Alla schiera di marchi automobilistici che decidono di tornare sulla scena dopo decenni e ai revival messi in campo anche dai costruttori più blasonati si aggiunge anche la britannica Alvis. Alvis Car Company fu fondata a Coventry nel 1919 e produsse fino al 1967. Nel 1965 fu acquisita dalla Rover e nel ’66, suo penultimo anno di attività, presentò il suo “canto del cigno”: la TF21, che rimase in produzione fino all’anno successivo.
Seguendo scrupolosamente la moda di oggi, invece di lanciarsi nella difficile strategia di riproporsi al mercato con un prodotto completamente nuovo per design e meccanica, l’azienda preferisce sfoderare la carta delle replicanti originali.
Tutte le vetture sono prodotte a partire dai disegni tecnici originali e, naturalmente, utilizzando in massima parte metodologie di lavoro artigianale. Naturalmente, gli esemplari nati oggi possono vantare ben altre caratteristiche di affidabilità e robustezza rispetto alle vetture prodotte almeno 50 anni fa.
IL CATALOGO ALVIS
La caratteristica più sensazionale di questo ritorno è l’ambizioso catalogo. Il listino della Alvis Car Company propone ben cinque Continuation Series:
Alvis Graber Super Coupe. Cabriolet 4 posti con carrozzeria in alluminio, telaio in acciaio, motore 6 cilindri in linea di 3 litri, cambio a 5 marce tutte sincronizzate, sospensioni a ruote indipendenti, freni a disco con servofreno, pneumatici da 165 su cerchi da 15″. Produzione: 25 esemplari
Alvis Bertelli Sports Coupé. Presentata al Salone di Parigi del 1935 è un raffinato coupé aerodinamico con motore 6 cilindri in linea di 4,3 litri con alimentazione a iniezione. La scocca è in acciaio, la carrozzeria in alluminio, quest’ultima personalizzabile a gusto del cliente. E’ equipaggiata con cambio a 4 marce e raggiunge 110 miglia orarie (circa 180 km/h). Produzione: 25 esemplari.
Alvis Park Ward Drop Head coupé. E’ una grande cabriolet con 2 porte e 5 posti, con caratteristiche analoghe alla Graber Super Coupé. Produzione: 25 esemplari
Alvis Lancefield Concealed Hood. Modello presentato al Salone dell’Auto di Londra del 1938, concepito come un cabriolet 4 posti di grande comfort ma – all’epoca – grande sportività grazie alle elevate prestazioni. Le caratteristiche meccaniche sono analoghe alla Alvis Bertelli. Produzione: 25 esemplari.
Alvis Vanden Plas Tourer. Grazia, eleganza e prestazioni: sono le caratteristiche di questo modello spider, equipaggiato con un 6 cilindri di 4,3 litri. Produzione: 25 esemplari
NUOVE MA CLASSICHE Richard Joyce, Managing Director di Alvis, ha detto: “I nostri modelli Continuation sono strettamente agli originali. Abbiamo dovuto apportare qualche modifica per ottenere l’approvazione secondo la normativa Individual Vehicle Approval ma, in sintesi, l’obbiettivo è di offrire ai nostri clienti le stesse sensazioni di guida del periodo in cui queste automobili erano nuove. E se consideriamo che la Alvis Tourer 4.3 poteva scattare da 0 a 100 in 11″3 si può immaginare che stiamo parlando di supercar della loro epoca“.
Come ogni anno ormai da 21 anni, il Concorso di Eleganza di Amelia Island rappresenta uno dei più importanti appuntamenti con la bellezza e lo stile delle auto. E come accade ormai in tutti questi eventi, frequentati dalla crème del collezionismo internazionale di auto storiche, il Concorso di Eleganza è anticipato da una serie di aste dove la qualità delle auto offerte è molto elevata.
Tra le bellezze all’incanto sono infatti una cinquantina quelle stimate sopra il milione di euro, con punte di 16-18 milioni di dollari per una Jaguar XKSS del 1957 e di 8-10 milioni per una Ferrari 166 MM barchetta. Vetture offerte nella bella località della Florida dalle principali Case d’asta del mondo: RM Sotheby’s, Gooding & Co. e Bonhams, destinate a distribuirsi il ricco “bottino” che sicuramente verrà accumulato in questa occasione.
Tuttavia, nonostante le vetture proposte da queste tre Case d’asta siano di grande richiamo, il colpo mediatico più consistente sembra averlo realizzato una Casa d’aste emergente: Motostalgia di Austin, in Texas. Che sabato 11 marzo metterà all’incanto nientemeno che la vettura con la quale Tazio Nuvolari concluse la sua carriera di pilota. Vincendo ovviamente: la Cisitalia-Abarth 204 A Spyder Sport del 1950. Una vettura estremamente interessante sulla quale ha messo le mani anche Ferdinand Porsche prima di avviare la sua azienda.
Il progettista tedesco e Carlo Abarth hanno infatti lavorato all’epoca per Piero Dusio, titolare della “Compagnia Industriale Sportiva Italia” (Cisitalia appunto) che si impose subito, anche se per pochi anni, come una delle più prestigiose Case automobilistiche in campo sportivo. Poi il fallimento e la fuga di Dusio in Argentina. È a seguito di ciò che Carlo Abarth riceve come liquidazione il materiale da corsa della Cisitalia e tre 204 A Spyder, monoposto progettate da Giovanni Savonuzzi e vestite dalla Carrozzeria Rocco Motto. Grazie a queste vetture nasce la Abarth & Co.
La 204 A Spyder telaio 04/08 (quello della vettura che andrà all’asta) opportunamente modificata e diventata Cisitalia-Abarth continua a correre affidata per due volte nel 1950 a Tazio Nuvolari. Il Mantovano Volante la porta alla vittoria sia nella Targa Florio di quell’anno, sia nella Palermo-Monte Pellegrino prima di lasciare per sempre le competizioni, ormai provato dagli acciacchi dell’età e dalla malattia.
La storia della 204 A Spyder prosegue e, come dicono i documenti che la accompagnano, corre in altre 18 gare internazionali. Nel 1953 viene venduta a un certo signor E. Ferri, che nel 1954 la cede a J. Saggese che nel 1958 la vende a O. Silich. Nel 1960 passa alla Asociación Argentina de Automóviles Sport come vettura scuola per piloti quindi, nel 1978, diventa di Sergio Lugo che nel 2009 la sottopone a restauro a Buenos Aires presso lo specialista Jose Maria Pedota.
Nel 2012 partecipaalla Mille Miglia e viene esposta presso il Museo Tazio Nuvolari e il Museo dell’Automobile di Torino. Nel 2013, acquistata dal californiano Russell Whiteis, viene sottoposta a tutti i controlli necessari per ottenere il certificato FIA e recentemente il Certificato di Originalità dalla Abarth Classiche.
Documenti che certificano l’alto grado di originalità di quest’auto. La sua stima d’asta non è nota, ma sicuramente sarà molto più alta di quella di 4,6 milioni di dollari chiesti per lei nel 2014.
Nel settantesimo anno della Ferrari, continua il nostro omaggio al marchio più famoso del Made in Italy. Dopo la prima uscita, dedicata alle granturismo (febbraio), è disponibile in edicola – a richiesta con Ruoteclassiche di marzo, al prezzo di 9,90 euro – il volume intitolato “Le corse” (144 pagine).
Ferrari e Formula 1: un binomio inscindibile, divenuto la massima espressione del motorismo sportivo. Quella del Cavallino è stata una cavalcata leggendaria, che ha portato la Casa di Maranello a imporsi come il costruttore più titolato nella storia del Circus, con ben 31 Mondiali conquistati (15 Piloti e 16 Costruttori). A questi si aggiungono 224 vittorie, 81 doppiette, 702 podi, 208 pole position e 233 giri veloci in gara. Nessun altro è riuscito a fare altrettanto. Non solo, ma la Ferrari è l’unica scuderia ad avere partecipato a tutti i 67 campionati disputati. Anche nelle competizioni riservate alle vetture Sport le Rosse hanno giocato un ruolo da protagoniste, vincendo 9 Mondiali. In queste pagine ripercorriamo questa entusiasmante epopea, nata settant’anni addietro.
Due volte iridato nel rally, soprannominato il Re di Montecarlo in virtù delle 4 vittorie sul tracciato monegasco, di gran lunga il più importante pilota tedesco dopo Michael Schumacher. Adesso la leggenda vivente che risponde al nome di Walter Röhrl compie 70 anni. E Porsche adesso lo celebra con una mostra intitolata “Genius on wheels” che dal 14 marzo al 14 maggio resterà aperta negli spazi del Porsche Museum di Zuffenhausen.
Eppure Röhrl nella sua attività agonistica non ha mai corso con Porsche: solo dal 1993 ne è diventato test driver ufficiale e ambasciatore. Addirittura Porsche gli dedicherà una curva del sul circuito privato di sviluppo situato a Weissach. Perché tutta questa reverenza? Il motivo è semplice: nonostante la lunga carriera sportiva, Röhrl è sempre stato un fanatico del marchio.
La prima auto che si comprò da giovane, con i primi soldi guadagnati, fu proprio una Porsche 356 B. E parallelamente ai suoi impegni agonistici, nei primi anni ’80 corse nel campionato tedesco rally con una 911. La stessa auto fu condotta da lui anche nel rally di Sanremo del Mondiale 1981.
