Il 2017 è ricco di anniversari tondi, che in qualche modo ci riguardano direttamente. Il primo sono i trent’anni della testata Ruoteclassiche, il secondo ricade nelle inziative speciali che, proprio per l’occasione, abbiamo pensato per i nostri lettori: omaggiare come merita i settan’anni della Ferrari.
Questo mese esordisce in edicola il primo dei cinque Speciali “Il meglio del Cavallino”, che ci accompagneranno fino a giugno. Pensiamo quindi di farvi cosa gradita pubblicando l’editoriale che presenta il piano dell’opera e, in estrema sintesi, i contenuti di questa prima uscita.
Quest’anno la Ferrari compie settant’anni. Ruoteclassiche festeggia alla sua maniera questo importante traguardo con cinque allegati dedicati al mito creato da Enzo Ferrari. La collana “Il meglio del Cavallino” (in totale oltre 600 pagine) debutta col volume “Le GT”, la gallery che state iniziando a sfogliare: narra l’epopea delle granturismo prodotte in serie. Abbiamo selezionato una cinquantina di modelli principali, cui si affiancano altrettante versioni derivate, per un totale di circa 120 sportive. A tanto assommano i 70 anni di storia maranelliana, una produzione imponente, non tanto a livello numerico (giacché la Ferrari ha sempre mantenuto l’esclusività come Credo assoluto) quanto piuttosto come fervore progettuale, capacità tecnica, fantasia, ingegno, abnegazione.
Seguiranno, con cadenza mensile, altri quattro volumi: “Il meglio del Cavallino – Le Corse”, dedicato ai bolidi da competizione (Formula 1, altre Formule, Sport e GT da gara); “Il meglio del Cavallino – Gli Uomini”, che narra le gesta di coloro che hanno contribuito ad alimentare il mito assieme e successivamente al “Drake”; “Il meglio del Cavallino – X Ray”, una rassegna con gli “spaccati” dei modelli più significativi e infine “Il meglio del Cavallino – Top Secret”, ossia i prototipi, gli esemplari unici, le show car e i modelli mai entrati in produzione.
Nelle pagine di questo primo speciale Ruoteclassiche ha analizzato ciascuna vettura di serie attraverso lenti multifocali: quelle dello storico, dell’appassionato, del designer e del tecnico. Cercando di inquadrare ogni auto nel contesto dell’epoca e illustrando le peculiarità della tecnica e delle stile. Ove possibile, i nostri esperti hanno cercato di individuare i numeri reali di produzione (da fonti ufficiali, salvo differente indicazione: li potete trovare riassunti nell’ultima pagina), perché la “tiratura” di un’auto sportiva ne certifica la rarità o ne individua il successo commerciale.
Ferrari da strada significa Ferrari sulle strade: quando se ne incrocia una, sia annunciata dal rombo sia acquattata in un parcheggio, è sempre una calamita per tutti. Appassionati e non. Perché ogni modello di Ferrari, a modo suo, è LaFerrari. Buona lettura.
I “millenial”, detti anche “generazione y”, si affacciano come nuovi adepti e acquirenti nel mondo delle classiche: è una delle notizie emerse tra le pieghe delle aste di Scottsdale, tanto che il quotidiano USA Today ha dedicato un servizio al tema, intervistando operatori ed esperti del settore su questo nuovo fenomeno.
Ma chi sono, cosa fanno e perché dovrebbero influenzare il mondo delle auto classiche gli appartenenti alla generazione nati tra il 1985 e il 2000? Partiamo da alcune considerazioni numeriche: secondo dati Goldman Sachs e altre analisi demografiche, con 91 milioni di unitài “millenial” rappresentano già oggi la generazione dominante a livello numerico negli USA.
Nel mondo invece sono al secondo posto (con oltre 1,8 miliardi di appartenenti) dietro i “baby boomer”, la generazione più popolosa, quella dei nati tra il 1945 e il 1965, protagonista del boom economico e per lungo tempo “opinion leader” del mondo occidentale come siamo abituati a conoscerlo. Secondo le stime, tuttavia, già nel 2018 i “millenial” supereranno definitivamente per numero complessivo genitori e nonni. In mezzo ci sono i ragazzi della “generazione x”, un tempo giovani e ormai tra i 35 e i 55 anni.
Cosa c’entra tutto questo con le classiche? Abbastanza se, stando alle dichiarazioni dell’Amministratore Delegato Hagerty, la nota società di assicurazione Usa, i “millenial” sono ormai da considerarsi pienamente inseriti nel mercato. Oltre ai freddi numeri, infatti, c’è da tenere in considerazione il maggior interesse verso il consumo che separa i “nuovi arrivati” dai loro predecessori.
Sempre secondo i dati Hagerty, nel 2016 le richieste di preventivi assicurativi per auto classiche formulati da appartenenti alla nuova generazione sono cresciuti del 21%. Un indicatore che non lascia spazio a dubbi sulla tendenza e su quali saranno i clienti del futuro con maggior tasso di crescita. In sintesi, si potrebbe dire che i “millenial” sono molto interessati alle supercar e alle instant classic, e che, rispetto ai predecessori, sono più interessati alle auto giapponesi. Inoltre, non badano a spese per avere quello che pensano possa rappresentare il loro status.
Diversi sarebbero anche i metodi di informazione e l’influenza dei media e social network che prevalgono rispetto al passaparola o alle discussioni al bar o al club rispetto alle generazioni più vecchie. Sempre Usa Today ha registrato le osservazioni di un partecipante a una delle aste di Scottsdale che lamentava le carenze informative delle auto esposte. Probabilmente la nuova generazione è affamata di notizie che non ha avuto o non sono state tramandate dai fratelli maggiori o genitori come accadeva in passato.
E poi si arriva alle preferenze sulla tipologia di auto. Le generazioni più giovani sono state esposte a Suv e auto giapponesi, anche modificate, come quelle protagoniste in Fast and Furious, telefilm e vari videogame e quindi, anche quando cercano una storica, se ne ricordano. Ad esempio la Toyota Supra è molto apprezzata.
In questo quadro giocano un ruolo importante anche gli idoli e i personaggi guida di ogni generazione: se i “baby boomers” venivano influenzati dalle auto scelte o rese famose da Elvis Presley, non ci si può stupire che a Scottsdale le discussioni siano state occupate dalla Ferrari in vendita appartenuta al cantante canadese Justin Bieber.
Come dire che se qualcuno volesse pensare ad un algoritmo per indovinare le classiche più ricercate nei prossimi anni dovrebbe farsi aiutare (anche) da un giovane ragazzo non solo per scriverne il codice ma anche per capire gusti e mode che segnano la differenza tra una generazione e l’altra. Un tema di cui si trova traccia a macchia di leopardo anche nel mondo dell’informazione e nell’analisi degli esperti: Fortune – già nel 2014 lanciava l’allarme addebitando il crollo dei valori delle auto classiche americane degli anni ’50 alla perdita di interesse dei nuovi clienti verso questa tipologia di veicolo.
Sono le Perfect Ten, ovvero le sei auto ritenute più rappresentative per ognuno dei dieci tipi di carrozzeria scelti, nonché le più ricercate e accattivanti. Anche molto diverse tra loro. Fra le sei berline, per esempio, si succederanno negli show a ripetizione la Rolls Royce Silver Wraith Hooper Touring Limousine del 1955 e la Ford Escort FEV 1H che nel ’70 ha vinto il London to Mexico World Cup Rally. E ci sarà anche una Lancia Lambda del ’27.
Per le coupé si va dalla ultra british Alvis TF21 Graber del ’66 alla tedesca Bitter CD del ’74 passando per una Mazda Cosmo Series II del ’69. Nelle Aerodynamic Pioneer spicca, neanche a dirlo, l’Alfa 6C Aerodinamica Spider del ’37, un pezzo unico nella storia delle automobili che sarà affiancata, fra le altre, dalla coetanea Tatra T97. Nella categoria Supercar, una Maudsley del 1904 oggi può far sorridere ma a suo tempo, del resto, super lo è stata davvero. Viaggeranno insieme a lei (si fa per dire) la Miura S del ’68 e un’altra “Lambo”, la Countach Anniversary dell’88. Oltre a una Mercedes 540K del ’38, una Porche 911 RS e la svizzera 375L High Speed Monteverdi del ’71.
