9 a presentarsi con il nome Playlife sulle Benetton B198 di Giancarlo Fisichella e Alexander Wurz, ma queste due esperienze non portano a nessuna vittoria. Le due stagioni successive non sono meno avare di successi. Nel 1999 il motore Renault RS9 diventa Supertec ma nonostante sia fornito a tre squadre, non ottiene risultati (Benetton-Playlife, B199, Williams-Supertec FW21 e Bar-Supertec); nel 2000 il propulsore Supertec sul telaio Arrows A21 (De La Rosa e Verstappen) e Playlife sul telaio Benetton B200 (Fisichella e Wurz) non ottiene alcuna vittoria.

2002: RENAULT TORNA IN F1 AL 100%
Nel 2001 Renault torna alla Formula 1 nuovamente. Acquista il 49% di Benetton ma partecipa alla stagione come fornitore. In un nuovo centro a Enstone (vicino a Oxford) viene costruito il nuovo telaio B201 mentre a Viry-Châtillon, nel frattempo, nasce il motore Renault RS21: 10 cilindri, V a 101°, 800 cavalli di potenza. Giancarlo Fisichella e Jenson Button affrontano, tuttavia, una stagione deludente, che porta solo ritiri e risultati di classifica deludenti.

Nel 2002 Renault ritorna in scena a tutti gli effetti come costruttore (“Mild Seven Renault F1 Team“). Jarno Trulli (che sostituisce Fisichella) e Button guidano la nuova R202 con motore RS22 da 825 cavalli. Purtroppo, però, l’annata non porta alcun successo.

I risultati si iniziano – finalmente – a vedere nel 2003, anche se di poco. Un nuovo pilota sostituisce Button: era il pilota collaudatore del team nel 2002 e si chiama Fernando Alonso. Questi, con la nuova R23 (e sua erede R23B) motorizzata con l’unità RS23, vince il Gran Premio di Ungheria. Renault conclude la stagione al quarto posto di classifica. Miglora di una posizione l’anno successivo in uno scenario di importanti cambiamenti regolamentari: la FIA, infatti, stabilisce che le vetture utilizzino lo stesso motore per l’intero weekend di gara. Renault-Sport decide di ritornare alle origini, abbandonando il motore a V a 101° per ritornare ad un più classico RS24, 10 cilindri a V a 72°. Jarno Trulli ottiene una grande vittoria a Monte Carlo.

E, finalmente, nel 2005 Renault torna a essere il marchio da battere. Il regolamento della F1 evolve diventando ancora più rigido: è obbligatorio mantenere lo stesso motore per due week-end di gran premio. La squadra (Alonso e Fisichella in sostituzione di Trulli) guida la R25 con motore RS25. La scuderia francese vince in Australia, Malesia, Bahrein, San Marino, Europa, Francia, Germania e Cina ed è campione del mondo Piloti di F1 con Fernando Alonso, Renault campione del mondo Costruttori di F1.

2006: 8 CILINDRI, 2,4 LITRI
La FIA produce una vera rivoluzione: confermando l’obbligo di mantenere un medesimo motore per due gran premi esige motori 8 cilindri da 2,4 litri di cilindrata. Il primo motore Renault di questo tipo gira al banco prove di Viry il 9 settembre 2005. Il nuovo RS26 migliora, gran premio dopo gran premio, in particolare grazie al potenziamento del regime di rotazione, che sfiorerà i 20.000 giri/min e permetterà 800 cv a fine stagione. Come telaio, il motore RS26 è dotato di una trasmissione a sette rapporti, una novità per una Renault F1. Alonso e Fisichella conseguono otto vittorie, di cui sette a firma Alonso, che conquista il secondo titolo mondiale consecutivo, mentre la Marca si fregerà nuovamente del titolo mondiale Costruttori.