Ma cosa è stato Walter Röhrl nella sua carriera? Senza dubbio uno dei pochi piloti nel motorsport a imporsi sia nei rally sia nelle gare di velocità. Oltre ai due titoli iridati del 1980 (con la Fiat 131 Abarth del Jolly Club) e del 1982 (con la Opel Ascona 400 del Rothmans Rally team), nella sua lunghissima carriera sugli sterrati iniziata nel 1973 e terminata nel 1987 ha corso anche con Audi e Lancia, oltre alla parentesi del 1981 con la sua amatissima Porsche.
E poi si è imposto anche nelle categorie a ruote coperte, dalla TransAm alla IMSA, fino alla vittorie nel Pikes Peak del 1987 (con Audi) e nel campionato tedesco Turismo. Una sorta di eroe dei due mondi automobilistici, che si conquistò sul campo il soprannome di “Genius on wheels”. A darglielo fu uno che di motori ci ha sempre capito molto: Niki Lauda.
Se ne va un genio del volante e, nello stesso tempo, del manubrio. John Surtees, a 83 anni, si è spento oggi pomeriggio al St George Hospital di Londra dove era stato ricoverato alla fine di febbraio per problemi respiratori. L’annuncio ufficiale è stato dato dalla moglie Jane e dalle figlie, Leonora e Edwina con un comunicato pubblicato su Facebook:
“È con grande tristezza che annunciamo la morte del nostro marito e padre, John Surtees. John era un amorevole marito, padre, fratello e amico. E’ stato anche uno dei veri grandi del motorsport e ha continuato a lavorare senza sosta fino a poco tempo fa con la Fondazione Henry Surtees Fondazione e il Buckmore Parco Kart Circuit. Piangiamo la perdita di un uomo incredibile, gentile e amorevole, un vero e proprio esempio. Vorremmo ringraziare tutto il personale dell’ospedale per la loro professionalità e il sostegno in questo momento difficile per noi. Grazie anche a tutti coloro che hanno inviato i loro messaggi genere nelle ultime settimane”.
LA CARRIERA: L’INIZIO CON LE MOTO
Nato a Tatsfield, nel Surrey, l’11 febbraio del 1934, era figlio di un venditore di motociclette, che poi si sarebbe rivelato il principale “responsabile” della sua passione per i motori. Iniziata l’esperienza nel settore ancora giovanissimo, prese a frequentare i circuiti con le due ruote distinguendosi per il suo grande talento. Dopo gli inizi promettenti con la Norton, nel ’55 passò alla MV Agusta.
Con la Casa italiana vinse il titolo della ‘500 nel 1956, regalando al marchio di Varese il suo primo successo nella categoria. Il “figlio del vento”, così fu soprannominato in quel periodo, vinse ancora nel ’58, ’59 (vinse tutte le gare della stagione) e ’60, anno del suo passaggio alle quattro ruote. Complessivamente, Jonh Surtees ha vinto 7 titoli del Motomondiale, classe 350 (1958, 1959, 1960) e classe 500 (1956, 1958, 1959, 1960). Nel 1959, per i suoi meriti nel motorsport, fu insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico.
LA FORMULA 1
Nel 1960, a 26 anni, John Surtees decide il passaggio alle quattro ruote guadagnandosi il sedile di guida di una Lotus nel Mondiale di F1. Debuttò il 29 giugno, GP di Montecarlo, dove fu costretto al ritiro per noie alla trasmissione. Ma al successivo GP d’Inghilterra conquistò il secondo posto e al seguente appuntamento in Portogallo partì in pole position.
Nel ’61 corse con le Cooper della Yeoman Credit Racing; nel ’62 con la Lola della Bowmaker Racing Team e, nel ’63, l’approdo alla Ferrari. Il 1964 fu per lui l’annata perfetta: battagliando con Jim Clark e Graham Hill vinse due gare e il campionato all’ultima prova in Messico con un solo punto di distacco da quest’ultimo.
Sopravvissuto a un brutto incidente nel ’65 in Canada, mentre provava una Lola T70, nel 1966 tornò in corsa con la monoposto di Maranello dimostrandosi molto agguerrito. Ma in seguito a un litigio conseguente alla sua esclusione dalla 24 Ore di Le Mans, abbandonò la Ferrari e, di fatto, la possibilità di vincere il secondo titolo. Continuò a gareggiare con le Cooper Maserati, con cui vinse l’ultima gara della stagione e consolidando la seconda posizione nella classifica finale, a 14 lunghezze dal vincitore Jack Brabham.
CAMPIONE CAN-AM E ANCORA MONOPOSTO
In quel burrascoso ’66 John Surtees formò il suo team privato e prese parte con le Lola al primo Campionato CAN-AM. Nei panni di pilota/team manager vinse tre delle sei gare in calendario (Mont Tremblant, Riverside e Stardust) vincendo contro le Chaparral e le McLaren.
Nello stesso tempo continuò a gareggiare con le Formula 1: prima come pilota per la Honda, quindi come costruttore con il team Surtees nella nuova Formula 5000 (creata nel ’69 come una specie di F1 “low cost”) ottenendo cinque vittorie in dodici gare. Un risultato molto positivo, che convinse John Surtees a tentare il colpo anche in F1. Alla fine del 1971 appese definitivamente il casco al chiodo e continuò a guidare il suo team fino al alla conclusione della stagione 1978, con risultati progressivamente sempre meno soddisfacenti.
GLI ANNI RECENTI
Nel 1996 il suo nome è stato inserito nella International Motorsports Hall of Fame e nel 2003 è stato insignito del titolo di “leggenda” dei gran premi.
John Surtees ha guidato il team A1 Great Britain nella serie A1 Grand Prix dal 2005 al 2007. Nel 2009 il giovane figlio Henry, pilota di F2, perse la vita durante una gara a Brands Hatch.
Enzo Ferrari aveva già abbastanza esperienza come costruttore. Già nel ’33, allorché l’Alfa Romeo interruppe l’impegno ufficiale nelle corse, la sua Scuderia Ferrari aveva portato avanti lo sviluppo delle Alfa Romeo 8C Spider “Corto” e “Monza” e le aveva pure dotate di propri numeri di telaio (anche se sempre di Alfa si trattava). L’Alfa Romeo Bimotore, nata nel ’35 e artefice di uno straordinario record di velocità (il 15 giugno ’35 Tazio Nuvolarisuperò 321 orari sulla autostrada Firenze – Mare), era stata una sua idea ed era nata nei suoi locali. Lo stesso vale per l’Alfa Romeo 158 – progetto di Gioacchino Colombo – vincitrice della Coppa Ciano del ’37 a Livorno, e dell’Auto Avio Costruzioni 815 (8 cilindri, 1,5 litri) realizzata in due esemplari nel ’39 e sfortunata esordiente alla “strana” Mille Miglia del 1940 (due ritiri).
Nel 1939, nel rompere ogni legame con l’Alfa Romeo, Ferrari aveva siglato con il Portello un accordo (della durata di 4 anni) che gli impediva di costruire automobili con il proprio marchio e di ricostituire la Scuderia. L’ostacolo fu abilmente aggirato con la fondazione della Auto Avio Costruzioni ma, del resto, lo scoppio della guerra mise fine a ogni ulteriore progetto.
Nel ’43 si era spostato da Modena a Maranello per usufruire dei vantaggi economici di una legge sul decentramento industriale. E qui, terminato il conflitto, riprese l’attività occupandosi di aerei e di macchine utensili. Ma si ritrovò anche nella condizione di poter agire con totale libertà d’azione e di dare attuazione al suo ambizioso programma: un motore 12 cilindri, un’automobile con il marchio del Cavallino Rampante tutta sua, il ritorno alle corse.
L’UOMO FIDATO: GIOACCHINO COLOMBO
Ferrari aveva bisogno di un tecnico fidato. La scelta cadde su Gioacchino Colombo, figura sulle cui qualità aveva già potuto contare. Il tecnico legnanese, discepolo di Vittorio Jano all’Alfa Romeo, nel ’37 era entrato nella Scuderia Ferrari e, con Luigi Bazzi, aveva progettato la 158 con motore 8 cilindri sovralimentato. Colombo si mise al lavoro e, su richiesta del Drake, iniziò la progettazione di un nuovo motore 12 cilindri di 1,5 litri.
Era, questo, un vecchio sogno di Enzo Ferrari: i V12 non erano motori rari sulla scena automobilistica. Lo era, invece, un’unità con una cilindrata contenuta. A Ferrari questo motore serviva sia per le competizioni – Formula 1 in particolare – sia per la produzione in serie. Un simile frazionamento avrebbe rappresentato, rispetto all’analisi della concorrenza, una scelta molto innovativa. Il boss, del resto, riponeva grandi speranze in questa scelta: lui stesso, si racconta, considerasse il motore come il 100% di un’automobile.
Contraddistinto da misure di alesaggio e corsa di, rispettivamente, 55 e 52,5 mm, totalizzava appena 1.496 cc di cilindrata. L’architettura a V prevedeva un angolo tra le bancate di 60°, distribuzione monoalbero con due valvole per cilindro, alimentazione mediante 3 carburatori Weber 30 DCF, accensione singola mediante magneti e lubrificazione a carter umido.
La potenza massima erogata arrivò a quasi 120 Cv, con una potenza specifica di circa 80 Cv/litro. L’unità fu pronta nel tardo ’46: il 26 settembre iniziarono i test al banco, condotti da Luigi Bazzi, mentre nel frattempo proseguiva la costruzione della vettura, i cui primi disegni datavano al mese di giugno ’46. Richiamato Colombo all’Alfa Romeo, il suo lavoro fu portato avanti da Giuseppe Busso.