E poi ci saranno loro, ovviamente le Ferrari. Tante. Sei nell’apposita sezione extra Ferrari Tribute: 212 Inter, 330 Vignale Shooting Brake, 275 GTB4, Dino 246, F40 ed Enzo. E molte altre al di fuori della categoria: Daytona, 250 GT California, 250 GT SWB, 250 Lusso, 250 GTO… Tutte insieme supereranno 139 milioni di euro di valore. Così la terza edizione della kermesse renderà omaggio al Cavallino Rampante e ne festeggerà il 70esimo anniversario: con un mare di rosso, “a red sea”, ha detto il direttore Bas Bungish.
Tra le attrazioni dello Show sono previste anche una mostra-mercato e un’asta, di Coys, con 25 auto da corsa e rally. E, a proposito di competizioni, la novità di quest’anno sarà l’abbinamento con l’Historic Motorsport International (www.historicmotorsportinternational.co.uk) che porterà, fra gli altri, auto ed eventi legati a Silverstone Classic. La manifestazione sarà inaugurata alle 12 di giovedì da Jacky Ickx, vincitore di otto Gran Premi e sei 24 Ore di Le Mans, e tra gli ospiti ci sarà anche Emanuele Pirro, campione della famosa gara di durata per cinque volte.
Il London Classic Car Show aprirà invece i battenti alle 15 con un totale di 700 auto e, altra new entry, porterà per la prima volta nella capitale una parte dell’International Autojumble, l’enorme mercato di automobilia del Montagu Motor Museum, nell’Hampshire. Sia al LCCS che all’HMI, in due padiglioni attigui, si accederà con biglietto unico a partire da 24 sterline (http://www.thelondonclassiccarshow.co.uk/). E se l’anno scorso l’affluenza è stata di 33mila visitatori, ora ne sono attesi molti di più: l’edizione 2017 è annunciata come “best ever”, “la migliore di tutte”.
La famiglia, originaria del piccolo paese di Borgiallo, era prima emigrata negli Stati Uniti e poi aveva fatto ritorno in Italia, a causa la morte del padre minatore. I quattro fratelli decidono di aprire l’officina Fratelli Temperino, per la riparazione di biciclette e motocicli. Ma non ci sono limiti all’immaginazione. Già nel 1908 iniziano la costruzione, forse su licenza, di una motocicletta commercializzata con il marchio Mead Flyer; un modello diverso viene poi presentato alla Mostra speciale dell’Automobile, del Ciclo e dell’Aeronautica, all’interno dell’Esposizione internazionale di Torino nel 1911.
Maurizio Temperino alterna il lavoro in officina con quello di autista: gli affida la sua auto anche la regina Margherita, e ciò gli consente di conoscere le qualità delle varie automobili e le nuove tecniche. La sperimentazione dei prototipi delle auto viene interrotta dalla guerra Italo-turca e dalla prima guerra mondiale. Anche l’officina dei Temperino viene infatti mobilitata per le necessità belliche: lì si riparano i motori degli aeroplani che decollano dal campo volo di Mirafiori.
Lo Stato Maggiore nota però l’abilità dei fratelli e, convinto della necessità di avere nel parco macchine piccole e veloci automobili, ne ordina un certo numero: una commessa che accelera lo sviluppo della piccola realtà aziendale. Si arriva alla produzione in serie nel 1918, con il supporto delle Officine Moncenisio di Condove.
Viene costituita la Società Anonima Vetturette Temperino, i cui prodotti vanno alla grande: costano poco, consumano con parsimonia e si dimostrano forti nelle gare in salita. Il target di riferimento è la piccola borghesia, non la classe ricca: quindi si riducono le parti forgiate a mano, i pezzi dell’auto vengono standardizzati. Conservando la struttura di base e combinando gli elementi della carrozzeria si possono ottenere vari modelli.
La caratteristica di queste auto di tipo utilitario è il motore a due cilindri raffreddato ad aria, brevettato da Giacomo Temperino.Il modello 8/10 Hp è il primo costruito dalla Temperino e piace molto anche al di fuori dei confini nazionali, soprattutto in Inghilterra, dove viene addirittura aperta una sede.
La Temperino 8/10 Hp ( detta anche Tipo 8/10) viene prodotta nelle due versioni Normale e Sport, entrambe con il motore anteriore a due cilindri, il cambio a tre marce e i freni meccanici nelle ruote posteriori. Nella versione Sport il motore arrivava a 90 km/h. Il 1920 è l’anno delle vittorie sportive nel circuito del Sestriere. Dalla cronaca sportiva dell’evento nascerà il gioco di parole: “Ci vuole una Temperino per tagliare bene il traguardo”. Negli anni 1921-22 la produzione arriva a una decina di auto al giorno. Viene prodotto in seguito il modello Gsm 7-12 hp, che riscuote successo in Gran Bretagna e viene venduto anche in Brasile.
Purtroppo nel 1921 fallisce la Banca di sconto, principale ente finanziatore dell’azienda, e tre anni dopo la piccola (grande?) fabbrica torinese chiude, mentre la Temperino motors Ltd. di Londra opera fino al 1940. Il ceto medio-alto e a cui si rivolge questa realtà imprenditoriale in quel periodo non è abbastanza ampio. Lo sarà negli anni Cinquanta-Sessanta, gli anni “dell’utilitaria”. Comunque i quattro fratelli avevano precorso i tempi, come ricorda quella loro “vetturetta”, che oggi è ancora lì, a Torino, esposta al Museo dell’automobile.
L’Alfa Romeo Stelvio segna l’ingresso del brand nel segmento degli Sport Utility Vehicle dopo anni di annunci, proclami, intenzioni, promesse e smentite. E’ un passo importante che amplia ancora di più il quadro concorrenziale, già pesantemente saturo di proposte da parte di tedeschi, giapponesi e coreani. Analizzando la lunga storia del marchio del Portello, però, il rapporto con il fuoristrada è stato più “intenso” di quanto si possa credere. Ecco, quindi, una storia degli esiti della progettualità Alfa in questa area di mercato.
ALFA ROMEO 6C 2500 “COLONIALE”
Il 5 maggio del 1936, durante uno dei suoi discorsi dal balcone di Palazzo Venezia, Benito Mussolini annunciava alla folla: “Il Maresciallo Badoglio mi telegrafa: ‘Oggi 5 maggio, alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba“. La cosiddetta Guerra d’Etiopia, esaltata attraverso la tambureggiante propaganda del regime, ha portato all’Italia la soddisfazione (effimera) di un Impero, proclamato il successivo 9 maggio con l’istituzione dell’Africa Orientale Italiana.
La logistica, nei territori occupati, appare da subito molto complessa: questi, calati in una grande arretratezza, sono carenti anche dal punto di vista dell’infrastruttura stradale rendono difficile qualsiasi spostamento di persone o cose. Le strade sono difficili, le temperature torride e le variazioni altimetriche notevoli. La soluzione del problema viene affrontata innanzitutto dalla FIAT con una serie di versioni speciali per i militari.
L’impegno dell’Alfa Romeo inizia nel gennaio ’39 a partire da una lettera inviata al Portello dalla sede Alfa di Asmara: in essa si riportano i dettagli di una richiesta del Vicerè di Etiopia Amedeo di Savoia, che manifesta l’esigenza di un veicolo adatto ai difficili percorsi del Corno d’Africa. L’Alfa Romeo, già militarizzata dall’agosto ’35 proprio per le esigenze delle campagne di guerra, inizia lo sviluppo di un’automobile adatta al peculiare ambiente africano.
La base di partenza è la collaudata meccanica dell’Alfa Romeo 6C, giunta alla versione ‘2500’ dopo oltre dieci anni di sviluppo ad opera di Vittorio Jano, il progettista che nel ’25 l’aveva creata. Giovanbattista Guidotti viene incaricato dei test dei prototipi lungo le tortuose strade di Etiopia ed Eritrea, in particolare alle notevoli altezze degli altipiani per studiare la carburazione a oltre 2.000 metri di altitudine. Lo sviluppo continua per il tutto il 1940 e il 1941, anno in cui viene completata la preparazione.
Sulla base della versione “civile” il nuovo modello si caratterizza per telaio rinforzato, notevole altezza da terra, la carrozzeria eseguita da Castagna in forma di torpedo, due ruote di scorta subito dietro i parafanghi anteriori, pneumatici maggiorati, bloccaggio per il differenziale posteriore, accessori utili per l’utilizzo in fuoristrada (pala e piccone) e 4 serbatoi supplementari oltre a quello principale (quasi 200 litri di capienza in totale). A dispetto della preparazione, la 6C 2500 Coloniale non raccoglie giudizi entusiastici e per questo l’Alfa Romeo mette in cantiere una versione “ottimizzata” con trazione integrale e riduttore. Ma non viene realizzata per il precipitare degli eventi bellici.