Nel 2007, tuttavia, la R27 e il suo motore RS27, strettamente derivato dall’unità dell’anno precedente, non permettono né à Giancarlo Fisichella né al finlandese Heikki Kovalainen (che riesce a conquistare solo un podio) prestazioni brillanti (a fine stagione la Casa è terza in classifica costruttori). Renault torna a fare il motorista, fornendo la Red Bull di David Coulthard e Mark Webber. Il 2008 vede l’avvicendarsi del telaio R28 motorizzato con l’unità RS27 modificata (le normative impongono regimi inferiori a 19.000 giri). In Renault ritorna Alonso, affiancato da Nelson Piquet “Junior”, figlio del tre volte campione di F1. Alonso conquista due vittorie. Red Bull-Renault nessuna.

All’insegna delle continue modifiche regolamentari (“8 motori per ogni pilota per tutta la stagione“), Renault affronta la stagione 2009 con la nuova R29, dotata di una ulteriore evoluzione del motore RS27. Alonso si conferma ancora leader del team, mentre il compagno di squadra Piquet Junior, non avendo conseguito risultati soddisfacenti, sarà sostituito a settembre dal pilota franco-svizzero Romain Grosjean. Red Bull-Renault ottiene migliori risultati: il nuovo arrivato, Sebastian Vettel, conquista 5 vittorie con la RB5 mentre il compagno di squadra Webber ne aggiunge altre 2 e consentono di terminare l’anno in seconda posizione del ranking costruttori.

2010: RED BULL, VETTEL, TITOLO PILOTI, TITOLO COSTRUTTORI
Nel 2010 cambiano i punteggi e vengono vietati i rifornimenti in gara. Renault F1 Team ingaggia un affermato pilota polacco, Robert Kubica, e un debuttante pilota russo, Vitaly Petrov. Monta il telaio R30 e il motore RS27, in continua evoluzione. Red Bull dispone di un nuovo telaio, RB6, con lo stesso motore Renault. Ad emergere è ancora una volta la Scuderia Red Bull (Vettel – Webber), che conquista nove Gran Premi su 19 e consentono al giovane tedesco la conquista del primo titolo piloti e a Red Bull di ottenere la coppa dei costruttori.

2011: FINE DI UN’EPOCA
Il nuovo telaio R31 e un’ancora evoluto motore R27 sono per la nuova Lotus-Renault GP. I suoi piloti sono Vitaly Petrov e Nick Heidfeld, che dopo la pausa estiva sarà sostituito da Bruno Senna. Gareggia anche un Team Lotus concorrente (piloti Trulli e Kovalainen), anch’esso con motore Renault. Non manca la Red Bull con la RB7 motorizzata Renault. Il team Red Bull-Renault sbaraglia gli avversari: su diciannove prove, il team anglo-francese inanella dodici vittorie, di cui undici a firma Vettel, incoronato campione del mondo. Il team vince il titolo costruttori e in Brasile Renault festeggia il suo GP numero 300.

Il motorista Renault diventa così progressivamente protagonista del circus e nel 2012 e 2013 va a fornire ben quattro team con l’RS27Red Bull-Renault, campioni del mondo, con Vettel e Webber, Lotus-Renault F1 Team che schiera Kimi Raikkonen, Romain Grosjean (e Jérôme d’Ambrosio in sostituzione di Grosjean unicamente al Gran Premio d’Italia), Caterham-Renault che ambiva alla denominazione di Lotus ma non l’ha ottenuta (Petrov e Kovalainen) e Williams-Renault (Pastor Maldonado e Bruno Senna). Nel 2012 Sebastian Vettel si distingue con la Red Bull-Renault mentre nel 2013 mette a segno una stagione straordinaria: tredici vittorie, di cui nove consecutive, che gli consentono la conquista del 4° titolo Mondiale.

2014: ARRIVA L’IBRIDO
Rispondendo alle richieste della FIA, Renault-Sport F1 crea il suo primo motore ibrido per la Formula 1, il Renault Energy F1: si tratta di un motore termico 6 cilindri a V di 1,5 litri, un turbocompressore, due unità elettriche ausiliarie al motore termico – la prima recupera l’energia cinetica rilasciata in frenata e la seconda il calore dai gas di scarico -, un’unità di stoccaggio dell’elettricità e un’unità di controllo elettronico globale. Il motore equipaggia quattro team (Red Bull-Renault, Lotus F1-Renault, Toro Rosso-Renault e Caterham-Renault) ma solo Daniel Ricciardo (Red Bull) riesce a far emergere il motore francese grazie a tre vittorie.