Il telaio proveniva dalla milanese Gilco: Gilberto Colombo, specialista nella realizzazione di strutture tubolari, ricevette da Ferrari tutte le raccomandazioni del caso affinché realizzasse una struttura rigida ma leggera. L’infrastruttura fu spedita a Maranello dove, nel corso dell’inverno, lo sviluppo procedette a un livello giudicato soddisfacente.
Enzo Ferrari, capo di tutte le operazioni ma anche uomo di comunicazione, aveva nel frattempo fatto preparare la prima documentazione ufficiale dei prodotti della neonata azienda: tra disegni del motore e del telaio apparve anche una vista trasparente di una berlinetta, probabile allusione a una versione stradale per i clienti gentleman. Le notizie iniziarono ad apparire nella stampa specializzata nel gennaio 1947. Ferrari andò oltre, con la preparazione di un catalogo vero e proprio, nel quale erano menzionate ben tre vetture: una Sport, una Competizione e una Gran Premio. Mancavano le fotografie, per il semplice motivo che nessuna delle vetture era nel frattempo stata completata.
IL 12 MARZO 1947
E’ il giorno del debutto su strada della prima Ferrari della storia. Ecco la cronaca di quei momenti secondo quanto scrisse Gianni Rogliatti, giornalista e fine narratore delle vicende Ferrari: “quel giorno, verso le quattro del pomeriggio, alla periferia di Maranello si levava un rumore di motore a scoppio, ma un motore strano che aveva cominciato a funzionare tossicchiando e poi era aumentato di intensità e tono fino a livelli mai sentiti prima da quelle parti. Era la macchina, ancor priva di carrozzeria, sulla quale Ferrari, uscendo a destra dal cancello dello stabilimento, si era lanciato sul rettifilo verso Formigine. Dopo alcuni km si era fermato, aveva invertito la marcia ed era rientrato in fabbrica dove tutti lo aspettavano ansiosi”.
Questa è la notizia. Ma le circostanze che la crearono non furono mai del tutto chiarite: si parlò della stanchezza, perché Castellotti era spesso in viaggio tra Modena e Firenze (la fidanzata Delia Scala stava tenendo uno spettacolo in Toscana) o del probabile cedimento improvviso dell’albero della trasmissione della vettura.
Che dire, a distanza di sessant’anni, di una carriera breve ma intensa, tale da fare considerare Castellotti il probabile erede di Alberto Ascari? Da ricordare la vittoria nel 1956 sia alla Mille Miglia sia alla 12 Ore di Sebring (quest’ultima in coppia con Juan Manuel Fangio), la partecipazione ai campionati di Formula 1, per Lancia e Ferrari, dove era arrivato due volte secondo e aveva ottenuto una pole position.
Eppure Eugenio Castellotti non era nato per fare il pilota. Il padre era un proprietario terriero con la passione per le auto, ma contrario alla partecipazione del figlio alle gare automobilistiche. La carriera di Eugenio inizia solo dopo la morte del genitore, nel 1950.
Compra una Ferrari 166 MM e partecipa a tante gare: arriva sesto alla Mille Miglia del 1951. Ottiene le sue prime vittorie, tra cui la Coppa d’Oro di Sicilia e il Gran Premio del Portogallo nell’edizione per vetture sport. Durante il Gran Premio d’Italia a Monza diventa amico di Alberto Ascari; ottiene un secondo posto alla Mille Miglia e poi un contratto con la Lancia per disputare la Carrera Panamericana del 1953: qui si classifica terzo.
Gianni Lancia gli consente di correre il Gran Premio del Belgio: ottiene la sua unica pole position in carriera su un circuito a lui sconosciuto. Ci sono poi gli anni della Ferrari, durante i quali a tante vittorie si alternano momenti in cui viene prima lo spirito di squadra. Basti pensare al Gran Premio di Francia del 1956: Castellotti ha l’occasione di vincere ma il direttore tecnico della squadra Eraldo Sculati gli impone di far passare Peter Collins, meglio posizionato in classifica: deve accontentarsi del secondo posto.
Meno di un anno dopo, sarebbe finito tutto all’improvviso, in un circuito conosciuto, a Modena, a casa.
Una storia che sa di automobilismo – e, come vedremo, di giornalismo – di altri tempi. Allora le automobili erano poche, e le notizie potevano essere raccontate solo attraverso la cronaca diretta.
Ma andiamo con ordine. Non sembrava destinato allo sport, questo pilota dal sangue blu: Luigi Marcantonio Francesco Rodolfo Scipione Borghese, X principe di Sulmona, nasce l’11 febbraio 1871 a Castello di Migliarino dal principe Paolo e dalla contessa Ilona Apponyi. Studia fisica e matematica a Roma e frequenta l’Accademia militare di Torino. Lo interessa il mondo: viaggia in Asia dal Golfo Persico al Pacifico, visitando la Siria, la Mesopotamia, la Persia, e anche la Cina.
Nel 1907 il giornale francese “Le Matin” indice la gara automobilistica Pechino-Parigi per dimostrare la validità dell’automobile quale mezzo di trasporto adeguato anche per le grandi distanze, futura concorrente di treno e nave.
Il principe Scipione Borghese è l’unico italiano a partecipare, a bordo di una vettura Itala 35/45HP, condotta da Ettore Guizzardi, suo autista di fiducia.Luigi Barzini senior, all’epoca inviato del Corriere della Sera, si unisce a loro per una cronaca diretta.
Il 10 giugno 1907 alle ore 8 si parte da Pechino. Sono cinque le vetture in gara, ma l’esperienza maturata nei viaggi da parte di Borghese si vede subito: in particolare attraverso importanti accorgimenti, come la distribuzione di rifornimenti di benzina e olio nel corso del viaggio, la sostituzione dei parafanghi della vettura con assi da utilizzare come rampe in caso di necessità, il montaggio di pneumatici anteriori e posteriori uguali e quindi intercambiabili.
L’autovettura Itala attraversa posti della Cina, della Mongolia, della Siberia, della Russia, in cui la gente non ha mai visto un’automobile. A volte per riparare i guasti danno una mano i contadini del luogo, stupiti da quei tre italiani a bordo di un veicolo senza cavallo. I pezzi di Luigi Barzini vengono inviati ogni volta che i viaggiatori incontrano una stazione telegrafica e vengono pubblicati dal “Corriere della Sera” e dal “Daily Telegraph”. Al rientro in Italia, Barzini scriverà il celebre racconto “La metà del mondo vista da un automobile. Da Pechino a Parigi in sessanta giorni”, pubblicato dall’editore Ulrico Hoepli nel 1908 e tradotto in undici lingue.
Quest’avventura è stata una parte di una vita altrettanto intensa: Scipione Borghese contribuisce alla creazione del Consorzio agrario cooperativo della riviera bresciana del lago di Garda, cerca di rinnovare il porto di Genova, diventa consigliere della Società per gli studi della malaria e promotore delle bonifiche nell’Agro romano; viene eletto deputato per il Partito Radicale e fonda insieme a Enrico De Marinis la rivista “Lo Spettatore”.
Nel 1912 prende parte alla guerra di Libia, riceve una medaglia di argento e una di bronzo al valor militare e due croci di guerra. Ma quando si pensa a lui, nel mondo delle auto e in quello delle notizie, si pensa a Pechino-Parigi in automobile, anno 1907.
Con così tante vetture al via, si può ben immaginare il livello di bravura e concentrazione richiesti per primeggiare su tutto e tutti. E si comprende ancora meglio la felicità sul volto dei vincitori, se ci si rende conto che il distacco per le prime posizioni, si deve quantificare in meno di una manciata di centesimi di secondi di differenza. Solo 123 centesimi di penalità e una media di 2,2, per i primi classificati assoluti Francesco e Giuseppe Di Pietra, al volante di un’Autobianchi A112 Abarth. E solo due centesimi di vantaggio sui secondi classificati Vesco-Guerini che, con la loro Fiat 508 S Balilla del 1934, hanno però trionfato nella classifica Top Car. Terzi, con 128 punti, Massimo Politi e Pierluigi Ruggeri, su Innocenti Mini Cooper MK3 del 1970.
Non solo classifica generale
Hanno completato il podio della classifica Top Car, gli equipaggi Patron-Casale, alla guida della Fiat 514 MM del 1931, e Belometti-Peli su Fiat 508 Sport Spider del 1932. Tra le scuderie, con ben 15 equipaggi schierati al via, ha raccolto il maggior numero di punti la Classicteam Eberhard. Infine, per la Coppa delle Dame, che in questa occasione ha visto sfidarsi addirittura sei equipaggi, applausi al duo Scarioni-Pietropaolo, su Austin Mini HLE del 1982, prime con 256 penalità e meritatamente 46esime assolute. Seconde le plurivincitrici Fanti-Serri, a bordo dell’Alfa Romeo Giulietta Sprint del 1963, seguite da Bignetti-Ciatti su Alfa Romeo Giulietta Spider del 1960.