Complessivamente, tra il ’41 e il ’43 l’Alfa Romeo produce circa 200 esemplari della 6C 2500 Coloniale, a cui si aggiungono circa 50 unità di Coloniale in versione chiusa per il fronte russo, caratterizzato da temperatura molto rigide.
ALFA ROMEO 1900 M (AR 51) “MATTA”
La seconda esperienza del Biscione con un modello dedicato ai percorsi ricchi di fango e terra nasce nel 1950 e questa volta si tratta di un fuoristrada al 100%. Il Ministero della Difesa lancia un bando per l’acquisto di un veicolo “da ricognizione” per le forze armate che sostituisse le valorose (ma ormai affaticate) Willys Jeep lasciate dall’esercito americano.
L’Alfa Romeo partecipa alla gara contro la FIAT ma mentre quest’ultima lavora “in economia” e costrusce una 4×4 attingendo a molta componentistica di serie, la Casa del Portello (responsabile del progetto fu nominato Giuseppe Busso) sfrutta una meccanica concorrente – opportunamente adattata – sulla quale installa un motore della “serie 1306″ di derivazione 1900 (4 cilindri di 1.884 cc con 65 cavalli di potenza). Le viene dato il nome di Alfa Romeo 1900M (“Militare”) AR 51 (Autovettura da Ricognizione 1951) ma per tutti diviene l’Alfa Romeo “Matta”. La meccanica prevedeva anche la trazione posteriore (con l’anteriore inseribile e blocco manuale del differenziale posteriore), cambio a 4 marce con riduttore e – grande novità – sospensioni a ruote indipendenti.
Nonostante la maggiore potenza e migliore capacità di guado (120%, un valore eccezionale), la sua concorrente, la FIAT A.R. 51 – poi soprannominata Campagnola – dotata del propulsore della 1400, le viene preferita per gli scopi militari sfruttando il prezzo notevolmente più contenuto.
La Alfa Romeo Matta – comunque utilizzata dalle forze dell’ordine con una piccola produzione – si prende almeno una importante rivincita in ambito sportivo, naturale campo d’espressione dell’Alfa: alla Mille Miglia del ’52, infatti, vengono ammessi anche i veicoli militari (fu l’unica volta in tutte le edizioni della corsa) dando, così, la possibilità di una sfida con la Campagnola direttamente sui campi di gara. Due esemplari dei rispettivi modelli, con colorazione militare e guidate da agenti rigorosamente in uniforme, si danno battaglia sul classico percorso Brescia – Roma – Brescia ma grazie alle doti del bialbero del Portello, la Matta vince contro l’avversaria torinese.
Con il nome di AR 51 e, successivamente, di AR 52, l’Alfa Matta viene prodotta fino al 1954, con un totale di circa 2.000 esemplari, a cui se ne aggiungono circa 300 vendute ai privati.
ALFA ROMEO AR 146 E AR 148
Nel 1985, nell’ambito dell’accordo con la Nissan (siglato nel 1980 e che aveva portato alla nascita della Arna), si torna a parlare di un fuoristrada Alfa Romeo, previsto in produzione nello stabilimento di Pratola Serra in provincia di Avellino. Il modello che dovrebbe “rilanciare” l’azienda di stato come produttore di veicoli fuoristrada è la 146, cui si dovrebbe affiancare una versione più piccola, la 148. Incaricato del progetto è l’Ing. Magnaghi, al quale vengono dedicati i nomignoli affibbiati ai due prototipi, rispettivamente “Magnagona” e “Magnaghina”. La 146 è prevista con due versioni di passo, telaio portante con carrozzeria imbullonata, trazione posteriore con l’anteriore inseribile, cambio a 5 marce con riduttore, numerose motorizzazioni. La 148, invece, è sviluppata sul pianale della 33 4×4 e dalla quale riprende anche il motore, boxer 4 cilindri di 1500 cc. L’obbiettivo è di destinarle sia all’uso militare sia a quello civile. Ma dopo la presentazione, nella primavera del 1985, ai rappresentanti delle forze armate, il progetto viene bloccato.
ALFA ROMEO KAMAL
Nel 2003, in piena fase di esplosione della mania degli Sport Utility, Alfa Romeo ci riprova con un concept presentato al Salone di Ginevra. Il nome, “la sintesi degli opposti” in lingua araba, descrive un prodotto dal connotato sportivo ma capace di offrire una certa utilità nell’uso quotidiano. Viene disegnata dal Centro Stile Alfa Romeo e propone dimensioni compatte: 435 cm di lunghezza, 186 di larghezza e 162 di altezza. Il layout a 4 porte (con le posteriori ad apertura controvento) con portellone offre spazio e una certa versatilità: lunotto apribile, parte bassa del portellone a “ponte levatoio” e ulteriore rampa per facilitare il carico.
Sotto la pelle la Alfa Romeo Kamal monta una meccanica di tutto rispetto: motore V6 3.2 da 250 Cv della 147 GTA e trazione integrale.
Una nuova livrea blu e bianca con inserti color oro. Ma soprattutto una grossa scritta sulle fiancate, che celebra i 25 anni di competizioni in Formula 1. La Sauber taglia così il traguardo prestigioso del quarto di secolo nel Circus. Venticinque anni da comprimaria nel mondo della F1, con una sola vittoria all’attivo (con Robert Kubica, le GP Canada del 2008) ma con una storia prestigiosa e costellata da molti giovani piloti che la scuderia di Hinwil (Svizzera) ha contribuito a lanciare.
In modo piuttosto curioso la storia della Sauber inizia in un Paese che per legge ha vietato dal 1955 lo svolgimento delle corse automobilistiche sul proprio territorio, in seguito alla tragedia di Le Mans di quell’anno. L’attività, ai limiti della legalità, prende vita per merito di Peter Sauber, commerciante di auto con la passione per le cronoscalate che lui stesso correva a bordo del suo Maggiolino Volkswagen.
Dopo aver iniziato negli anni ’70 a correre con la scuderia che portava il suo nome, Sauber ampliò il business facendo correre le proprie vetture nelle categorie Sport Prototipi, in Formula 2 e nelle gare di Endurance. Di Formula 1 si inizia a parlare solo nel 1989, dopo che Sauber e Mercedes vincono titolo mondiale e la 24 Ore di Le Mans.
L’affiliazione alla Casa di Stoccarda – che garantisce know how e supporto economico – permette alla Sauber di affacciarsi nel mondiale di F1 nel 1993, dopo aver annunciato l’anno precedente l’avvio delle attività del suo Reparto corse. Nel suo anno da rookie, la Sauber motorizzata Ilmor (con Karl Wendlinger e J.J. Lehto come piloti) debutta con un ottimo quinto posto del pilota finlandese e chiuse la stagione con due quarti posti e 12 punti in classifica costruttori.
Come tutti i team minori di quegli anni, la Sauber è una cantera dove si coltivano i talenti di giovani di talento. Dalle parti di Hinwil passano Heinz-Harald Frentzen (che regala alla Casa il primo podio, un terzo posto nel GP di Monza del 1995) e iniziano a gravitare i piloti in odore di Ferrari, come un giovanissimo Kimi Raikkonen (2001) o Felipe Massa (2002).
Ma i risultati non sono soddisfacenti e, nel 2005, Peter Sauber vende la sua creatura a BMW, intenzionata a sbarcare in F1 con un proprio team dopo aver fornito i motori per la Williams dal 2000 al 2005. Sotto la gestione del colosso bavarese i risultati arrivano ma sono al di sotto delle aspettative: nel 2006 la coppia Nick Heidfeld-Jacques Villeneuve raccoglie solo un terzo posto, mentre l’anno seguente arrivano due podi e il secondo posto nella classifica costruttori.
Proprio nel 2007, un giovanissimo pilota tedesco si affaccia in Formula 1 come terzo pilota della Sauber, dietro a Robert Kubica e al confermato Heidfeld: tale Sebastian Vettel mette a segno il miglior tempo del venerdì in Turchia e in Italia. Nel 2008 arriva la prima storica vittoria firmata da Kubica in Canada: un GP da incorniciare grazie anche al secondo posto conquistato da Nick Heidfeld. A questo exploit seguiranno altri 6 secondi posti e tre terzi. Ma nel 2009 ci sono solo due podi e l’abbandono di Bmw.