Per il 2015 Renault decide di ridurre l’impegno di fornitura a sole due Case, Red Bull e Toro Rosso, che rispettivamente utilizzano il motore Renault su RB11 e STR10. Ma il 3 dicembre 2015 la Casa Madre, con una nuova decisione, annuncia il suo ritorno in F1 per la stagione 2016.

Proseguendo l’attività di motorista per Red-Bull (sulle RB12), le vetture Renault-Sport F1 (il telaio RS16 è in realtà un vecchio telaio del 2014 aggiornato) fanno la loro ricomparsa nel paddock dei gran premi con i colori degli esordi, il giallo e il nero. La stagione, tuttavia, è avara di risultati a causa della scarsa preparazione.

OGGI
Renault Sport F1 è attualmente impegnata con le RS17 motorizzate con l’unità ibrida RE17. A fianco di Jolyon Palmer, Renault ha ingaggiato il pilota tedesco Nico Hulkenberg.

Alvise-Marco Seno

Si è concluso (con pieno successo) il primo master per restauratori di auto d’epoca

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Una quarantina i docenti che si sono alternati tra l’auditorium e l’officina di Quattroruote, per un totale di circa cento ore di corso, durante le quali sono stati affrontati tutti i temi legati al mondo dei veicoli storici, con obiettivo di applicare poi quanto appreso in stage retribuiti presso diverse aziende coinvolte nel progetto.

Il settore delle auto storiche, del resto, è in grande espansione, tanto da alimentare l’entusiasmo sia degli operatori professionali sia di chi ha partecipato al Master; uno di loro – Alberto – ha infatti dichiarato che questo mondo rappresenta “la storia e il mito di grandi uomini e di grandi automobili, inestimabile eredità di conoscenze da custodire e tramandare, oltre che fonte di ispirazione per i modelli di domani”.

Il ciclo di lezioni si aperto lunedì 10 luglio, con gli interventi del direttore di Ruoteclassiche, David Giudici, e del presidente dell’Asi (Automotoclub Storico Italiano),  Roberto Loi, a cui poi sono seguiti via via tutti gli altri docenti: dai migliori specialisti del restauro ai più importanti fornitori di ricambi per auto d’epoca, dagli esperti delle aziende leader in Italia nei settori della verniciatura, della lubrificazione e del car detailing agli esperti di comunicazione, che hanno parlato di come promuovere al meglio la propria attività attraverso l’uso dei social network. Non sono mancati gli interventi che hanno analizzato le opere d’arte del passato, sottolineando l’importanza di una vera e propria cultura del restauro, nel rispetto dell’originalità del veicolo.

Ampio spazio è stato riservato anche ai collezionisti, ai massimi conoscitori delle Fiat 500 e Topolino, agli organizzatori di saloni specializzati e di eventi sportivi, ai gestori di siti dove vengono raccolte, grazie all’internazionalità della rete, fotografie e dati tecnici delle automobili che hanno corso alle più grandi gare del passato, in primis la Mille Miglia. Particolarmente apprezzati, poi, gli interventi degli esperti di Porsche Classic, di Lamborghini Heritage & Factory e della concessionaria svizzera Loris Kessel, che ha illustrato il restauro di una Ferrari 275 GTB/4.

La conclusione del Master si è svolta a Torino, prima al Centro Storico Fiat di via Chiabrera e poi all’interno del complesso industriale di Mirafiori dove hanno sede le Officine Classiche Abarth e Lancia. Qui Roberto Giolito, responsabile di FCA Heritage, e David Giudici, direttore di Ruoteclassiche, hanno consegnato ai quindici candidati i primi  diplomi di partecipazione al Master dell’Academy di Quattroruote, fiore all’occhiello dei loro prossimi curriculum.

Alfredo Albertini

Si è concluso (con pieno successo) il primo master per restauratori di auto d'epoca

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