Organizzato dall’HistoricCar Club Verona, il Trofeo Strade Scaligere – Memorial Bruno Zorzi, si è svolto su un “percorso a ostacoli” di 183 km, suddivisi in quattro settori e scanditi dall’alternarsi di 56 prove cronometrate. La gara è partita domenica mattina alle 10.00, 2 vetture al minuto, dalla centralissima Piazza Bra di Verona, con l’Arena sullo sfondo, dal fascino sempre irresistibile, e Palazzo Barbieri a dare ospitalità ai concorrenti, dove già nella giornata di sabato si sono svolte le verifiche sportive e tecniche. Tra la folla di locali e curiosi, e tra i flash di turisti meravigliati da un simile spettacolo, per di più in uno dei centri storici più magici del Bel Paese, la carovana di storiche signore ha affrontato il primo e certamente il più caratteristico gruppo di prove della giornata, tra i tornanti delle Torricelle. Questa salita è famosa per essere stata testata anche da piloti del calibro di Ferrari e Nuvolari, ed è molto suggestiva e deve il suo nome alle Torri Massimiliane, ovvero 4 torri austriache di forma cilindrica, risalenti al 1837, costruite in posizione dominante rispetto a Verona, lungo il crinale di San Giuliano.
Altri passaggi molto suggestivi sono stati quelli che hanno permesso ai concorrenti di attraversare il centro storico di Soave, piacevolissimo come il suo vino, o di transitare, dopo aver toccato i comuni di Belfiore e Ronco all’Adige, davanti al municipio di Oppeano, dove il sindaco in persona ha accolto tutti gli equipaggi per il controllo a timbro, come previsto dal road book. Il resto delle prove si sono svolte tutte all’interno di zone industriali, accontentando gli amanti del genere, prove comunque “fattibili”, al di là del talento di ciascuno, senza tanti trucchi e inganni, per la gioia dei non amanti del genere.
Il prossimo appuntamento del Cireas è per la Rievocazione Storica Gran Premio del Mugello – Memorial Clemente Biondetti, i prossimi 25 e 26 marzo. #Follow #gareclassiche
LE CLASSIFICHE
Assoluta 1° Di Pietra-Di Pietra – Autobianchi A112 Abarth – 123 penalità
2° Vesco-Guerini – Fiat 508 S Balilla – 125
3° Politi-Ruggeri – Innocenti Mini Cooper MK3 (Classic Team ASD) – 128
Top Car
1° Vesco-Guerini – Fiat 508 S Balilla – 4.250 penalità
2° Patron-Casale – Fiat 514 MM, 1931 (Loro Piana Classic) – 4.991
3° Belometti-Peli – Fiat 508 Spider Sport (Loro Piana Classic) – 5.216 Scuderie
1° Classic Team ASD – 17.450 punti
2° Franciacorta Motori – 21.515
3° Loro Piana Classic Car Team – 23.110
Dalla 956 del 1982 alla 918 Spyder passando per il poetico suono del boxer 911 Carrera RS. Una webserie a puntate con un costruttore di auto dalla grande storia e dall’altrettanto promettente futuro che si racconta, giudicandosi e aprendo i propri archivi alle telecamere. Accade con Porsche e la serie di video si chiama Top5. Proprio come una hit parade dei tempi antichi, quelli dei vinili e dei 45 giri per intenderci.
Protagonista è il mondo di Stoccarda raccontato da interpreti noti come Walter Rohrl piuttosto che dal responsabile degli archivi storici Dieter Landerberger. In primo piano ci sono auto o tecnologie in bella mostra e tirate a lucido, in pista o in galleria del vento.
Ne parliamo su Ruoteclassiche per due motivi: il primo è che la qualità realizzativa è veramente elevata e il secondo, indipendentemente dalle classifiche auto compilate dai comunicatori di Stoccarda, è che si vedono modelli e particolari meccanici o di carrozzeria che hanno fatto e faranno la storia.
A colpire, prima di entrare nel dettaglio dei video e delle classifiche (che non vi sveliamo in modo completo per evitare di rovinarvi l’effetto sorpresa di ogni video) è infatti la cura realizzativa non solo nelle riprese e nel montaggio ma nella varietà di temi affrontati, dal generale al particolare.
Sì, perchè alcuni episodi, visti su youtube oltre 700.000 volte in poche settimane (ma chissà a quale numero complessivo si arriverà tra condivisioni sui social e via discorrendo) si concentrano sulle auto, altri sul sound delle stesse e altri ancora su alettoni o tecnologie trasportate dalla pista alla strada. E per ogni video ci sono introduzione, montaggio cadenzato, focus sui vari modelli con voce fuori campo (in inglese) dedicata alla narrazione e infografica a supporto sia di immagini nuove in alta risoluzione sia di altre ormai “classiche” di gare e archivi ancora non digitali.
Le classifiche pubblicate fino ad ora riguardano i concept più rari, dove si scopre una Cayenne cabriolet mai nata piuttosto che la 989 di inizio anni ’90, antesignana a quattro porte della Panamera mai arrivata alla produzione. O, ancora, le tecnologie sperimentate prima in pista e che poi hanno trovato applicazione sui modelli stradali, come il turbo o la tecnologia ibrida piuttosto che i materiali compositi per alleggerire le carrozzerie.
Particolarmente gustoso, provate ad ascoltarlo con le cuffie, l’episodio dedicato ai 5 migliori “suoni” delle creature di casa, con la Carrera GT pronta a competere con la 911 Carrera RS 2.7 piuttosto che con la GT3 RS. E dove non sono le auto sono le livree, come la mitica “Rothmans” o i particolari tecnici, come i freni in ceramica, ad incantare gli occhi o solleticare le memorie. Comprese le immagini del record al Nurburgring in 6 minuti e 11 secondi strappato dalla Porsche 956 più di trenta anni fa.
La scelta di Porsche è molto intelligente sotto il profilo strategico comunicativo, senza il sapore a volte un filo stantio dei video aziendali autocelebrativi. Una via obbligata quindi quella dello strumento video, il cui successo sulla rete e come strumento di comunicazione è una delle tendenze ormai consolidate con indicatori di crescita tutti in doppia cifra a livello di fruizione sia da tablet che da smartphone. Alzi la mano chi ricordava che la Porsche 924 Carrera GTS del 1984 fosse stata costruita in soli 50 esemplari. Il primo in bianco e gli altri tutti in rosso. Buona visione.
In attesa delle gare più impegnative dei prossimi mesi, un momento di relativo relax per gli amanti della regolarità lo offre la Franciacorta Historic, classico appuntamento di inizio primavera che si svolge in una sola giornata (con verifiche il giorno prima) nel rilassante territorio della provincia bresciana.
Giunta alla decima edizione, la gara per auto storiche (inserita a calendario ACI Sport) è in programma l’otto aprile con partenza da Castrezzato (BS) alle 11.00 di mattina. Con la novità che da quest’anno la partecipazione è riservata a tutte le vetture costruite fino al 1971 e, per alcuni modelli di particolare interesse storico e collezionistico, anche fino al 1976. Questo per uniformarla alla regolamentazione del “Criterium Bresciano di Regolarità” (un sodalizio che raccoglie alcune delle più note classiche di regolarità locali) del quale è entrata a far parte.
Da Castrezzato gli equipaggi (lo scorso anno erano 87) percorreranno circa 130 chilometri attraverso le zone tipiche della Franciacorta e saranno impegnati in 55 prove cronometrate in linea (non ripetute). Molti i premi predisposti dai vari sponsor della manifestazione.
Le iscrizioni chiuderanno domeanica 2 aprile. Maggiori informazioni presso il sito ufficiale della gara www.franciacortahistoric.it.
Franciacorta Historic 2017: c’è tempo fino al 2 aprile
Il 17 marzo del 1977, 40 anni fa, si apriva l’edizione numero 47 del Salone dell’automobile di Ginevra. Due modelli raccoglievano l’attenzione dei visitatori con particolare intensità: un curioso fuoristrada nello stand Lamborghini, un brand che fino al giorno prima aveva costruito solo supercar; la nuova possente Porsche 928 a 8 cilindri e 4 posti che avrebbe raccolto l’eredità della 911, considerata ormai molto vicino il de profundis.
LAMBOGHINI CHEETAH: IL GHEPARDO NATO ZOPPO La debuttante Lamborghini è un’automobile agli antipodi rispetto ai capolavori di stile e di tecnica come Miura e Countach che avevano caratterizzato fino ad allora la produzione della Casa di Sant’Agata Bolognese. La Cheetah è un veicolo più strano che affascinante: un fuoristada militare tout-court, decisamente spiazzante per una clientela abituata alle supercar estreme. Ma tant’è! La Cheetah nasce in un periodo di gravi difficoltà per la Casa del Toro. Nel ’72 Ferruccio Lamborghini, che in pochi anni aveva saputo trasformare un marchio di trattori in uno dei maggiori antagonisti della Ferrari, molla le redini e cede un primo pacchetto di azioni allo svizzero Georges-Henri Rossetti, industriale poco avvezzo a trattare automobili. L’anno successivo il resto viene venduto a René Leimer.
Nel ’73 la Miura era uscita di produzione e il testimone era passato alla Countach, unico modello gravato dell’onere di tenere in piedi l’azienda. La crisi petrolifera del ’73 e le agitazioni sindacali avevano ulteriormente fiaccato l’attività della Lamborghini, causando l’uscita di menti importanti e l’incapacità di sviluppare nuovi prodotti. Dopo il fallito accordo con la BMW per assemblare a Sant’Agata le BMW M1, viene tentata la strada americana: Lamborghini stringe un accordo con la Mobility Technology International MTI per lo sviluppo di un veicolo militare a favore dell’esercito (che la stessa MTI avrebbe venduto in America). Al partner d’Oltreoceano viene affidato il compito di progettare il veicolo ma, clamorosamente, questo finisce per diventare una copia della FMC XR-311, un prodotto concorrente nato già due anni prima.