Dal 2010 Peter Sauber torna in plancia di comando, riappropriandosi del suo giocattolo – ritenuto troppo costoso e poco remunerativo da parte del colosso bavarese – erinnova la collaborazione con Ferrari. Sono però anni molto magri: fatta eccezione per i quattro podi del 2012 (due secondi e due terzi posti), il team svizzero non conosce mai grandi gioie.
Quest’anno – dopo il 10° posto in classifica costruttori del 2016 – alla guida della vettura elvetica ci saranno il riconferma Marcus Ericsson e la novità Pascal Wehrlein, proveniente dalla Manor. Ma proprio un piccolo infortunio al tedesco ha aperto le porte del primo test stagionale sulla vettura motorizzata Ferrari ad Antonio Giovinazzi, terzo pilota del Cavallino, che sarà a bordo della monoposto a Montmeló per il primo test ufficiale della stagione.
Era il 1926. Sono trascorsi 91 anni dalla chiusura della Prinetti Stucchi & C., un’azienda italiana che in tempi lontani aveva saputo “diversificare”, interessandosi di motori. Fondata a Milano nel 1874 da Giulio Prinetti e Augusto Stucchi, inizialmente l’impresa è un’officina meccanica che produce turaccioli di sughero e macchine da cucito (l’attività in questo settore viene rilevata da Angelo Salmoiraghi).
Successivamente, nel 1892, la fabbrica si avventura nel nuovo mondo delle biciclette, e infine – nel 1898 – in quello dei veicoli a motore. Il merito è di un impiegato, Ettore Bugatti, che sviluppa il triciclo Tipo 1, con motore monocilindrico De Dion e telaio Rochet-Schneider.
Poco dopo vengono progettati e creati i quadricicli, in particolare il modello “Quadri”, azionato da un motore monocilindrico raffreddato ad aria e caratteristico per il piccolo rimorchio: un posticino che, secondo la réclame pubblicitaria, era da riservare a una “graziosa accompagnatrice”.
Nel 1899 con la vettura Prinetti Stucchi, caratterizzata da due motori monocilindrici accoppiati, Bugatti vince la corsa “Brescia-Verona-Brescia” alla velocità media – allora notevole – di 40 km all’ora. Nel 1901, dopo la nomina di Giulio Prinetti a ministro degli Esteri, l’azienda modifica la ragione sociale in quella di “Stucchi & C.”. La produzione va avanti: viene completata la prima motocicletta, una monocilindrica a quattro tempi.
L’azienda è ricordata nel racconto dello scrittore Giovanni Guareschi intitolato “La lotteria”, in cui i due protagonisti, don Camillo e Peppone, discutono di una bicicletta Stucchi.
Alla fama dell’azienda contribuisce senz’altro la vittoria del Giro d’Italia con Girardengo nel 1919. Durante la guerra e fino al 1926, anno della chiusura e della cessione alla OM, l’azienda continua a produrre modelli di motociclette con motori monocilindrici e bicilindrici a V. Le vetture prodotte da questa piccola fabbrica sono una via di mezzo tra le carrozze di una volta e le automobili che sarebbero nate negli anni successivi: costruite interamente a mano, con molto legno, una certa quantità di metallo e tanto lavoro umano. Era ancora artigianato, l’industria automobilistica moderna doveva ancora nascere. Era l’inizio, solo l’inizio, di una lunga storia.
La Trieste-Opicina, storica gara in salita che si è corsa dal 1911 al 1971 e che dal 1982 è diventata una nota rievocazione storica, si trasforma in una grande festa dei motori che coinvolgerà tutta la città giuliana. Quella che è stata una delle gare in salita più veloci e seguite d’Europa (nel 1930 Tazio Nuvolari vi colse la prima vittoria per la Scuderia Ferrari) sarà accompagnata da mostre di veicoli a due e quattro ruote, musica rockabilly, abiti e divise ufficiali degli anni ’50, aerei storici, biciclette e tanto altro ancora può servire a ricreare l’atmosfera dell’epoca. Una festa lunga una settimana che si concluderà con la gara di regolarità Trieste-Opicina Historic.
“Sarà un ritorno alla storia motoristica e automobilistica triestina, e non solo, con tanti eventi nell’evento” dicono gli organizzatori. Per la prima edizione i partecipanti alla Salita dei Campioni, saranno solo su invito, ma lo spettacolo sarà egualmente garantito per tutti grazie alla chiusura al traffico, per la prima volta dopo il 1971, dello storico percorso della Trieste-Opicina, lungo il quale si svolgerà la festa finale.
Le manifestazioni ufficiali della Salita dei Campioni si svolgeranno sabato 1 aprile e domenica 2, mentre gli eventi collaterali diffusi in tutta la città inizieranno a partire da sabato 25 marzo toccando le principali piazze cittadine. Tutte le vetture saranno poi esposte insieme nella giornata di sabato, creando una sorta di villaggio dei motori sopra il parcheggio SABA. Per altre info: http://www.clubdeiventiallora.org.
Era il 1903. La prima automobile sbarcava in Sardegna, la regione da sempre più isolata della penisola. Il problema era che nessuno sapeva guidarla. E infatti la storia di come era arrivata fin lì questa vettura Vermorel, è tutta da raccontare. L’evento sarà ricordato nel convegno previsto per oggi, venerdì 24 febbraio, alle 15 all’Università di Cagliari, intitolato “Automobili ai tempi della Vermorel”, organizzato dall’Asi e dall’associazione Automoto d’epoca Sardegna, con la collaborazione dell’ateneo.
Andiamo indietro nel tempo, a più di un secolo fa. Efisio Manunza è un agricoltore di Sestu abbonato a una rivista specifica: “Il Coltivatore”, edito a Casale Monferrato dalla Società Ottavi, a prova del fatto che chi vuole tenersi aggiornato ci riesce anche nell’isolata Sardegna dei primissimi anni del Novecento. La rivista, per incentivare le vendite, mette in palio fra tutti i suoi abbonati una vettura Vermorel.
Sorpresa: a vincere è proprio Manunza. Il 17 febbraio 1903 riceve un telegramma che recita testualmente: “Numeroso vostro buono 1102 guadagnò primo premio automobile – amministrazione Coltivatore” .
L’autovettura Vermorel Type 2 sbarca gloriosamente a Cagliari, ma a quei tempi non c’era qualcuno che avesse la patente da quelle parti. Così, per quanto paradossale possa sembrare, viene trainata dai buoi per giungere nella località di Sestu, vicino Cagliari, dove è ancora oggi.
La Vermorel deve aspettare ben cinque mesi prima di essere guidata: solo il 15 luglio 1903 fa il primo giro per le strade di Cagliari. A condurre il veicolo è Mario del Corvo, ma a bordo ci sono anche Gerino Bruciapaglia, Efisio Ambrogi, amico del proprietario, il maestro di ginnastica Quintilio Cipris e Pietro Maxia. Quest’ultimo era il rappresentante della ditta Mantovani che in quel periodo stava cercando di costruire le prime auto. Tra ansia e curiosità la Vermorel percorre via Roma e ovviamente da notizia, finendo il giorno sulle colonne dell’Unione Sarda.
Tra gli interventi previsti nella conferenza quello di Angelo Melis, che si soffermerà proprio sulla Vermorel Type 2, la prima automobile comparsa in Sardegna; quello di Lorenzo Morello affronterà il tema “Automobili ai tempi della Vermorel” e quelli di Sara Caglieri e Federico Onnis Cugia tratteranno del “Ruolo dei giovani nel mondo del motorismo storico”. Interverrà anche il presidente dell’Asi Roberto Loi. Moderatore dell’incontro il professor Corrado Zoppi, presidente della facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Università di Cagliari. La Vermorel, giunta in Sardegna nell’ormai lontanissimo anno 1903, sarà esposta nel piazzale antistante l’aula magna. Per quei tempi, era davvero arrivata lontano.
Presentata oggi a Maranello la nuova Ferrari di Formula 1, la 63ma della serie. Molte le novità tecniche ed estetiche introdotte. Ma a far discutere gli appassionati di storia dell’automobilismo sportivo è la presenza di un simbolo caro agli alfisti. Tutto normale?
Si chiama SF70H, dove SF dovrebbe stare per Scuderia Ferrari, 70 per il numero di anni che quest’anno compie la Casa di Maranello e H per la motorizzazione ibrida. Ha una maggiore sezione frontale, una maggiore impronta a terra delle gomme Pirelli, più larghe che in passato (+6 cm all’anteriore; +8 cm al posteriore), il muso più lungo, un nuovo alettone posteriore, nuove appendici all’altezza delle prese d’aria sulle fiancate, dadi e mozzi ruota ridisegnati, e numerose altre novità tecniche.
Il tutto mirato ad aumentare il carico aerodinamico e le prestazioni che il nuovo regolamento della F1 ha imposto nel 2017. Ciò che però più colpisce nella nuova monoposto Ferrari appena presentata a Maranello, la 63ma della serie, è un adesivo posto in corrispondenza delle sospensioni posteriori che non mancherà di stupire i tifosi Ferrari, ma non solo loro: un Quadrifoglio Verde all’interno di un triangolo bianco che anticipa la scritta Alfa Romeo.
Niente da criticare? Come prenderanno la scritta Alfa Romeo sul vestito di una Rossa i tifosi della Casa di Maranello? Come noto, la Ferrari nacque come “vendetta” di Enzo nei confronti dell’Alfa Romeo per come lo liquidò dopo una vita spesa al Portello. Una fiera rivalità che il Drake ha covato fino alla fine dei suoi giorni nonostante i suoi numerosi titoli vinti e la fama universale sua e delle sua auto. Rivalità testimoniata dalla frase che Enzo Ferrari prununciò all’indomani della prima vittoria di una monoposto Ferrari, peraltro ai danni di un’Alfa Romeo, al Gran Premio d’Inghilterra del 1951 (Silverstone): “È stato il momento il cui la Ferrari ha ucciso sua madre!”. Ma quel triangolo bianco con al centro il Quadrifoglio Verde probabilmente farà sobbalzare dalle sedie anche i “tifosi” della Casa del Portello. Si tratta di uno dei simboli più cari agli alfisti e alla storia dell’Alfa Romeo.
Nato nel 1923 fece la sua prima apparizione in forma di rombo sul cofano dell’Alfa “RL TF” con cui Ugo Sivocci corse e vinse la Targa Florio del 1923, davanti al più noto e favorito compagno di squadra Antonio Ascari. Ascari, che era in testa alla gara, finì la benzina a soli 200 metri dall’arrivo e fu superato dal pilota salernitano. Un evento fortuito che fu appunto accreditato alla presenza sul cofano del Quadrifoglio Verde in campo bianco. In verità, un quadrifoglio molto simile comparve nello stemma della X Squadriglia da bombardamento Caproni (impegnata in audaci azioni durante la prima guerra mondiale), molto prima di diventare parte integrante delle effigie dell’Aeronautica Italiana.
Ma quella del Quadrifoglio è anche una storia tragica. Qualche mese dopo la vittoria alla Targa Florio Sivocci perse la vita in gara a Monza su una vettura sulla quale non aveva fatto dipingere il beneaugurante simbolo. Fu così che per celebrare la memoria del povero Sivocci e forse per scaramanzia, dal 1924 gli uomini del Portello decisero di adottare il Quadrifoglio come simbolo di tutte le loro auto sportive. Non più però in un rombo bianco bensì inserito in un triangolo bianco. Alla fine degli anni Venti è proprio il “Quadrifoglio” a distinguere le Alfa della casa madreda quelle gestite dalla Scuderia Ferrari, che avranno invece come simbolo il Cavallino Rampante.
Da allora i suoi successi per l’Alfa Romeo non si contano: dai titoli iridati in Formula 1 di Farina e Fangio, nel 1950 e ’51, con le Alfa Romeo “158” e “159” ai trionfi degli anni Sessanta (associato ai colori dell’Autodelta) con la “Giulia TI Super”, la “TZ”, la “GTA”, la “33”, fino ai due campionati del mondo del 1975 e del 1977, rispettivamente con la “33 TT 12” e la “33 SC 12” e alle vittorie nel Superturismo del 1993 con la “155”.
Il simbolo ha però contraddistinto in tutti questi anni anche la produzione di serie, nei suoi modelli più performanti, con le versioni “Verde” e “Oro”.
Al Museo Fratelli Cozzi di Legnano (MI) l’Alfa Romeo 1750 è protagonista di grandi festeggiamenti: giornata in suo onore, il 18 febbraio, per celebrare i 50 anni dalla nascita della berlina che spostava più in alto l’asticella rispetto alla Giulia: motore portato da 1570 a 1779 cm³, carrozzeria più importante e prestazioni migliori. La 1750 infatti non sostituiva la Giulia, si posizionava piuttosto in una categoria superiore.
La commercializzazione per la verità avvenne a inizio 1968, insieme con le versioni sportive GT e Spider, ma la produzione era già stata avviata a fine 1967, in modo che la nuova 1750 fosse subito disponibile per i clienti, senza dover attendere mesi per la consegna. Nella collezione del Museo Fratelli Cozzi sono presenti sia la 1750 berlina sia la 1750 GT Veloce, che per l’occasione sono rimaste a porte e cofani aperti per soddisfare la curiosità dei molti appassionati intervenuti. Ospite d’onore Elvira Ruocco, che per gli alfisti non ha certo bisogno di presentazioni. Per gli altri, basti dire che da sola, per decenni, ha organizzato, catalogato e identificato tutto il materiale dell’archivio storico Alfa Romeo. Non c’è dato o fotografia che non siano passati sotto le sue mani, e ancora oggi è fonte inesauribile di aneddoti e informazioni sulla storia dell’Alfa.
Dopo il benvenuto nei locali dell’autosalone (la Fratelli Cozzi è stata fino allo scorso anno concessionaria Alfa Romeo), Elisabetta e suo padre Pietro, fondatore della concessionaria, hanno fatto gli onori di casa introducendo il pubblico alla visita del museo, dalle tinte giocate sul rosso (dell’Alfa Romeo e della passione) e sul nero (dell’asfalto, sul quale sono disposte le auto). Notevole il colpo d’occhio, con le berline disposte nell’ala destra, le coupé in quella sinistra e le spider al centro. La collezione spazia dalla 6C 2500 Freccia d’Oro alla nuovissima 4C, coprendo un po’ tutta la produzione della Casa. Dopo la visita guidata, la proiezione di filmati storici commentata da Elvira Ruocco e Pietro Cozzi ha concluso l’evento.
Già a metà Anni 50 Ferrari interpreta con maestria e savoir-faire il tema della hyper-car: modello in tiratura molto limitata, con caratteristiche meccaniche molto speciali e, naturalmente, un prezzo molto elevato rispetto a una stessa Gran Turismo sportiva di grande caratura. Una corrente produttiva che in Ferrari viene inaugurata dalla 340 America dei primi Anni 50 ed evolve nel tipo 342 America, 375 America e 410 Superamerica, quest’ultima equipaggiata con il V12 “Colombo” in luogo del V12 Lampredi. La 410 Superamerica (presentata in forma statica e “incompleta” al Salone di Parigi del ’55 e, finalmente, in tutta la sua completezza al successivo salone di Bruxelles) viene prodotta in tre serie tra il 1956 e il 1959 (con due differenti misure di passo: 2800 e 2600 mm). L’elevato grado di personalizzazione richiesto è all’origine di tante piccole differenze di allestimento tra un esemplare e l’altro, al punto che, all’interno di tutta la produzione, non è possibile individuare due vetture identiche al 100%. Ciononostante la Ferrari riceve ulteriori richieste per la realizzazione di allestimenti con un livello di unicità e personalizzazione ancora più esasperato. La Superamerica, quindi, è oggetto di una serie di variazioni sul tema proposte come studi stilistici – prevalentemente da Pininfarina – e destinate, successivamente, ad accontentare il non plus-ultra-dell’esclusività, dell’individualismo e della sportività sul tema della GT stradale prodotta a Maranello.
Ferrari 410 Superamerica Superfast I 0483SA 1956. Il primo esemplare con denominazione “Superfast” nella storia aziendale entra come nudo telaio il 3 agosto 1956 alla Pininfarina. Ne esce una sconcertante coupé, presentata al successivo Salone di Torino, in cui si evidenzia la forte differenza di stile tra il frontale e il posteriore. In coda le proporzioni tondeggianti della carrozzeria sono interrotte dalle voluminose pinne. Più conservativo il frontale, comunque caratterizzato da alcune particolarità: il raddoppio dei rostri nella parte bassa della calandra ellittica, il profondo solco che anticipa la grande presa faria sul cofano e il logo Ferrari maggiorato. Questo esemplare presentava, all’origine, anche una interessante colorazione bicolore con la parte superiore in bianco Max Meyer e l’inferiore di un azzurro molto intenso. Sotto il cofano era installato un possente 12 cilindri di ben 5 litri di cilindrata e 340 cavalli di potenza massima.