Costruito a San José, California, il primo prototipo ha di Lamborghini esclusivamente il nome: è infatti motorizzato con un grosso 8 cilindri a V Chrysler 360 da 5,9 litri di cilindrata accoppiato a un cambio automatico a tre marce. Il bestione paga anche una poco soddisfacente distribuzione dei pesi e una scarsa potenza (abbondantemente sotto i 200 Cv) nonostante un peso di oltre 2 tonnellate. Il pachidermico fuoristrada militare viene presentato al Salone di Ginevra con già all’orizzonte il rischio di pesanti grane legali da parte di FMC, che non lesina sulle minacce.
Successivamente la Casa italiana entra finalmente in possesso del prototipo per correggere lo sviluppo e “provare” a organizzare il progetto in modo più razionale. Le ipotesi sulla carta sono sostanzialmente due: vendere la Cheetah all’esercito americano nell’ambito del bando HMV (High Mobility Vehicle) e alla ricca clientela dei paesi desertici.
Tuttavia il prototipo, nel frattempo tornato in America per essere testato dai militari, viene distrutto durante un test. Subito dopo la MTI abbandona l’impresa: cede disegni e resti del prototipo a una nuova società, la Teledyne Continental Motors, decisa a continuarne lo sviluppo. Ma Lamborghini, già piegata da una difficile situazione finanziaria interna, di fronte alla certezza che il progetto non sarebbe mai decollato, lascia la partita quando altri tre prototipi della Cheetah erano in costruzione.
PORSCHE 928: LA “PORSCHONA”! Nel 1971 Ernst Fuhrmann, nuovo Amministratore Delegato della Casa di Stoccarda, si trova a fronteggiare una serie di sfide: la cancellazione del progetto EA266 commissionato da Volkswagen (l’erede del Maggiolino); l’inasprimento delle normative anti-inquinamento in America ma, soprattutto, l’affare 911. La Elfer, infatti, già in listino da qualche anno, inizia a preoccupare nel suo rapporto con lo scenario automobilistico mondiale. Si era trattato, tutto sommato, di un profondo restyling della 356 (a sua volta, basata sul vecchio Maggiolino nato negli Anni 30); logico, quindi, domandarsi se i suoi concetti base avrebbero potuto sopravvivere ancora a lungo. Nondimeno, le vendite iniziavano a dare segni di calo.
In questo scenario, già nell’estate del 1971 si inizia a esplorare l’opportunità di una erede della 911. Il 21 ottobre, giorno del compleanno di Fuhrmann, le proposte sono sul suo tavolo e il successivo 8 novembre il progetto viene lanciato: nome in codice “928”.
Il nuovo modello avrebbe dovuto sostituire la 911 con un ritmo progressivo, senza “cesure” improvvise. La Neunelfer avrebbe potuto essere aggiornata, sviluppata e migliorata per qualche anno, fino a lasciare alla nuova 928 il compito di ricoprire il ruolo di modello “portabandiera”.
Partire da un foglio bianco – come effettivamente avviene – implica la presenza di pochi punti di contatto con i modelli Porsche già in vendita. Le opportunità al vaglio, quindi, non tralasciano alcun scenario. Le discussioni girano attorno a due punti chiave: un layout con motore centrale e l’insindacabile formula “2+2″ posti. Alla fine il risultato viene trovato: motore anteriore, motore 8 cilindri a V raffreddato a liquido, disposizione transaxle, 2+2 sedute.
La soluzione, peraltro, disturba non poco un classico del mercato americano: la Corvette. Era pur vero che questa differiva molto dalla nuova Porsche che avevano in mente a Stoccarda (la Chevy era una 2 posti con carrozzeria in vetroresina, contro una 2+2 con pelle in acciaio e alluminio) ma, senza dubbio, è chiaro che ci fosse spazio per una GT tedesca di questo lignaggio per i clienti americani.
Le prove sul campo iniziano nella primavera ’72 con il primo prototipo (“V1″), utilizzato per i test sulla nuova trasmissione Transaxle, fonte di preoccupazione per le vibrazioni che genera questa architettura. Risolte brillantemente nei due anni di lavoro successivi, si passa alle prove con scocca, motore (i cui primi collaudi erano stati eseguiti nel gennaio ’73) e trasmissione della futura 928. Frattanto la squadra dei designer elabora il design della carrozzeria.
Il progetto subisce, tuttavia, un duro colpo con lo scoppio della crisi petrolifera: mentre si iniziano a valutare soluzioni alternative improntate al “downsizing” si decide di bloccare ogni attività e per un intero anno la 928 viene messa in letargo. Ma a fine ’74 si decide di ripartire da dove tutto si era bloccato e di procedere con la messa in produzione in affiancamento alla 911.
Progettata ad hoc la sospensione posteriore – denominata Assale Weissach – fino al 1976 i prototipi sono sottoposti a intense sessioni di test, sia al banco, sia su strada. Le condizioni di prova, tranquillamente definibili come “terrificanti” servirono a raggiungere un grado di affidabilità di tutta la vettura giudicabile come soddisfacente. In ultimo, i test di sicurezza, in cui molti prototipi furono distrutti in simulazioni di impatto.
Nasce così una specie di “Corvette tedesca”, una GT a elevate prestazioni e un comfort di alto livello. Le sue caratteristiche fondanti sono la scocca in lamiera zincata, parti di carrozzeria in alluminio, motore V8 di 4,5 litri con iniezione meccanica a controllo elettronico K-Jetronic, 240 Cv a 5.500 giri; cambio a 5 marce in blocco con il differenziale posteriore; ampio portellone d’accesso a un vano posteriore da ben 200 litri e un ricco equipaggiamento (piantone e strumentazione regolabili in altezza, pedaliera registrabile, specchio lato guida elettrico, chiusura centralizzata, spia di segnalazione problema tarata su dodici diverse tipologie di anomalie). La 928 scatta da 0 a 100 orari in meno di 7 secondi e raggiunge 230 km/h.
Tale è il successo dell’anteprima Ginevrina che la nuova Porsche viene eletta auto dell’Anno 1978, un riconoscimento eccezionale considerando il livello, molto elitario, di una simile automobile. Porsche ha, ancora una volta, fatto centro.
Che anche nel mondo delle due ruote su facciano follie per i pezzi più pregiati non è una novità, ma che in un’asta online si siano superati i 140.000 euro per una Vespa, per quanto rara, è una assoluta sorpresa. E non è finita qui.
Succede in questi giorni sul sito specializzato in aste catawiki.com dove una delle prime Vespa costruite è salita da un’offerta iniziale di 250 euro agli attuali 142.500. Ai quali, a transazione conclusa, si dovranno aggiungere il 9% di costi d’asta ed eventuali costi di spedizione.
La Vespa in questione è in assoluto una delle primissime costruite. Nasce infatti nel 1946, quando la Piaggio dovette riconvertire la sua attività iniziale (costruzione di materiale rotabile e successivamente di produzione aeronautica) in industria delle due ruote.
Il modello offerto appartiene alla Serie 0 del 1946 con n° di telaio 1003. Si tratta, secondo l’offerente (Ruote da sogno di Reggio Emilia, dove si trova anche la Vespa in questione) della “Vespa più antica esistente al mondo”, appartenente a una pre-serie formata da 60 pezzi circa, ognuno dei quali è stato costruito a mano da battilastra specializzati. Uno status certificato con un documento dalla stessa Piaggio, dal quale si desume che questo sia effettivamente il terzo esemplare costruito e il più vecchio dei tre esemplari sopravvissuti.
Si tratta di uno scooter rivoluzionario, caratterizzato, nella versione di serie, da una carrozzeria portante in lamiera stampata, senza forcella anteriore (la ruota è infulcrata da un solo lato) e con il motore, montato di lato in corrispondenza della ruota posteriore, che oscilla con la ruota stessa. Il movimento è trasmesso direttamente alla ruota attraverso un cambio a tre velocità senza che vi siano interposti altri organi.
I vantaggi sono riassumibili in una estrema semplicità di guida, una maggiore protezione delle gambe per il conducente e una posizione di guida più comoda rispetto alla moto tradizionale. Nata con un motore monocilindrico due tempi da 98cc verrà successivamente proposta con cilindrate superiori.
Il successo è immediato e già nel 1946 ne vengono prodotte 2500 unità. Ai vantaggi pratici si sommano infatti prestazioni sufficienti per gli spostamenti sulle strade dell’epoca (60 km/h di velocità massima) e consumi ridotti (50 km/litro) che garantiscono una autonomia di oltre 250 km con un pieno.
L’esemplare in asta è stato sottoposto a un restauro didattico che è servito a mostrare la tecnica di costruzione della Serie 0. Per portarsela a casa c’è ancora tempo fino al 28 marzo, purché si sia disposti a rilanciare con un’offerta molto superiore. Il valore attuale è infatti ancora molto al di sotto della stima d’asta prevista, fissata tra i 250.000 e i 325.000 euro.
Dopo 45 anni nelle mani dello stesso proprietario, sta per andare all’asta l’ultima Austin Healey prodotta. Il prossimo 2 aprile, nei giorni del Practical Classics Car & Restoration Show al National Exhibtion Centre di Birmingham, l’Austin Healey 3000 MK3 con telaio HBJ843025 andrà all’incanto per iniziativa della casa d’aste Classic Car Auctions. Si tratta di un’automobile particolarmente significativa, essendo l’ultima macchina uscita dallo stabilimento di Abingdon, una piccola località sul Tamigi situata a sud di Oxford, prima della cessazione dell’attività.