Ferrari 410 Superamerica Supefast 0719SA 1957. Al salone di Parigi ’57 (e alla successiva rassegna torinese di poche settimane dopo) compare un esemplare con un’esecuzione decisamente più sobria, ancora opera di Pininfarina. La particolare colorazione in blu Genziana con padiglione avorio crea la suggestione di uno spider con hardtop. Il design di questo esemplare è molto simile all’esemplare con telaio 0725GT, una 250 GT con carrozzeria speciale allestita per il Principe Bernardo d’Olanda, affezionato cliente Ferrari.
Ferrari 400 Superamerica “Superfast II” 2207SA 1960. Nello stile di questo prototipo, apparso al Salone di Torino 1960 del novembre 1960, si può riconoscere la base stilistica per molteplici usi successivi: si riconosce innanzitutto una certa somiglianza con il telaio 2643GT, unanimemente conosciuto come il prototipo della 250 GTO (a sua volta identica al telaio 2613GT, un esemplare speciale di 250 GT ancora per Bernardo d’Olanda), e un lotto di esemplari di 400 Superamerica.
Ferrari 400 Superamerica “Superfast III” 2207SA 1960. Si ritiene che il prototipo sopradescritto sia rientrato alla Pininfarina, dove ha ricevuto una serie di modifiche importanti: si nota la radicale trasformazione del padiglione e l’adozione di finestratura molto più ampia con la soprressione del montante centrale. Altre novità: l’allungamento della nervatura che si stacca dal passaruota anteriore, nuove maniglie per le portiere, nuovi sfoghi d’aria per le ruote posteriori. La vettura è apparsa al Salone di Ginevra ’62.
Ferrari 400 Superamerica “Superfast IV” 2207SA 1962. Lo stesso esemplare potrebbe essere stato modificato una terza volta per incontrare nuove esigenze di rinnovamento stilistico. Scompaiono i fari a scomparsa e vengono proposte voluminose coppie di fari sistemati si passaruota. Un’altra modifica è l’innalzamento del bordo inferiore del lunotto.
Ferrari 500 Superfast 1964. Nel marzo del 1964, alla presentazione della330 GT 2+2, modello “di serie” della gamma, Ferrari ha pronto il modello top, la 500 Superfast, dedicata alla clientela più esclusiva. Si tratta di un modello molto più sportivo (e di prezzo doppio) rispetto a una 275 GTB. Abbandonata l’addizione “Superamerica” le viene preferito il termine “Superfast“, denominazione che allude alle suestraordinarie prestazioni. Sotto il cofano, infatti, pulsa un V12 di 5 litri di cilindrata (Tipo 208) da ben 400 cavalli, una potenza smisurata per l’epoca, capace di spingerla a 280 km/h. Pininfarina, dal canto suo, riesce a dare a quella meccanica così prorompente forme possenti ma di un’eleganza senza pari, ispirandosi alle esecuzioni speciali di qualche anno prima.
L’allestimento, naturalmente, offre solo il meglio: sedili ampiamente regolabili, rivestimento completo in pelle, ampio bagagliaio, abbondanza di radica sulla plancia, impianto stereo, vetri elettrici e tanto altro ancora.
La produzione complessiva di questo modello si è fermata a soli 36 esemplari: 25 esemplari appartengono una cosiddetta prima serie, altri 11 vanno a identificarne una seconda, messa in produzione nel ‘67.
Ferrari P540 Superfast Aperta 2010. L’ultima Superfast prodotta a Maranello è un esemplare unico allestito dal reparto ordini speciali della Casa. E’ stata costruita nel 2009 su meccanica 599 GTB Fiorano e si ispira alla 330 LMB Fantuzzi 4381SA allestita nel 1964 e apparsa nel film Tre Passi nel Delirio diretto da Federico Fellini.
Si è concluso lo scorso weekend il London Classic Car Show 2017 (23-26 febbraio), il più grande evento di automobilismo storico londinese, che per la prima volta ha quasi raddoppiato l’offerta aggiungendo l’area dell’Historic Motorsport International in omaggio alla carriera di Jacky Icks e in parte dedicata al Circuito di Silverstone. Con 800 auto esposte e più di 37mila visitatori, questa terza edizione al centro fieristico ExCeL, nella zona dei Docklands, ha registrato un incremento di ingressi dell’11 per cento rispetto allo scorso anno.
Fra le maggiori attrazioni, la Grand Parade: un circuito indoor che ha calamitato l’attenzione del pubblico quattro volte al giorno con sfilate di auto selezionate a seconda di dieci tipi di carrozzeria scelti. In tutto 66 storiche fra cui molti pezzi unici ma anche bestseller che hanno dominato il mercato britannico degli anni 70 e 80.
Nel video si vedono alcune delle rarità, come la Ferrari 330 GT Vignale estate, l’Alfa 6C Aerodinamica spider del 1937 e la Hispano Souza HC6 Tulipwood, che apre la sequenza, costruita nel 1924 per la Targa Florio. Si succedono poi una Tatra del 1938, dalla Moravia, la Ferrari 275 GTS del 1966, una Dino 246 GTS, una Jaguar C-Type del 1953, la Alvis Powys-Lybbe versione speciale Brooklands del 1931, una Miura S e la Countach Anniversary del 1988.
Tutto intorno alla Grand Parade hanno esposto i più importanti workshop e dealer con sedi nel Regno Unito. Come GTO Engineering, restauratori specializzati in Ferrari anni 50 e 60, e Tom Hartley, concessionario punto di riferimento per le celebrities. E naturalmente Joe Macari, ex pilota e maggior rivenditore Ferrari di Londra: da lui provengono tutti i pezzi dell’enorme Ferrari Tribute Collection che il direttore della kermesse ha voluto per celebrare i settant’anni del Cavallino rampante. Dalla 275 GTB4 alla 250 GTO, il totale del loro valore e’ di oltre 139 milioni di euro.
Continua a suon di “Copertine d’autore” la nostra marcia nel trentesimo anno di Ruoteclassiche. Dopo le creazioni proposte da Aldo Brovarone (gennaio) e Chris Bangle (febbraio), sul numero di marzo a cimentarsi col tema del nostro trentennale ci ha pensato Walter De Silva, che ha scelto un suo cavallo di battaglia: l’Alfa Romeo 156. La copertina tradizionale vede invece protagonista la nostra “Regina del passato”: uno splendido esemplare di Maserati Khamsin, rara supecar del 1977 che è anche un riuscitissimo mix tra architettura meccanica “classica” e stile decisamente innovativo.
Tra le “Impressioni”, spiccano nel numero, oltre alla graturismo del Tridente, la OM 469 S Torpedo Lusso (1924), la Peugeot 504 Cabriolet (1971) e la Auto Union 1000 (1958). Il “Test a test” è affare interno di casa Fiat, con il confronto tra 128 Rally (1971) e 128 Sport Coupé 1300 (1973); nella coda al servizio proponiamo una veloce panoramica sulla carriera sportiva dei due modelli. Si riaffaccia poi la “Youngtimer” del mese: l’Alfa Romeo 156 2.5 V6 24V Q-System (1999). mentre la “Classica domani” è la Porsche 911 R.
Tutti da leggere i servizi sull’addio al grande Circus di Bernie Ecclestone (a firma di Pino Allievi), l’intervista a Paolo Spalluto, l’organizzatore di passione Engadina e Passione Caracciola, e la nostra inchiesta sulle “ventennali”, le auto tra i venti e i trent’anni sottoposte a diversi regimi di tassazione a seconda della regione in cui sono immatricolate.
Particolarmente ricca la sezione “Eventi”, con i reportage dai due saloni che inaugurano la stagione 2017 delle grandi kermesse dedicate all’heritage: Automotoretrò di Torino e Rétromobile di Parigi (durante la quale si sono anche tenute tre diverse aste, di cui parliamo nelle pagine dedicate). In più, anticipiano la nostra nuova iniziativa legata a Verona Legend Cars (se possedete una storica immatricolata per la prima volta nel 1987 andatevi a leggere sulla rivista di che cosa stiamo parlando) e le ultime novità dalla prossima Mille Miglia.
La “Tecnica” si sofferma sulla frizione automatica, il “Fai da te” sulle vite dei fanali.
Ricordiamo poi che in concomitanza con l’uscita di Ruoteclassiche di marzo, in edicola troverete anche il secondo volume de “Il meglio del Cavallino”, dedicato alle corse (Formula 1, Sport Prototipi e GT da competizione). Prezzo 9,90 euro (solo rivista, 5,50 euro).
Buona lettura!
Uno sguardo a Ruoteclassiche di marzo
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Record d’iscritti alla Coppa Città della Pace, secondo appuntamento del Campionato Regolarità Auto Storiche, svoltosi sabato 25 Febbraio a Rovereto. Grande la soddisfazione della Scuderia Adige Sport, organizzatrice dell’evento che, con questa XXIV edizione, ha davvero lasciato il segno. 99 gli iscritti e 95 le vetture verificate al via. Livello di competizione altissimo se si considera che i top driver schierati erano ben 37, e quasi altrettanti i driver di categoria A (33).
Ad aggiudicarsi la vittoria però, dopo una seconda parte di gara in cui i primi sei della classifica si alternavano a ogni passaggio distaccandosi di un solo centesimo, è stata la coppia bresciana composta da Pierluigi Fortin e Laura Pilè su Fiat 1500 Aerodinamicadel 1936. Con una media di 2,8 centesimi e un totale di 140 penalità, hanno distaccato di soli 4 punti gli altri bresciani, Edoardo Bellini e Roberto Tiberti, a bordo della loro Autobianchi A 112 Abarth del 1973. Per una sola penalità di differenza si sono invece classificati terzi assoluti Mario Passanante ed Elisa Buccioni, di Mazara del Vallo, su una A112 Elegant del 1977.
La gara
Gli equipaggi si sono confrontati per ben 8 ore e 15 minutilungo un percorso di circa250 chilometri, suddiviso in 6 settori e intervallato da 50 prove cronometrate. Il basso Trentino ha fatto da scenografia a questa edizione partita, come di consueto, da Rovereto dove, per due giorni, è stato allestito il quartier generale. Il primo controllo orario è avvenuto a Loppio, presso il Soardi Center, dopo aver chiuso la prima sessione di prove cronometrate nel centro storico di Rovereto. In particolare sono stati toccati i comuni di Avio,Ala, presso il cui kartodromo i concorrenti hanno affrontato parte della gara tra tubi e chicane che hanno ringalluzzito anche le storiche signore, e Marco, con i sempre temutissimi passaggi all’interno del centro della Protezione Civile. Il secondo settore, invece, ha condotto gli equipaggi fino al lago di Cavedine, toccando i comuni di Nago, Arco eDrena, il cui castello medievale ha reso omaggio al passaggio dei concorrenti.
Nonostante la concentrazione, era impossibile non restare affascinati dalla bellezza della zona, un paesaggio lunare costellato da un insieme di gole che s’intervallano nel suggestivodeserto delle Marocche, nato dal particolare fenomeno glaciale che ha portato alla formazione di una distesa di macigni che caratterizzano tutto il territorio. Il terzo e ultimo settore, prima della meritata pausa pranzo, si è snodato infine tra Lasino, Pergolese, e Tenno, incantevole borgo medievale con il suo castello e il lago omonimo turchese incastonato tra i boschi. Una vera e propria visuale a cielo aperto su Riva del Garda, tra un pressostato e l’altro.
A Pieve di Ledro (che grazie al suo lago e a un ambiente naturale vario e incontaminato è stata premiata dall’UNESCO come Riserva della Biosfera) si è conclusa la prima parte di una gara sorprendente. I restanti tre settori hanno poi ripercorso il tragitto al contrario, in direzione di Tenno e Arco, per rientrare a Rovereto nel tardo pomeriggio.
Curiosità
Tra le vetture partecipanti erano nove leanteguerra, tutte marchiateFiat. La maggior parte erano le 508 S prodotte tra il 1932 e il 1934, una 508 Coupé del 1937, una 520 T del 1928, una 514 MM del 1931 e una 1500 Aerodinamica del 1936 che, insieme alle varie 1100, a una 124, 127, 128 e 850 Coupé, hanno portato a un totale di 19 vetture Fiat partecipanti, seguite dalle immancabili AutobianchiA112, presenti al via in ben 18 esemplari.
Italianità rappresentata da altre 11vetture di uno dei marchi più amati, le Alfa Romeo nei modelli Giulietta, Giulia, GT Junior, Duetto e 1750 GTV. 11 anche lePorsche356 che, insieme a tre Porsche 911, a una 912 e a un paio di 914 hanno raggiunto quota 17. Una decina le Lancia, principalmente Aprilia e Fulvia e presenti all’appello qualche Mini Cooper e Triumph, oltre ad altri modelli del panorama automobilistico europeo.
LE CLASSIFICHE
Assoluta 1° Fortin-Pilè – Fiat 1500 Aerodinamica, 1936 (Classic Team) – 140 penalità
2° Bellini-Tiberti – Autobianchi A 112 Abarth, 1973 (Franciacorta Motori) – 144
3° Passanante-Buccioni – Autobianchi A 112 Elegant, 1977 (Franciacorta Motori) – 145
Top Car
1° Patron-Casale – Fiat 514 MM, 1931 (Loro Piana Classic) – 158 penalità
2° Belometti-Peli – Fiat 508S Siata Spider Sport, 1932 (Loro Piana Classic) – 157
3° Fortin-Pilè – Fiat 1500 Aerodinamica, 1936 (Classic team) – 142
Scuderie
1° Classic Team – 21.576 penalità
2° Franciacorta Motori – 23.811
3° Loro Piana Classic – 24.964
E’ stato l’ultimo dirigente assunto dall’Alfa Romeo prima della gestione Fiat. Nella Casa del Biscione ha trascorso 13 anni, dal 1986 al 1999; poi è passato alla corte di Audi e di Volkswagen. Oggi Walter De Silva, Premio Compasso d’Oro nel 2011, continua a occuparsi di design, ma ha lasciato il mondo dell’automobile.
A noi di Ruoteclassiche ha rilasciato questa lunga intervista (che compare in forma scritta anche sul numero di marzo). L’occasione è stata la terza “Copertina d’autore”, con la quale la nostra testata intende festeggiare assieme ai lettori il suo trentennale. Dopo Aldo Brovarone (gennaio) e Chris Bangle (febbraio), è toccato appunto a Walter De Silva cimentarsi con il tema dei nostri trent’anni proponendoci una “Controcopertina” personale e originale.
Il risultato lo avete sotto gli occhi: è il frontale dell’Alfa Romeo 156, senz’altro una delle auto-capolavoro del car designer lombardo. Riproponendocela, De Silva ricorda e rimarca il suo amore per l’Alfa Romeo con queste parole: “L’Alfa è stata la mia fidanzata, il mio grande amore, poi mi sono sposato con Volkswagen. E alla Volkswagen ho capito una cosa fondamentale: non esisterà mai un designer, un creativo, se non esiste un principe che crede in lui“.
Per gli amanti della guida su ghiaccio e neve è la seconda occasione dell’anno per mettere alla prova la loro abilità nel tenere a bada su strade scivolose vetture che non sapevano ancora cosa fossero i sistemi elettronici di controllo della stabilità, della frenata e della trazione presenti oggi anche sulle utilitarie. Ma anche per i semplici spettatori è una ulteriore occasione di vedere all’opera le auto storiche in uno degli scenari più spettacolari del mondo: quello delle Dolomiti.
Venerdì 3 marzo alle 9.00 in puntoprende infatti il via da Cortina d’Ampezzo la WinteRace, gara di regolarità per auto storiche che si svolgerà in due giorni su un percorso di 350 chilometri attraverso otto passi dolomitici. I concorrenti affronteranno 60 prove cronometrate, quattro sfide di velocità a media imposta, sei controlli orari e due a timbro.
Si tratta della quinta edizione della gara dolomitica che per l’occasione si snoderà su un percorso che si snoda solo su strade italiane per venire incontro ai desiderata dei numerosi concorrenti stranieri provenienti da Germania, Austria, Svizzera, Olanda, Principato di Monaco, Polonia e Argentina.
Visto il successo del 2016, si disputerà anche quest’anno il “Porsche WinteRace” dedicato alle vetture di Zuffenhausen che verranno selezionate dall’organizzazione. Tra le “perle” di questa edizione sono segnalate una Riley Nine Sport del 1936 e una Porsche Pre A Speedster del 1954. L’equipaggio più giovane è invece del Classic Team Eberhard: Marco Gaggioli (28 anni) e Andrea Pierini (27) su Lancia Fulvia 1300 del 1975.