La vettura, sfornata dalla catena di montaggio il 21 dicembre 1967, rimase di proprietà della Donald Healey Motor Company e registrata con targa OAC 656. Ceduta successivamente ad altri due acquirenti, nel 1972 è entrata in possesso del suo quarto e ultimo proprietario, che l’ha conservata, amata e coccolata per 45 anni.
Si può definire senza ombra di dubbio un magnifico esemplare di Big Healey, versione “BJ8” (successiva alla BJ7) della terza serie, la MK3. In 50 anni di vita questa affascinante roadster ha percorso solo 56.000 miglia (poco più di 90 mila km). Nel 2016 è stata sottoposta a un restauro generale ed è stata riverniciata in colore beige dorato metallizzato. La stima della casa d’aste Classic Car Auctions che la metterà all’incanto oscilla tra 75 e 90.000 Sterline (86.000 – 103.000 Euro).
L’AUSTIN HEALEY 3000 Fondata nel 1952 dalla Donald Healey Motor Company di Donald Healey, in joint venture con la Austin (gruppo British Motor Corporation – BMC), l’Austin Healey presentò la 3000 nel 1959 come erede del modello 100.
La 3000 era equipaggiata con un nuovo 6 cilindri portato a 3.0 litri da 132 Cv, contro il precedente 2.6, unica rilevante novità (se escludiamo i freni a disco anteriori) su un corpo vettura sostanzialmente invariato. Disponibile in versione 2 posti (“BN7″) e 2+2 (“BT7″) la roadster britannica lasciò il posto, nel marzo 1961, alla MK2, dotata di alcuni miglioramenti di motore e pochi aggiornamenti estetici (principalmente una nuova calandra con listelli verticali).
La produzione delle versioni BN7 e BT7 della 3000 MK2 fu quindi affiancata, a partire dal gennaio ’62, dal modello BJ7, dotata di un maggior comfort, migliori finiture, migliore protezione contro vento e agenti atmosferici. Quest’ultima portò progressivamente al pensionamento gli altri due modelli fino all’avvento, nell’autunno ’63, della 3000 MK3, che rimase in produzione fino al 1967 (anno di chiusura degli stabilimenti Austin Healey), prima come modello BJ7, quindi come BJ8 con motore potenziato a circa 150 Cv.
La produzione complessiva dell’Austin Healey 3000 superò 51.000 esemplari, dei quali quasi il 90% furono esportati sul mercato americano.
Se ne è andato Tomás Quintin Rodriguez, meglio conosciuto come Thomas Milian: addio a Nico Giraldi e a “Er Monnezza”. L’attore cubano (naturalizzato italiano nel 1969) aveva 84 anni. Ha recitato con Visconti e Zeffirelli ma è stato consacrato alla fama dai “poliziotteschi” all’italiana anni 70. Fu “italianizzato” grazie al magistrale doppiaggio di Ferruccio Amendola (voce anche di Dustin Hoffman, Robert De Niro e Sylvester Stallone).
L’attore cubano, figlio di un militare del dittatore Machado, assitette giovanissimo al suicidio del padre. Studiò teatro a Miami e, successivamente all’Actor’s Studio di New York. Nel ’59, dopo qualche lavoro teatrale e televisivo, partì per l’Italia dove fu notato, al Festival di Spoleto, da Mauro Bolognini. Fu scritturato dalla Vides di Franco Cristaldi e, fino al ’66, recitò ruoli impegnati con registi del calibro di Pasolini, Lattuada, Visconti e altri. Ma non essendone soddisfatto, cambiò genere e si dedicò agli spaghetti-western (“The Bounty Killer”, “La resa dei conti”, “I quattro dell’apocalisse”) iniziando ad accrescere la sua fama.
IL “POLIZIOTTESCO”
Negli Anni 70 avvenne la sua vera ascesa. Divenne protagonista nel genere cosiddetto “poliziottesco” all’italiana, all’epoca considerato di bassa lega ma oggi assurto al rango di vero e proprio cult movie. Nel 1976, nel film “Il trucido e lo sbirro” di Umberto Lenzi, comparve per la prima volta il personaggio de “Er Monnezza” (soprannome del personaggio Sergio Marazzi), poi riutilizzato per le due successive pellicole “La banda del Trucido” e “La banda del gobbo”, entrambe del ’77.
Da queste opere, appartenenti al genere della commedia, Tomas Milian fece un nuovo salto nel genere “poliziottesco”. Il nuovo personaggio del Maresciallo Nico Girardi (diventato ispettore nel 1981) verrà interpretato fino al 1984 in undici film: “Squadra antiscippo” (1976), “Squadra antifurto” (1976), “Squadra antitruffa” (1977), “Squadra antimafia” (1978), “Squadra antigangsters” (1979), “Assassinio sul Tevere” (1979), “Delitto a Porta Romana” (1980), “Delitto al ristorante cinese” (1981), “Delitto sull’autostrada” (1982), “Delitto in Formula Uno” (1984), “Delitto al Blue Gay” (1984).
Il successo di queste pellicole, si deve, oltre alla caratura del personaggio (barba lunga, capelli lunghi, tuta blu da meccanico, scarpe da ginnastica), soprattutto al doppiaggio di Ferruccio Amendola, che contribuì in modo decisivo a plasmare il suo ruolo attraverso il linguaggio: una dialettica con flessione esageratamente romanesca e particolarmente volgare. A fargli da spalla in molti di questi film, un altro personaggio simbolo delle produzioni del periodo: Franco Lechner in arte Bombolo.
Non mancarono, in queste pellicole, le automobili simbolo di quegli anni, specialmente Alfa Romeo. Nei film “poliziotteschi” di quegli anni le Alfa Romeo Giulia delle forze dell’ordine erano proagoniste assolute negli inseguimenti. Lo stesso Maresciallo Girardi, provetto guidatore, “In Delitto al Ristorante Cinese” ci mostra, nonostante una gamba ingessata, la sua perizia al volante di un’Alfa Romeo Giulietta.
GLI ALTRI GENERI
Oltre al “poliziottesco”, Milian recitò anche nella commedia erotica italiana (“40 gradi all’ombra del lenzuolo” con Edwige Fenech; “Uno contro l’altro, praticamente amici”, con Anna Maria Rizzoli e Bruno Corbucci.
Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 tentò il ritorno ai generi più impegnati degli esordi cinematografici ma, nonostante recitazioni importanti per Bernardo Bertolucci (“La Luna”) e Michelangelo Antonioni (“Identificazione di una donna”) non raccolse il successo sperato. Dopo la fine del personaggio di Nico Girardi sembrò essere entrato in un periodo di declino. All’inizio degli anni 90 tornò in America per lavorare in imporanti produzioni televisive per registi molto famosi (tra cui Oliver Stone e Steven Spielberg).
Nel 2013 ha ricevuto il Marc’Aurelio Acting Award alla carriera al Festival Internazionale del Film di Roma.
Bella la vita nella Motor Valley. Non manca niente: prima di tutto i motori (siamo in Emilia Romagna, dobbiamo aggiungere altro?), poi la buona tavola, poi ancora le bellezze paesaggistiche, l’arte e la cultura, per non parlare della giovialità degli emiliani (e dei romagnoli). Ci sono persino le terme. Quelle di Salvarola, a una manciata di chilometri da Modena in direzione Sassuolo. Qui, oltre a una sana immersione in acque salubri, una volta all’anno è anche possibile ammirare una sfilata di auto storiche. Sono quelle che partecipano al Concorso d’Eleganza Trofeo Salvarola Terme, che il 18 e 19 marzo scorsi ha festeggiato la diciottesima edizione.
Un bel traguardo onorato da una “Best of Show” di tutto rispetto: una delle Ferrari storiche più importanti che ci siano in circolazione. Un successo quasi scontato, vista la caratura del Cavallino che ha surclassato una cinquantina di vetture comunque di altissimo livello. Stiamo parlando della Ferrari 166 Berlinetta Mille Miglia Touring del 1950, impeccabile e inconfondibile nel suo inconsueto “abito” color blu Francia. Un esemplare che ha partecipato agli eventi più importanti del mondo e che appartiene alla stessa famiglia da tre generazioni (i Camellini di Modena, primi concessionari Ferrari nella città estense). Emiliana la macchina, emiliani i collezionisti e 100% emiliano il contesto del Concorso. Per questo motivo nemmeno il brillante blu Francia della “Best of Show” è riuscito a spezzare il filo rosso con il quale è stato imbastito ad arte l’evento. Il concorso di Salvarola non ha fatto fatica a diventare un appuntamento apprezzato da molti collezionisti e appassionati, tanto da poter aspirare a una partecipazione sempre più internazionale.
Come ha sottolineato Gabriella Gibertini, proprietaria della struttura termale e ideatrice del concorso insieme al fratello Alfredo, collezionista di veicoli militari “Ci manca solo il mare, ma abbiamo tanti prodotti di eccellenza che creano turismo. Anche il nostro concorso è uno strumento turistico e il territorio ne ha recepito la valenza. Da parte nostra cerchiamo di proporre ai partecipanti un programma sempre ricco, proprio per far conoscere la nostra terra. Quest’anno abbiamo scelto la Casa Museo di Luciano Pavarotti, il Museo dell’antica ceramica Marca Corona, la Reggia Ducale Estense di Sassuolo, fino al gran finale in piazza Roma a Modena”.
Ma torniamo alla “Best of Show 2017″, che ha raccolto il testimone dell’Alfa Romeo 6C 2300 GT del 1934 vincitrice della scorsa edizione. La 166 Berlinetta MM Touring ha il telaio numero 0042M accreditato di un pedigree di tutto rispetto: nel 1950 venne esposta al Salone dell’Automobile di Torino per poi espatriare in Francia, acquistata dal celebre Luigi Chinetti. Qui iniziò la sua carriera agonistica con la pilotessa Yvonne Simon che, tra il 1950 e il 1951, la portò in gara al Circuito di Porto, al Gran Premio di Germania al Nürburgring e per ben due volte alla 24 Ore di Le Mans (ritirata nel 1950 e quindicesima assoluta nel 1951). Tornò poi in Italia, dove partecipò ad altre gare come il Giro di Sicilia e la Mille Miglia del 1953 con “Serano”.
Nove le categorie (più una fuori concorso) nelle quali sono state suddivise le aspiranti reginette del Trofeo Salvarola e, come ormai tradizione, un marchio “Special guest” che crea un motivo di interesse in più. Dopo la Alfa Romeo celebrata nel 2016, quest’anno è stato il turno del Registro Aurelia. Il blasonato sodalizio ha schierato ben nove B24, in entrambe le versioni Spider e Convertibile, sette B20 GT e altre sei tra B12, B52 e B50. Una “reunion” da brividi che ha catalizzato l’attenzione grazie allo stile iconico di modelli intramontabili. Tra queste è stata eletta “Best of Lancia Aurelia” la B24 GT 2500 Spider del 1955 di Franco Fabbri. Special Guest del 2018 sarà il Registro Fiat.
Gli altri premi principali sono andati alla Cisitalia Coupé Gran Sport 202 del 1950 (Miglior Restauro), alla Ferrari 365 GTB4 Daytona del 1970 (“Best of Saturday”) e alla Hillman Zimp Coupé Zagato prototipo del 1963 (per la provenienza da più lontano).
Alcuni nomi di spicco hanno composto la giuria coordinata da Adolfo Orsi, uno dei più esperti di automobilismo storico italiano: Lorenzo Ramaciotti (designer), Guido Lamperti (conservatore del Registro Storico Lancia), Mauro Bompani (collezionista), Pietro Cremonini (carrozziere restauratore), Andre Maieli (tappezziere restauratore) e altri specialisti del settore che hanno valutato le auto secondo criteri concreti di storicità e qualità.
La mattina del 26 marzo 1927 – precisamente alle 8.00 del mattino – una Isotta Fraschini 8.0 litri pilotata dal Conte Aymo Maggi e da Bindo Maserati, uno dei fratelli dell’omonima azienda, è la prima automobile a prendere il via da Viale Venezia a Brescia nella prima edizione di una nuova competizione automobilistica. L’obbiettivo è puntare verso Roma passando per Firenze e, invertita la marcia, risalire verso il traguardo della Leonessa d’Italia passando per Bologna.
Il conte Maggi, gentleman driver di aristocratiche ascendenze, ha un interesse più che diretto nella corsa essendone uno degli organizzatori con altri tre personaggi della scena automobilistica del tempo: Franco Mazzotti, Giovanni Canestrini e Renzo Castagneto. Come avevano fatto i quattro intraprendenti personaggi a creare una corsa che, da subito, si sarebbe trasformata in un appuntamento irrinunciabile per chiunque aspirasse alla gloria motoristica? Si deve partire da più lontano.
FINE ANNI 10, INIZIO ANNI 20: SITUAZIONE DIFFICILE PER TUTTI Il 19 gennaio 1919 la Conferenza di Parigi aveva aperto la spartizione dell’Europa tra vincitori e vinti della Grande Guerra. Il tributo pagato dall’Italia era stato enorme, con oltre 600.000 vittime. Ma il Bel Paese, benché vittorioso, non usciva soddisfatto dal conflitto, tant’è che Gabriele D’Annunzio, il più autorevole interprete del sentimento nazionale, parlando di “vittoria mutilata” andò a riprendersi la città di Fiume, assegnata alla Jugoslavia.
Viene sconfitto (la città sarebbe comunque diventata italiana quattro anni dopo) ma il suo gesto ottiene il non indifferente risultato di instillare negli italiani un forte sentimento di ardimento. Gli fa eco una nuova spinta futurista che, decidendo di sposare le istanze del nuovo movimento fascista, apre all’azione e al tentativo di rinnovamento in tutti i campi (da quello politico a quello economico, da quello culturale a quell’industriale). D’altra parte il le fortissime agitazioni che scuotono il Paese a cavallo delle due decadi – segnate da una serie innumerevoli di scioperi – agita gli animi delle classi più disagiate alla disperata ricerca di un tenore di vita decoroso.
I BRESCIANI E IL LORO ENTUSIASMO I giovani bresciani Aymo Maggi, Franco Mazzotti e Renzo Castagneto vivono quest’epoca tumultuosa nella fredda atmosfera dell’universo automobilistico, con infrastrutture stradali scadenti, competizioni in crisi (l’unico vero evento era la 24 Ore di Le Mans, nata nel 1923) e Brescia in uno stato di decadenza. La città e il suo territorio erano stati la culla, fino all’inizio degli Anni 20, di molte manifestazioni automobilistiche ma la costruzione della pista di Monza aveva spostato lo scenario sportivo sull’industriosa Milano.
2 DICEMBRE 1926: SI DECIDE LA MILLE MIGLIA
Il 2 dicembre del 1926 i tre personaggi si incontrano a Milano in casa del giornalista Giovanni Canestrini, uno dei padri del giornalismo automobilistico italiano. Canestrini scriveva: “Discutevamo alla ricerca della soluzione della crisi dell’automobilismo; c’era poco da stare allegri. Bisognava fare qualcosa per lo sport, e soprattutto per lo sport italiano”. “C’era la necessità di creare qualcosa di nuovo e sensazionale – sosteneva Aymo Maggi – “per scuotere il mondo dell’ automobilismo dal torpore e ricordare le nostre tradizioni sportive”.
Ma, soprattutto, i tre bresciani puntano a ridare alla loro città l’importanza automobilistica che Milano ha offuscato. È necessario organizzare “una gara di gran fondo, dunque su strade aperte al traffico, non per vetture speciali da corsa, ma per le vetture della costruzione corrente, una gara infine che oltre al suo contenuto ideale avesse uno scopo pratico ed un significato immediato, sia dal punto di vista tecnico che da quello sportivo”. Canestrini descrive minuziosamente lo spirito di ognuno e ne evidenzia la sfumatura del carattere che ben si addice a quell’entusiasmo.
Franco Mazzotti, da poco ritornato dagli Stati Uniti, era ancora sotto l’impressione dell’enorme diffusione e del predominio dell’automobilismo nella vita d’Oltreoceano e, nel suo giovanile entusiasmo, sembrava assillato da un’idea: fare altrettanto in Italia, fare qualcosa che avvicinasse il popolo all’automobile, trovare la manifestazione che richiamasse quelle enormi falangi di pubblico che aveva visto sui ‘track’ americani”. Aymo Maggi era «dominato dalla passione per il suo sport preferito, non sognava che la gara ‘monstre’, che fosse diversa dalle solite». Castagneto “coltivava un progetto lungamente accarezzato, ritornare alla luminosa tradizione bresciana”.
Canestrini parla di quell’incontro fatidico del due dicembre, epilogo di numerose discussioni avute nei giorni precedenti: “Mi par di ieri la riunione tenuta nel mio studio, nella quale con Mazzotti, Maggi, Castagneto concretammo e battezzammo questa manifestazione che doveva – fin dalla prima edizione – assurgere ai fastigi della celebrità e conquistare l’animo delle folle.
Fu una riunione brevissima. Puntavamo tutti allo stesso scopo, con pari entusiasmo e la stessa fede. Io sapevo di interpretare sicuramente gli intendimenti della Gazzetta dello Sport e i sentimenti di Emilio Colombo e di Cesare Fanti […].
Ma quale gara poteva in quel momento scuotere l’ambiente, interessare case e costruttori? Si pensò ad una ripresa del Circuito di Brescia, idea presto scartata perché c’erano da rifare impianti e strade e poi, fatto questo, non si creava nulla di nuovo e difficilmente le case avrebbero aderito ad una forma di gara già decaduta. Inoltre tutti avevamo fretta di concretare subito.
“Se facessimo un giro d’Italia?”Troppo lungo, troppo difficile. “Una Brescia-Roma-Brescia?” S’era sulla strada giusta. Roma e Brescia: due nomi simbolici. L’automobilismo italiano con questa manifestazione che voleva essere l’inizio di una riscossa, di una vitalità nuova, avrebbe idealmente collegato la terra di Augusto Turati – al quale si doveva la rinascita sportiva italiana – alla capitale donde il Duce irradiava la sua volontà realizzatrice”.
IL NOME PERFETTO
È ancora Canesterini a descrivere quei momenti storici: “Fu ancora Franco Mazzotti a chiedere: “Quanto è lungo il percorso?” “1600 km”. “Cioè 1000 miglia – osservò Mazzotti fresco dal suo viaggio americano (la famosa spedizione dell’Aeronautica Italiana con Italo Balbo, N.d.A.) – E allora perché non Coppa delle Mille Miglia?” Il nome piacque a tutti.