Al vincitore andrà in premio un lingotto d’oro del valore di 3500 euro messo in palio dal Main Sponsor BSI (private bank svizzera appartenente al Gruppo EFG International). Mentre il premio più ambito dagli “under 40″ sarà sicuramente il cronografo “Competizione Stradale” messo in palio da Girard-Perregaux, brand svizzero di Alta Orologeria.
Otto robottoni alti fra i 3 e gli 8 metri: sono spuntati nel giardino che contorna il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, a pochi passi dal sommergibile Enrico Toti, per rimanere in mostra da oggi fino al 1° maggio. Li ha costruiti, usando materiale da discarica – quasi tutto di natura automotive (dai paraurti ai cerchi in lega, dalle bancate del motore alle batterie esauste) – il giovane artista montenegrino Danilo Baletic.
Milano è la prima tappa di un tour mondiale che porterà la mostra denominata “Transformers Art” (promossa da Baha Fine Art) prima in Danimarca e poi a Londra, per poi prendere il largo alla volta dell’Asia e degli Stati Uniti.
Danilo Baletic, classe 1992, studia alla Facoltà di Arti dell’Università Donja Gorica di Podgorica, in Montenegro, ed è campione europeo di karate. Ma soprattutto è un grandissimo appassionato di manga e anime giapponesi. Il suo primo transformer l’ha costruito nel 2012, dando libero sfogo alla sua coscienza ecologista: “Li ho realizzati immaginando che difendano il nostro pianeta, per andare incontro alle esigenze ecologiche della terra. Il loro messaggio è quello di ricordarci che ci osservano e ci aiutano a capire l’ambiente in cui viviamo“.
Intento nobilissimo che nasce quasi per caso, con una passeggiata in una discarica e l’idea di nobilitare ferraglia e “spazzatura” in forme evocative che rimandino alla sua passione per i fumetti. “E la serie cinematografica Transfomers – chiediamo, – come ha influito sulla tua formazione di papà di robottoni?“. Si stringe nelle spalle: “Diciamo che l’ispirazione è arrivata da chi questi giganti di metallo li ha immaginati molto prima: i fumettisti e gli animatori giapponesi, di cui sono un fan entusiasta”.
Tra loro c’è anche un titanico Megatron, che detiene un singolare primato: al momento è la scultura più alta al mondo realizzata da un artista contemporaneo.
“Quanti ne hai costruiti?” lo incalziamo. “Finora dieci. Usando un po’ tutto quello che mi capita per le mani…“. Eh sì, perché il progetto di ciascuno – ci spiegano gli organizzatori della mostra – nasce sull’inventario di quello che Baletic ha a disposizione, come un cuoco che decide che cosa cucinare in base agli ingredienti che trova nel frigo… “Quanto tempo ci vuole per costruirne uno?“. “Ottanta giorni“. “No, non è possibile, davvero profetico, con il giro del mondo che stai per fare. In bocca al lupo, allora!“.
Le auto storiche come le azioni, sempre al centro della passione ma anche del mondo degli affari. Questa volta tocca a Bloomberg indicare tre auto che varrebbe la pena mettersi in garage prima che le valutazioni inizino a salire troppo.
La crescente importanza delle auto classiche, non solo come mezzo meccanico per cultori appassionati ma anche come bene di investimento (asset class direbbero esperti di finanza in grisaglia) non si misura solo da fiere, eventi o concordi di eleganza. A tracciare la linea ci sono anche segni come questi: articoli di testate dal taglio finanziario come Bloomberg che si scomoda per indicare tre auto sulle quali puntare per unire piacere e ritorno sul capitale.
Le tre sotto la lente sono: Porsche 928, Jaguar XJS e Mercedes 560 SEC, un terzetto indicato con molte ragioni a sostegno, diverse da quelle che potrebbero potare a investire sul mercato azionario ma, alla fine, neppure troppo. In fondo il gioco dei mercati spesso si traduce nel saper individuare beni sottovalutati e pronti a ripartire nelle richieste o nei gusti dei futuri acquirenti.
Secondo Bloomberg queste tre auto incarnano perfettamente lo spirito degli anni ottanta e rappresentano il vertice di quanto potevano offrire allora le Case automobilistiche grazie a cura costruttiva e precisione ingegneristica, da grande affidabilità nel caso della Mercedes, piuttosto che raffinatezza meccanica come nel caso della Porsche 928. Tutte e tre le auto sono per diversi motivi sottovalutate, sempre secondo quanto riporta Bloomberg.
Che la Porsche 928 abbia dovuto fare i conti con il rifiuto dei fan di Stoccarda per il motore anteriore e la distanza dalle linee tradizionali della 911 non è certo una novità. Così come la Jaguar XJS, che non ha avuto molte colpe se non quella di… dover prendere il posto della E Type nel cuore degli appassioni del giaguaro. Mentre la Mercedes potrebbe essere il classico caso di investimento sui minimi, considerando che è stata prodotta per meno anni rispetto alle rivali e le sue valutazioni sono meno elevate.
Nell’articolo Bloomberg si spinge anche a ricordare che queste tre auto, che negli ’80 da bere si contendevano le preferenze di ricchi imprenditori o manager di successo, ora potrebbero tentare chi allora era un bambino e adesso in età adulta potrebbe decidere di mettersene una in garage.
A rinforzare la tesi non manca il virgolettato di Jonathan Klinger, communications manager dell’operatore assicurativo Hagerty che, a sostengo della tesi sulla possibile forte rivalutazione di questi tre modelli, aggiunge il fortissimo rialzo delle quotazioni delle Ferrari e delle 911 anni dell’epoca, fatto che potrebbe dirottare le attenzioni di compratori più attenti al rapporto qualità prezzo su questo terzetto. Aste e quotazioni nei prossimi anni diranno se i consigli erano buoni, fantastici o da evitare. Qualche obiezione?
Sole, neve e panorama unico al mondo sono stati gli ingredienti vincenti della seconda “Winter” dell’anno: la WinteRace, gara di regolarità di 350 chilometri attraverso otto passi dolomitici, 60 prove cronometrate, quattro sfide a velocità media imposta, sei controlli orari e due a timbro. Quanto basta insomma per giustificare la definizione di “Race” invernale. A contendersi la gara 58 equipaggi suddivisi in sei raggruppamenti più 12 equipaggi iscritti alla Porsche WinteRace, riservata alle vetture di Zuffenhausen.
Otto i Top Driver iscritti, tra i quali il vincitore, Giuliano Canè, nome storico in questa specialità e ancora in grado di imporsi sui piloti della nuova generazione. Canè ha vinto in coppia con la consueta navigatrice, Lucia Galliani, a bordo di una Lancia Aprilia del 1938. Per Canè-Galliani è la seconda vittoria alla WinteRace, dopo quella del 2013. Dietro di loro, l’equipaggio Sisti-Gualandi su Lancia Aprilia del 1937 e terzi, a soli 9 penalità, l’equipaggio Piona- Battagliola su Austin Healey 100 BN1 del 1955.
Tra gli “Under 40” la vittoria è andata ai giovani Gaggioli-Pierini su Lancia Fulvia Coupé del 1975, che si confermano i più “regolari” tra i junior, mentre tra i team della seconda Porsche WinteRace si confermano primi Cicotti-Prata su Porsche 911 SC del 1978. Primi tra gli stranieri gli svizzeri Burri-Rogger su Fiat 850 Coupé del 1971. Primo equipaggio femminile Fanti-Serri su Alfa Romeo Giulietta Sprint del 1963.
Con la loro vittoria Canè-Galliani si sono portati a casa anche il lingotto d’oro di 100 grammi dal valore di 3500 euro messo in palio dal Main Sponsor BSI (private bank svizzera appartenente al Gruppo EFG International) mentre ai vincitori “Under 40”, Gaggioli-Pierini, è andato il cronografo “Competizione Stradale” messo in palio brand svizzero di Alta Orologeria Girard-Perregaux.
All’equipaggio primo Classificato dellaseconda Porsche WinteRace è andato invece il modellino da collezione “Porsche 919 Hybrid”, vettura ha vinto La 24 ore di Le Mans nel 2015, prodotto in edizione limitata e in scala 1:18. Premio messo in palio dal Centro Porsche Padova. Prima tra le scuderie classificate quella del Classic Team Eberhard.