Qualcuno obbiettò che quel riferimento al sistema di misurazione inglese poteva suonare male agli orecchi di qualche zelante gerarca. “Niente affatto”, ribattei, “i romani misuravano le loro distanze in miglia, siamo perciò nella tradizione romana”. E fummo tutti d’accordo. La Mille Miglia era ufficialmente nata! Il 4 dicembre ne davo per primo l’annuncio sulla Gazzetta dello Sport”.
Nel frattempo Franco Mazzotti fu nominato Commissario della manifestazione e Renzo Castagneto Direttore di Corsa e Segretario della gara. A Giovanni Canestrini il ruolo di tecnico, a Aymo Maggi “l’ingrato” compito di essere il primo a partire!”.
La notizia non viene accolta con grande entusiasmo. Tutt’altro: tra detrattori, contrari e catastrofisti il pubblico che non nutre speranze sulla riuscita dell’iniziativa sono molti. Ciononostante lo scoraggiamento non intacca minimamente gli organizzatori. I quali, anzi, possono contare sull’aiuto di personaggi importanti e decisivi, sia dal punto di vista della comunicazione, sia – ancora più importante – della politica attraverso l’appoggio morale di Augusto Turati, segretario del Partito Nazionale Fascista.
Nella seconda metà di gennaio, presso la sede del neonato Automobil Club di Brescia iniziano ad arrivare le prime iscrizioni. Frattanto Mazzotti e Alfredo Giarratana, all’epoca Direttore del Popolo di Brescia, eseguono una approfondita perlustrazione del tracciato a bordo di una Isotta Fraschini (otto giorni in tutto!) per rodare la macchina organizzativa, predisporre i controlli, allestire le segnalazioni del percorso e preparare gli uomini al controllo delle auto di passaggio.
Il 15 febbraio la CSAI approva il regolamento di gara ma si crea uno scontro sul problema della media oraria. Inizialmente la CSAI vieta di iscrivere auto con cilindrata inferiore a 750 cc ma il giorno 22 marzo, quattro giorni prima della partenza, la disposizione cade.
E, finalmente, arriva il 26 marzo 1927. Alle 8.00 precise parte la prima di 77 automobili iscritte. Per la cronaca, vincono Minoja e Morandi a bordo di una OM 665 S ‘Superba’ in 21 ore, 4 minuti e 48 secondi, alla media di 77,2 km/h. È l’inizio di un’altra grande storia.
A sei anni dall’inizio del contenzioso avviato da FCA per rimuovere il vincolo imposto dalla Soprintendenza dei Beni Culturali sulla collezione conservata nel Museo Storico Alfa Romeo è arrivato un primo chiarimento. Il 20 marzo è infatti la sentenza del TAR mette ‘momentaneamente’ fine a una vicenda che si protrae dal 2011.
Da quando cioè Fiat Chrysler, attraverso quella che oggi si chiama FCA Partecipazioni (la società immobiliare che gestisce il Museo), si rivolse al Tribunale Amministrativo Regionale affinché fossero annullate le restrizioni che impedivano al Gruppo torinese di poter disporre a piacere sia delle vetture raccolte nel Museo di Arese sia dell’edificio del museo.
La contesa ebbe inizio quando il Sindaco della cittadina milanese e tutto il Consiglio comunale, sospettando che Fiat Chrysler (ora FCA)volesse smantellare il Museo Alfa Romeo e spostare le vetture a Torino, si rivolsero alla Soprintendenza dei Beni Culturali affinché fossero posti dei vincoli molto stretti sull’edificio e sulle vetture. Cosa che avvenne.
A distanza di tanto tempo, con il Museo completamente ristrutturato e riaperto nel 2015, la sentenza del Tar respinge invece le richieste del Gruppo torinese ribadendo che le 253 vetture che compongono la collezione del Museo, i motori, la gigantesca scritta Alfa Romeo lunga 64 metri e alta nove che campeggiava in cima al deposito vetture continueranno ad essere sottoposti a vincolo e dovranno tornare ad Arese.
La sentenza del TAR non è però che il primo round di questa vicenda: FCA Partecipazioni potrebbe infatti ricorrere al Consiglio di Stato. Non è chiaro nemmeno se per ospitare le rimanenti vetture che dovranno rientrare in sede (oggi ne sono esposte 70) saranno effettuati dei lavori di ampliamento dell’edificio. Vi terremo informati sugli sviluppi della vicenda.
Il Concorso di Eleganza di Villa d’Este si avvicina ma un mese prima del prestigioso appuntamento sulle rive del Lago di Como (si terrà il 27-28 maggio) un aperitivo molto esclusivo lo offre il “Villa d’Este Style”, evento dedicato alle Alfa Romeo 6C 2500 SS Villa d’Este che si svolgerà sabato 22 aprile nella splendida location di Cernobbio.
Come noto si tratta di un modello estremamente raffinato dal punto di vista tecnico ma che nelle mani di Carlo Felice Bianchi Anderloni, titolare della Carrozzeria Touring, raggiunse livelli di eleganza ineguagliati. Nella struttura la vettura è praticamente la stessa del modello lanciato dall’Alfa Romeo alla fine degli anni ’30, che si trasforma in capolavoro quando nel 1949 Bianchi Anderloni ne riplasma lo stile alla luce delle nuove tendenze e dei progressi compiuti nel frattempo dal design automobilistico. Tanto che la versione presentata al Concorso di Eleganza di Villa d’Este di quell’anno (ultima edizione prima del revival del 1995) si aggiudica il Gran Premio del Referendum. Quanto basta per convincere la Touring ad allestirne una trentina di esemplari e di chiamarli in ricordo di quel successo “Coupé Villa d’Este”.
Dal 2012 un gruppo di appassionati ha fondato un Registro dedicato a questo modello e nel tentativo di censirle tutte (il numero preciso non è mai stato definito ma la stima più affidabile parla di 32 esemplari) ha inaugurato un raduno annuale nel luogo da cui questo modello ha preso il nome: Villa d’Este, appunto. Fino a oggi quelle conosciute e ‘registrate’ sono 16, delle quali una metà circa non manca da sei anni l’appuntamento di Cernobbio.
Un evento che da quest’anno sarà per la prima volta aperto al pubblico. Gli appassionati di belle auto potranno, infatti, ammirare queste bellezze dalle 15.00 alle 17.00 di sabato 22 aprile in Piazza Risorgimento a Cernobbio, in riva al lago.
L’esposizione degli esemplari di Villa d’Este sarà accompagnata anche da altre due vetture 6C 2500 e dalla monoposto Alfa Romeo G.P. Tipo 158 “Alfetta”, vincitrice del primo Campionato Mondiale di Formula 1 del 1950, portate dal Museo di Arese.
Chi non ha ancora pianificato la propria partecipazione alle gare di regolarità riservate alle auto storiche in programma nel 2017 e vuole andare sul sicuro segni in agenda queste date: 22-23-24-25 giugno. Sono i giorni durante i quali si svolgerà quella che è stata premiata come “la migliore manifestazione a livello internazionale nel panorama italiano del motorismo storico”: ovvero, “La Leggenda di Bassano – Trofeo Giannino Marzotto”.
Così ha infatti stabilito l’Automotoclub Storico Italiano, che ha assegnato alla manifestazione dolomitica la “Manovella d’Oro Internazionale 2016”, il massimo riconoscimento italiano per un evento di questo tipo. In particolare per la cura e la qualità molto soddisfacente del lavoro organizzativo espressa dal sodalizio che lo ha promosso.
“È il riconoscimento di un lavoro veramente impegnativo e certifica ancora una volta i meriti e l’impegno continuo di tutta la macchina organizzativa” – ha detto Stefano Chiminelli, Presidente del Circolo Veneto Automoto d’Epoca ‘Giannino Marzotto’, promotore dell’evento, “Ma questo premio va condiviso anche con tutti i partecipanti, che ogni anno portano da tutto il mondo le vetture più belle sulle strade della nostra manifestazione, e con i partner”.
Questo perché la Leggenda di Bassano è un evento unico nel panorama del motorismo storico internazionale, in quanto riservata esclusivamente alle auto Sport-Competizione delle categorie Vintage, Post Vintage e Classic (costruite perciò dal 1920 al 1960). Il Comitato Organizzatore si riserva il diritto di ammettere alla manifestazione alcune vetture GT, GTS e Prototipi costruite negli stessi periodi ed eventuali Post Classic e Modern, ma non concorrono alla classifica finale.
L’edizione 2017, in programma dal 22 al 25 giugno, nella prima tappa porterà i concorrenti da Bassano del Grappa a Merano (venerdì 23 giugno), quindi da Merano a Cavalese (TN)per poi tornare a Bassano nella giornata di domenica (25 giugno). In totale saranno 640 chilometri distribuiti in tre giorni, con la tappa più lunga (300 km) nella giornata di sabato.
Come ogni manifestazione che si rispetti, anche la Leggenda di Bassano prevede una serie di premi per i concorrenti più bravi così distribuiti:
-Trofeo Giannino Marzotto e orologi “Tazio Nuvolari” offerti da Eberhard
-Trofei ai primi dieci equipaggi della classifica assoluta
-Trofeo di Club
-Trofeo Maria Teresa de Filippis al primo classificato degli equipaggi femminili
-Trofeo Museo dell’Automobile “Bonfanti-Vimar”
-Premi a sorpresa
Le iscrizioni chiudono il 16 maggio. Maggiori dettagli sull’edizione 2017 sono presenti sul sito www.laleggendadibassano.com.